Samuel Katarro
Beach Party
Nel mondo di Alberto Mariotti, giovane ragazzo pistoiese, regna la desolazione. Il vuoto interiore. E, nel contempo, la loro consapevolezza. La capacità di inquadrare un istante con poche parole o un riverbero di slide. Lessenza, la reductio ad unum. Una doppia anima: la prima, sofferta e sofferente, che imbraccia una chitarra acustica, con pochi sprazzi elettrici, e ne tira fuori dei blues viscerali, estremamente partecipati, scomodi, profondi nella loro umanità. La seconda, che transmigra un cinquantennio avanti, nellera della new wave (o della no-wave?), con atmosfere piatte, squarci di abbandono e solitudine, fruscii e sibili, una voce che si trascina lamentosamente canzone per canzone: nasale, alcolica, biascicata.
Ricordo benissimo lhype sollevatosi intorno alla figura di Vasco Brondi, alias Le Luci Della Centrale Elettrica, esattamente un anno fa, in occasione delluscita del suo primo, omonimo demo. Anche in quel caso, un nuovo cantautore, voce e chitarra, Rino Gaetano e rock di protesta buttati giù come se piovesse, tono ruvido ed esistenziale per dieci pezzi di vetro dallenorme potenza espressiva. Tempo qualche mese, lapprodo ufficiale su una label e una produzione di Giorgio Canali: nella centrale elettrica sono andati in cortocircuito un bel po di lumi.
Qui il discorso è differente. Il Nostro attinge, per la sua immagine e la sua musica, da molte più fonti rispetto a quelle del collega ferrarese. Pare, talvolta, di stare a sentire i deliri di un Syd Barrett che sta per annegare nel Delta più nero della storia del blues (Headache, con tanto di motivetto down&out in tastiera). Lo stile, seppur sobrio ed essenziale, vive numerosi momenti felici: si passa da From Texarkana To Texarkana, traccia dapertura, unodissea westernata dove i sibili del sintetizzatore sono, al contempo, i sospiri e le geremiadi del cantante, mentre la sei corde scrosta via, in un colpo solo, Morricone e Robert Johnson, a Wicked Child, graffiante nenia che, per costruzione e cantato, potrebbe ricordare alla lontana un Tim Buckley inzuppato nelle gelide architetture dei Pere Ubu.
Undici brani che, sebbene sforino in poche occasioni il convenzionale tetto dei tre minuti, riescono a condensare un grande numero di concetti. Ascoltando il caracollare lento ed assonnato di The Moonlight Murders Psychedelic Band, tenebrosa litania che rivede Micheal Gira in salsa steel (guitar, dintende), non sembrerebbe nemmeno, linee vocali a parte, di stare a sentire lo stesso autore del country sgangherato di Theres A Lady Inside The Cabin, dalle improvvise accelerazioni che, se fossero state concepite in unottica elettrica, sarebbero suonate decisamente ruvide e scartavetranti. Così come il falsetto di Terminally Illness Blues, splendida burella di due minuti che sembra fare quasi da ponte, potrebbe fare a pugni con landatura mid-solenne di Dead Man In A Canoe, folk rock pieno di tizzoni, con distorsioni roventi. La casa a Pistoia, il cuore a Duluth.
Unavvertenza: la title-track, posta in chiusura, potrebbe trarvi in inganno, con i suoi toni dimessi, più distesi e, per assurdo, quasi più americani. Non fatevi raggirare e tenete sempre le orecchie bene in allerta, perché Mariotti è pronto ad addentarvi le viscere con un travaglio allucinogeno che lascia profondi solchi, non solo a livello interiore. Una salita sul Golgota dagli strascichi noise, che vi spezzerà le gambe con un finale palpitante e nevrastenico (Com-Passion, piccolo gioiello).
Dimenticavo: il Nostro si fa chiamare Samuel Katarro. E questo, lavrete intuito, non è un disco di canzoni da spiaggia.
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