R Recensione

8/10

Neil Young

Chrome Dreams II

Benché sia da diversi anni senza produrre opere memorabili, l’alacre Neil Young, ormai giunto nella fase crepuscolare di una carriera inimitabile, ha saputo mantenere una invidiabile capacità di sviluppare il proprio percorso artistico in maniera accattivante e inquieta, pur all’interno di lavori inevitabilmente discontinui.

Non fa eccezione “Chrome dreams II”, il quale però si candida prepotentemente per la palma di miglior album del Canadese da un paio lustri a questa parte. Se il titolo dell’opera rimanda a quel “Chrome dreams”  posto nel lontano 1977 dal suo autore in un limbo eterno (assieme a “Homegrown” è la più celebre delle invisibili reliquie younghiane), il contenuto riporta a lavori mitici quali “After the goldrush” o “Freedom” per le sfaccettate rifrazioni che ne avvolgono le spire. La scelta di un titolo così impegnativo e la pubblicazione di quest’opera prima dell’agognata uscita del vaso di pandora degli Archivi sono del resto due indizi significativi: “Chrome Dreams II” pare un tassello fondamentale nell’intricato mosaico del suo autore. Quasi la chiusura di un cerchio nella peculiare epica di un autore che non ha ancora smesso di evocare suggestivi miraggi americani.

L’album si snoda per buona parte su coordinate di routine: la cristallina rugiada country-folk di “Beautiful Bluebird” ( vecchio pezzo ripescato dalle session di “Old ways”) richiama palesemente l’incipit di “Harvest”, mentre il banjo che avvolge “Boxcar” disegna traiettorie polverose di squisita fattura. Questa tavolozza di colori caldi e vivaci si rafforza laddove si ammantano le atmosfere con un soul morbido ma forse troppo d’antiquariato in pezzi come “Shining light”, “The Believer” e “Ever after”, cui fa da contraltare il rifferama appuntito di “Dirty Old Man”, classico garage-punk younghiano.

Ma il cuore pulsante di “Chrome dreams II” è costituito da una splendida “trilogia della strada”: Neil prosegue il suo vagabondaggio tra le pieghe del sogno americano, tra i mirabolanti splendori e le insanabili antinomie della grande potenza. Il piglio è quello del sopravvissuto del rock, alternando rabbia, compassata mestizia e immutata speranza,  Il tour de force di “Ordinary People” è emblematico: non è un caso che Young abbia deciso di ripescare tale brano (risalente ai tempi di “This Note’s for you”, in piena epoca reaganiana) per l’occasione.  Diciotto minuti ruggenti, con la sezione fiati dei Bluetones e la sei corde di Neil che si intrecciano in un climax di grande impatto, e un testo che mischia sapientemente echi whitmaniani e la verve del vecchio Neil nel descrivere in chiave surreale e metaforica una società sempre più avulsa da una dimensione umana: impareggiabile la vertigine che regala il suo scrutare ogni persona che incontra al punto da vedere dentro se stesso.

Spirit road” è invece una corsa a rotta di collo per le human highways ventose e desolate che hanno costellato la sua carriera. La frontiera non si attraversa, si abita, si scandaglia e l’uomo col cappello da cowboy ne coglie l’essenza tessendo uno dopo l’altro riff garage-rock abrasivi e indiavolati, scanditi dalla batteria pestona di Ralph Molina. La trilogia si conclude con i 13 minuti vibranti di “No Hidden Path”: torna il Young imperscrutabile di “Sleeps with angels”, tra riff affilati e squarci melodici di sublime intensità, ma il senso di perdita e desolazione lasciano spazio a toccanti bagliori: “Will the northern lights still play as we walk our distant days/ Ocean sky, sea of blue, let the sun wash over you”.

Il sipario cala con la soave litania di “The way”: l’ennesima, perfetta ballata pianistica di Neil. Una melodia tanto semplice e puerile (con tanto di coro di bambini) quanto riuscita: una luce tenue e soffusa che viene da lontano, e illumina il ritorno a casa.

V Voti

Voto degli utenti: 7,6/10 in media su 6 voti.
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NDP 10/10
inter1964 7,5/10

C Commenti

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thin man (ha votato 8 questo disco) alle 18:20 del 31 ottobre 2007 ha scritto:

Spirit Road

Ottima analisi di un disco molto più compatto del precedente. Forse la soluzione migliore sarebbe stata quella dell'ep ma gustiamoci alcune tra le più belle canzoni dell'ultimo Neil. E ora largo ai famigerati archivi

PierPaolo alle 8:27 del primo novembre 2007 ha scritto:

Nello Giovane

Complimenti Junio,la tua prosa é sempre lucida e creativa.

Non riesco ad amare questo tuo eroe se non una piccola frazione di quanto riesci tu: niente da eccepire sull'uomo, sulla sua umanità, schiettezza, coraggio, dignità. Sulla sua autonomia ed umiltà, sulla schiena tenuta sempre dritta, nella buona e nella cattiva sorte. Ma vi sono aspetti del suo talento che mi frenano assai dall'accettarlo con entusiasmo... per dirne una, é stonato! Notevolmente stonato! Il cuore é al posto giusto siamo tutti d'accordo ma la musica ha le sue "esigenze tecniche minime", diciamo così. Per dirne un'altra, lo vivo come troppo indulgente con se stesso: per la sua sterminata produzione, che per i miei gusti sarebbe dovuta essere opportunamente filtrata, eliminando le cadute di ispirazione ed i riciclaggi di idee. Gli assoli di chitarra, ad esempio: sempre a mio parere, l'uomo non ha davvero la statura strumentistica per non tediarmi durante le lunghe divagazioni solistiche che si concede, sempre dal vivo e talvolta anche in studio. Il suo solismo é...limitato, grossolano, telefonato. Massimo rispetto, quindi, ed anche nella mia cdteca Young é ben rappresentato, ma personalmente non ho mai sentito l'anelito ad elevarlo su qualche particolare piedistallo. Un grande fra tanti altri grandi, nel mio cuore. Lo ascolto a piccole dosi

simone coacci alle 16:45 del primo novembre 2007 ha scritto:

Non condivido una sola parola di quanto generosamente espresso dal collega Pier Paolo: se eliminiamo gli "stonati con stile" ci priviamo delle menti più geniali che la musica popolare abbia mai conosciuto negli ultimi 30 anni da Bob Dylan fino a Kurt Cobain senza dimenticare Lou Reed, poi naturalmente i gusti sono gusti ma le note sono quelle, per quanto riguarda gli assoli, a mio avviso, saranno anche tediosi e grossolani ma è la vecchia storia dell'uovo di Colombo, quella maniera l'ha inventata lui, quasi da solo e quasi dal nulla, e rimane la più imitata di fin de siecle a pari merito con Pete Townshend e Jimi Hendrix (e qualche altro) (differenze intrinseche e perferenze a parte, parliamo di influenza, ovviamente). Nessuna voglia di fare polemica, si fa per parlare, poi se a uno non piace, non piace, per carità, come a me quei cazzi di Beatles (che pure ascolto come debito formativo). Su una cosa siamo d'accordo, Il Don è il Don, non sbaglia un colpo ragazzi. Però secondo me i dischi degli anni ottanta diciamo, da Hawks and Doves fino a Freedom (escluso ques'ultimo)sono molto ma molto più brutti di quelli che fa ora. Sleeps with angel e Greendale ad esempio fanno una figura decisamente migliore. Specie per un nonnetto infanticabile.

simone coacci alle 17:38 del primo novembre 2007 ha scritto:

*volevo dire Living with war e non Sleeps with angels che è del '95

PierPaolo alle 21:47 del primo novembre 2007 ha scritto:

Simone: se non avevi voglia...

...di fare polemica, come a un certo punto scrivi, non dovevi esordire con "non condivido una sola parola..." per poi invece condividere il mio elogio a Junio.

Molto ficcante ed efficace la tua definizione "stonati con stile". La sottoscriverei se tu non l'avessi poi radicalizzata e annacquata affermando in soldoni che i migliori tutti stonati.

E allora delle due: o fai di nuovo polemica ad avere scritto così, oppure in campo musicale tieni un orecchio solo storico/culturale e mai "da musicista", se capisci ciò che voglio dire. Lo dimostri accomunando Hendrix a Townshend, quest'ultimo senz'altro un genio ma dal punto di vista compositivo e strutturale, non certo chitarristico.

Direi poi che l'hard rock e poi il punk abbiano inciso parecchio nello stile all'elettrica di Neil Young, da cui ha sintetizzato il suo stile proto-grunge.

Tu fai a meno volentieri dei Beatles, io invece evito volentieri l'ascolto di Dylan, Reed e soprattutto Cobain, fermo restando il ruolo innovativo e storico del loro avvento.

DonJunio, autore, alle 1:03 del 2 novembre 2007 ha scritto:

rust never sleeps

Beh Pierpaolo, già ai tempi di debaser ci eravamo confrontati su tematiche simili, ricorderai. Tu hai una visione "aristocratica", frippiana, più intrinsecamente musicale del rock, e leggo sempre i tuoi interventi con interesse per l'intensità e il piglio mai banale con cui moduli la materia trattata. Io nelle mie analisi sovente privilegio l'impatto sociale, l'aspetto emotivo, in quanto credo che una buona fetta del posto che il rock si è ritagliato nella seconda metà del XX secolo, rispetto ad altri generi decisamente più nobili, sia da ascrivere alla sua capacità di incidere profondamente sul tessuto sociale: e questo sovente grazie a quelli che l'amico Simone ha incisivamente definito "stonati con stile". Per dirne una: Kurt Cobain non aveva un centesimo del talento musicale di uno come Frank Zappa, ma ha probabilmente cambiato la vita di chi ascoltava i suoi dischi in maniera ben più profonda, perché probabilmente nessuno come lui nella storia della cultura di massa ha insistito sull'assoluta priorità delle emozioni. L' importante è non essere troppo sbilancìati verso una parte, ma tenere il giusto equilibrio in sede di divulgazione, e il tuo intervento su Neil mi sembra decisamente equilibrato. Venendo a ciò che hai scritto. Sulla voce c'è poco da dire: il Loner non è mai stato un grande cantante, ma essendo fondamentalmente un cantautore poco importa ( Dylan docet). Io la sua voce la preferisco a quella di un Freddie Mercury, la trovo molto più intensa, vera, perché SENTE quello che canta, e non canta quasi mai cose banali, ma sovente affreschi epocali. De gustibus! Per quanto riguarda lo stile chitarristico, va però fatta una precisazione. I suoi assoli per molti anni sono stati funzionali alla ricerca di un sound ben preciso: vortice chitarristico basato sulle grandi cavalcate, gli accordi semplici e ripetuti più volte, e sull’interazione tra feedback e distorsione: il risultato è stato quello stile cacofonico e apocalittico che è stato il suo marchio di fabbrica, e che egli ha inventato nel 1969. Nessun solipsismo egocentrico da guitar hero, chiaramente, ma un discorso artistico coerente e lucido. Anche se riconosco che negli ultimi anni, sopratutto quando non era più affiancato dai Crazy Horse, certi suoi assoli insistiti su due note hanno perso lucidità e nerbo, risultando sovente pleonastici: peccati senili, evidentemente. Sull'indulgenza con se stesso, non saprei dirti. Essendo un canadese testone e scorbutico, ha sempre avuto il vizio di pubblicare tantissimo materiale: penso sia il suo modo per comunicare col mondo. Per Simone. Gli anni 80 di young sono un'epoca particolare, con dischi a volte orribili, ma a volte coraggiosi e ispirati. Alcuni andrebbero riscoperti, penso a "Reactor" e "This note's for you" in particolare. Ciao a tutti!

simone coacci alle 10:07 del 2 novembre 2007 ha scritto:

Potrei incazzarmi parecchio per il tono di questa replica, ma siccome non siamo al bar e sono ancora sobrio decido di soprassere.

"Ognuno vada dove vuole andare, ognuno invecchi come gli pare, ma non raccontare a me cos'è la libertà". E non aprirò più bocca. Ringrazio Junio.

Mboma (ha votato 9 questo disco) alle 16:34 del 5 novembre 2007 ha scritto:

ottimo album

Dott. Fottermeier alle 13:26 del 15 novembre 2007 ha scritto:

Ottima recensione come sempre Junio, il cd ancora non l'ho ascoltato, perchè in questo periodo Neil l'ho messo a riposo, però mi hai invogliato parecchio.

Alessandro Pascale alle 0:07 del 30 novembre 2007 ha scritto:

non l'ho sentito tutto e l'ho sentito pure male ma mi sento di dire che le ballate sembrano molliccie e senza un perchè mentre ordinary people da sola sembra valere il prezzo del disco. Cavolo un pezzo così Neil non lo regalava da anni. No hidden path anch'essa più che discreta anche se due gradini sotto.