V Video

R Recensione

8/10

Samuel Katarro

Beach Party

Nel mondo di Alberto Mariotti, giovane ragazzo pistoiese, regna la desolazione. Il vuoto interiore. E, nel contempo, la loro consapevolezza. La capacità di inquadrare un istante con poche parole o un riverbero di slide. L’essenza, la reductio ad unum. Una doppia anima: la prima, sofferta e sofferente, che imbraccia una chitarra acustica, con pochi sprazzi elettrici, e ne tira fuori dei blues viscerali, estremamente partecipati, scomodi, profondi nella loro umanità. La seconda, che transmigra un cinquantennio avanti, nell’era della new wave (o della no-wave?), con atmosfere piatte, squarci di abbandono e solitudine, fruscii e sibili, una voce che si trascina lamentosamente canzone per canzone: nasale, alcolica, biascicata.

Ricordo benissimo l’hype sollevatosi intorno alla figura di Vasco Brondi, alias Le Luci Della Centrale Elettrica, esattamente un anno fa, in occasione dell’uscita del suo primo, omonimo demo. Anche in quel caso, un nuovo cantautore, voce e chitarra, Rino Gaetano e rock di protesta buttati giù come se piovesse, tono ruvido ed esistenziale per dieci pezzi di vetro dall’enorme potenza espressiva. Tempo qualche mese, l’approdo ufficiale su una label e una produzione di Giorgio Canali: nella centrale elettrica sono andati in cortocircuito un bel po’ di lumi.

Qui il discorso è differente. Il Nostro attinge, per la sua immagine e la sua musica, da molte più fonti rispetto a quelle del collega ferrarese. Pare, talvolta, di stare a sentire i deliri di un Syd Barrett che sta per annegare nel Delta più nero della storia del blues (“Headache”, con tanto di motivetto down&out in tastiera). Lo stile, seppur sobrio ed essenziale, vive numerosi momenti felici: si passa da “From Texarkana To Texarkana”, traccia d’apertura, un’odissea westernata dove i sibili del sintetizzatore sono, al contempo, i sospiri e le geremiadi del cantante, mentre la sei corde scrosta via, in un colpo solo, Morricone e Robert Johnson, a “Wicked Child”, graffiante nenia che, per costruzione e cantato, potrebbe ricordare alla lontana un Tim Buckley inzuppato nelle gelide architetture dei Pere Ubu.

Undici brani che, sebbene sforino in poche occasioni il convenzionale tetto dei tre minuti, riescono a condensare un grande numero di concetti. Ascoltando il caracollare lento ed assonnato di “The Moonlight Murders Psychedelic Band”, tenebrosa litania che rivede Micheal Gira in salsa steel (guitar, d’intende), non sembrerebbe nemmeno, linee vocali a parte, di stare a sentire lo stesso autore del country sgangherato di “There’s A Lady Inside The Cabin”, dalle improvvise accelerazioni che, se fossero state concepite in un’ottica elettrica, sarebbero suonate decisamente ruvide e scartavetranti. Così come il falsetto di “Terminally Illness Blues”, splendida burella di due minuti che sembra fare quasi da ponte, potrebbe fare a pugni con l’andatura mid-solenne di “Dead Man In A Canoe”, folk rock pieno di tizzoni, con distorsioni roventi. La casa a Pistoia, il cuore a Duluth.

Un’avvertenza: la title-track, posta in chiusura, potrebbe trarvi in inganno, con i suoi toni dimessi, più distesi e, per assurdo, quasi più americani. Non fatevi raggirare e tenete sempre le orecchie bene in allerta, perché Mariotti è pronto ad addentarvi le viscere con un travaglio allucinogeno che lascia profondi solchi, non solo a livello interiore. Una salita sul Golgota dagli strascichi noise, che vi spezzerà le gambe con un finale palpitante e nevrastenico (“Com-Passion”, piccolo gioiello).

Dimenticavo: il Nostro si fa chiamare Samuel Katarro. E questo, l’avrete intuito, non è un disco di canzoni da spiaggia.

V Voti

Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 8 voti.
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IcnarF 8/10
REBBY 6/10
ThirdEye 7,5/10

C Commenti

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IcnarF (ha votato 8 questo disco) alle 16:11 del 5 gennaio 2009 ha scritto:

Domanda idiota

Recensione assolutamente ineccepibile -tranne che per alcuni riferimenti che mi hanno fatto storcere il naso (Morricone?)- rispetto alla mia su DeB. Comunque, come si fa a "inzuppare" qualcosa in un'architettura?! Ciao Bisius

simone coacci alle 18:35 del 5 gennaio 2009 ha scritto:

L'ho ascoltato ieri notte sul "Suo Space" e mi ha lasciato abbastanza perplesso. Una sensazione che di per se non è affatto negativa, anzi, rimango sempre un po'sconcertato, inzialmente, di fronte alle cose che poi rivelano un'"elettività" profonda. Resta da vedere in che modo si evolverà questa prima impressione. Bisio Docet, in ogni caso.

Alessandro Pascale (ha votato 8 questo disco) alle 12:05 del 16 gennaio 2009 ha scritto:

caspita ma sto ragazzzo in pratica è il discendente diretto di David Thomas (Pere Ubu) che gioca a fare il songwriter folk-blues. Davvero sorprendente la somiglianza vocale-stilistica tra i due. E davvero gradevole anche il disco in sè. Col senno di poi una delle cose più interessanti uscite in Italia nel 2008

bargeld (ha votato 7 questo disco) alle 21:26 del 28 marzo 2009 ha scritto:

beh Com-passion è davvero trascinante (ma sulla mia copia è la terza non è in finale... perchè?), e il ragazzo ha sicuramente talento e ispirazione. Continuo a preferirgli il buon Brondi che mi folgorò al primo ascolto, non lapidatemi però!

FrancescoB (ha votato 7 questo disco) alle 20:36 del 14 luglio 2010 ha scritto:

Quoto in pieno il post di Peasy. Disco interessante, vario e piuttosto complesso, ma anche diretto e sentito, vivo. Da approdondire.