Eddie Vedder
Into The Wild
Leave it to me as I find a way to be / Consider me a satellite forever orbiting (Guaranteed)
Flashback anni 90
Un ragazzo inquieto e tormentato passa in un paio di anni dallimpiego in una pompa di benzina al ruolo di rockstar e icona di una generazione, con la stessa facilità con cui è solito cavalcare le onde col suo amato surf. La sbornia del successo è inebriante in quei babilonici anni, ma i gangli dello show business sono implacabili e perfidi. Take my time, not my life, afferma quel ragazzo sullorlo del baratro, pensando allamico Cobain avviluppato dentro il gorgo, iniziando un viaggio allinsegna della coerenza e del rigore che lo ha portato a superare quelle onde impervie.
Anno 2007
Sean Penn trasporta sullo schermo il romanzo Into The Wild di Jon Krakauer, ispirato alla vera storia di Chris McCandless: un brillante laureato che nella scorsa decade abbandonò lautostrada asfaltata di una carriera agiata e sicura, per sterzare in un percorso geografico-esistenziale travagliato che lavrebbe portato nelle lande desolate dellAlaska, fino al tragico epilogo. E a chi meglio di Eddie Vedder, simbolo di quegli anni, Penn avrebbe potuto affidare la colonna sonora? Pare immaginarlo, quel Chris. Lasciandosi alle spalle una società ipocrita e alienante, con magari nel walkman qualche canzone dei Pearl Jam, tipo Rearviewmirror: Once and for all Im far away, hardly believe finally the shades are raised
Into The Wild costituisce dunque il debutto solista del carismatico frontman dei Pearl Jam. Il quale per loccasione rispolvera gli stilemi della sua migliore arte, troppo spesso lasciata nel cassetto dei ricordi negli ultimi anni. Eddie si cala nei panni del protagonista, contemplando il silenzio, cercando di trovare la propria voce e magari alla fine captare quella magia che ripaga le fatiche e gli smarrimenti, dando un senso compiuto allesistenza. Nelle undici composizioni qui presenti, brevi e intense come un fermo immagine di Van Sant, si stendono paesaggi di volta in volta calmi e vividi, placide mareggiate di suoni e ballate sanguigne e avvolgenti, con lombra del vecchio compare Neil Young a stendere ovunque un velo dolcissimo nel delineare gli spazi infiniti americani e lo struggimento del protagonista. Eddie mette in primo piano la sua voce, virile e calda, capace di reggersi sopra un banjo (No Ceiling), un ukulele (Rise), o di evocare con uno sghembo organo ancestrali spiriti pellerossa nella lancinante The Wolf. Se la sei corde viene graffiata soltanto nelle innodiche Far Behind e Setting Forth o nel singolo Hard Sun (azzeccata cover di tal Robert Peterson) lo zenith è raggiunto quando si sfiora il nadir di malinconia, con Vedder che ricama squisiti madrigali acustici: Long Nights, Society, End Of The Road e la conclusiva Guaranteed ammaliano, suggellando lalbum allinsegna del presagio.
Viaggiare? Per viaggiare, basta esistere affermava Fernando Pessoa. E sia lodato Eddie Vedder per eistere ancora: il suo viaggio è ben lungi dall'essere concluso.
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