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R Recensione

6/10

Ole Paus w/ Motorpsycho

Så Nær, Så Nær

Le persone che da noi conoscono Ole Paus si contano, con ogni probabilità, sulle dita di un paio di mani. In Norvegia, invece, Paus è un’autentica istituzione: poeta, cantautore, scrittore, giornalista, attore, interprete a tutto tondo degli umori di un paese in continua transizione e difensore della dignità culturale autoctona. Piuttosto che Bob Dylan, il nome cui viene più frequentemente associato nella vulgata popolare (anche se, per ridotta e sgraziatamente magnetica estensione vocale, il precipuo termine di paragone dovrebbe essere Leonard Cohen), Paus è un bardo contemporaneo à la Vladimir Vysockij, con tutte le implicazioni del caso. Non è questo il luogo deputato a discutere più nel dettaglio una pesante eredità artistica, quella dell’uomo di Oslo, che copre oramai cinque decenni e che attenderebbe un’approfondita valutazione critica. Il traguardo del cinquantenario, simbolico e fondamentale, viene celebrato con i sigilli della grande occasione: “Så Nær, Så Nær”, registrato in Francia nel giugno del 2019, è un disco composto a quattro mani nientemeno che con i Motorpsycho in formazione allargata (ritorna Reine Fiske come quarto membro aggiunto), qui eccezionalmente autori di tutte le musiche.

Il canovaccio, al netto dell’impianto lirico di Paus, è tutto sommato semplice: attorno ai rochi borbottii e i flussi rapsodici in bokmål del bardo, che possono piacere o irritare l’ascoltatore (comunque inintelligibili, al di là del loro curioso aspetto fonosimbolico, per chi non conosca la lingua), la backing band costruisce una narrazione rock-blues convenzionale, vecchio stile, dalla vaga e sporadica accentuazione prog (come nella strimpellata folkish di “Klaus Og Livet”, dove i mellotron di Snah e Fiske, prima di gonfiarsi nell’epico ritornello elettrico, sembrano donare un’aura jethrotulliana al brano). Anche se, da subito, l’operazione rivela la propria limpida natura conservatrice, alcuni episodi non sembrano essere troppo lontani da certi vecchi autografi del side project The International Tussler Society: anzi, la visceralità e il trasporto emotivo di svariati passaggi (il ticchettante hard-southern di “Ingenmannsland”, il gustoso omaggio all’Allmann Brothers Band in “Tvillingen”) hanno precisamente l’aria di essere usciti dal canzoniere di “Motorpsycho Presents The International Tussler Society” (2004). Particolarmente a loro agio nel formato del bozzetto acustico (il blues di “Helt Tilfeldig”, l’ottimo inciso drakeiano di “Blonde Beist”), Paus e Motorpsycho tendono invece a sbracare quando il volume degli amplificatori si alza: se la caricatura dei Cream in “Hvitt Lys (Dolphins Farvel)”, per quanto legnosa, è ancora bypassabile, discutibile è la sciarada corale di “Fest I Hovedstaden” (tra i Deep Purple e i King Crimson di “Epitaph”) e semplicemente interminabile la conclusiva “Ruinbyen” (13:28), il cui intenso pathos hard-prog – perfetto entro i primi tre minuti – viene inutilmente annacquato nel bulimico sovrapporsi di successivi quadri narrativi (incluso il lungo epilogo minimale, in cui compare timidamente il violino di Mari Persen).

In attesa del nuovo doppio “The All Is One”, la cui uscita è prevista per fine agosto, questa inedita collaborazione terrà impegnate, non fosse altro che per curiosità, le orecchie dei motorpsychonauts più accaniti. Tutti gli altri possono tranquillamente passare oltre.

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