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R Recensione

5,5/10

Pearl Jam

Lightning Bolt

Autunno di ricordi e festeggiamenti per l’epopea della scena di Seattle. Il ventennale dell’uscita di “In Utero” è stato accolto con ristampe, recensioni e dibattiti attorno alla figura di Cobain e del suo lavoro più discusso e controverso, probabilmente uno dei lasciti più preziosi della stagione grunge.  Poche settimane dopo furono i Pearl Jam a dare un seguito al bestseller “Ten” invadendo i negozi con “Vs.”, album che polverizzò ogni record di vendita nella prima settimana di pubblicazione negli USA ( nonostante nessun videoclip fosse passato a sostegno sull’allora onnipotente MTV) e che stabilì i canoni della carriera da lì seguita dalla banda Vedder: una serie di trattati di epica americana ispirati da Young, R.E.M. e Springsteen, con apice nel dolente “Vitalogy” - per molti il “Tonight’s the night” della loro generazione -  e  dopo “Binaural” reso in maniera sempre meno ispirata.

A distanza di 20 anni c’è dunque un altro ottobre all’insegna della band nata sulle ceneri di Green River e Mother Love Bone, che torna in pista con “Lightning Bolt”, a quattro anni esatti di distanza dal precedente “Backspacer”. Nessuna novità sostanziale per il quintetto americano, a parte Stone Gossard che riacquista incredibilmente un po’ di chioma, con il consueto alternarsi di contrasti,  assalti elettrici alla tardi Who e riflessive ballate. Un rock maturo e radiofonico, ben suonato e infiocchettato con mestiere da Brendan O’Brien, ma che non riesce a trasmettere niente di più profondo del mero intrattenimento: il classico album che l’ascoltatore medio americano può mettere nel lettore cd in macchina, nei trenta di minuti di tragitto da casa al lavoro.

Le ostilità (per commentarla come il compianto Sandro Ciotti, ma si fa per dire) sono aperte dal consueto, chiassoso uno-due di  “Getaway” e del singolo “Mind your manners”, che ripete palesemente lo schema di “Spin the black circle” del 1994. Davvero difficile trovare un brano potente e veloce che lasci il segno: le varie “Lightning Bolt“ o “Let the records play”, coi loro intrecci hard-bluesy di routine, suonano trasgressive quanto un prete in calzoncini corti, nonostante l’indubbia perizia di un McCready  in gran spolvero e il sempre possente drumming di Matt Cameron. Non è un segreto del resto che i Vedder Boys ormai si trovino più a loro agio quando le atmosfere si fanno più rilassate, ma all’altezza della loro fama sembra esserci solo la patina nebraskiana che avvolge “Future Days”, forte anche di un misurato tappeto d’archi. La melensa “Sirens” si avvolge presto su se stessa e nell’ accorata confessione di “Sleeping by myself” Vedder non scalda i cuori come un tempo. 

L’episodio più riuscito a questo giro appare la ballatona “Yellow Moon”, con la band che ritrova per pochi minuti un’alchimia felice mentre McCready infila un paio di gustosi assoli gilmouriani e Vedder si libra in un'interpretazione degna di "Into the Wild"; e l’estrosa “Pendulum”, in cui Gossard e Ament tirano fuori un deciso colpo di coda, da veterani di gran classe. Ma è troppo poco. The smallest oceans still get big big waves, cantava il buon Eddie in “Tremor Christ”: stavolta l’onda è davvero bassa.

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Dengler 7,5/10

C Commenti

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swansong alle 11:42 del 22 ottobre 2013 ha scritto:

Ai PJ concedo sempre una chance e lo farò anche questa volta..c'è da dire, però, che i due singoli fino ad ora ascoltati non mi hanno fatto per nulla impazzire, anzi. Sirens, poi, del tutto "avulsa" dal loro tipico repertorio, mi fa ammosciare dopo due minuti, nonostante un piacevole assolo di McCready. Mi domando..tutte le canzoni sono scritte dal solo Vedder, ormai da tempo definitivo ed incontrastato "deus ex machina" del sound pearljamiano, ha ancora senso andare avanti col progetto? Mah..intanto torno ad ascoltarmi "Into the Wild"

nebraska82 alle 14:32 del 22 ottobre 2013 ha scritto:

sono abbastanza d'accordo con te, non ho ascoltato ancora il disco ma i due singoli non sono proprio un buon biglietto da visita....probabilmente fanno un album ogni tanto sia per soddisfare lo zoccolo duro dei fans( ancora numerosissimo), sia perché sono musicisti che suonano insieme da una vita e si divertono ancora nel farlo.

The musical box alle 13:51 del 22 ottobre 2013 ha scritto:

Ma questa si può definire una recensione di un disco?

salvatore alle 14:17 del 22 ottobre 2013 ha scritto:

Ma è la recensione (che a mio modesto parere funziona benissimo: inquadra il disco e le tonalità dello stesso, si concentra sui brani più significativi - nel bene e nel male - e giustifica il giudizio) a darti fastidio o il voto? Nel primo caso, potresti utilizzare la funzione commento in modo costruttivo e spiegare i motivi per cui non sei dello stesso avviso del recensore. Nel secondo, fartene una ragione.

4AS alle 16:15 del 22 ottobre 2013 ha scritto:

I pochi pezzi che ho ascoltato oscillano tra il patetico e la muffa. Mi sembrano fuori tempo ormai. Delle vecchie glorie, attualmente apprezzo solo i R.E.M., perché si sono sciolti

The musical box alle 10:09 del 24 ottobre 2013 ha scritto:

Io credo che questo lavoro prima di essere giudicato debba essere contestualizzato. I Pearl Jam sono forse insieme ad altri pochi sopravvissuti onorevoli tutto quello che rimane del rock inteso come passione e poesia capace di sconvolgerti con una canzone di 4 minuti chitarra batteria e basso. Hanno scritto la storia degli ultimi 20 anni e la loro carriera non è al comtrario di come si viene dipinta in giro piatta e fatta dello stesso schema ripetuto all infinito fino alla nausea. Detto questo dopo i fasti del grunge e soprattutto dopo un periodo di ispirazione unico quale è stato quello dal 96 con No Code fino al 2003 con Riot Act (sicuramente il disco più sottovalutato della loro discografia) arriviamo ad oggi in cui paradossalmente nel periodo meno ispirato della loro storia si attende con ansia un loro disco quasi dovessero salvare la musica o dimostrare qualcosa di diverso. Dopo la delusione devastante che fu quel Backspacer tanto venduto quanto vuoto di idee e sentimenti arriviamo a questo Lightning Bolt che io sto apprezzando. Gateway sola dimostra come ad oggi non ci sia nessuno capace di scrivere un pezzo semplice com questo tiro..bene il disco nelle prime tre quindi...poi si gioca sul cambio di ambientazione più che altro con risultati alterni: bene in Pendulum e Swallowed Whole e malissimo in Infallible che si salva solo per una buona intuizione iniziale. Come da copione il disco sfuma con i pezzi più intimi del lotto dove uno stupendo arrangiamento di Sleeping BY Myself e la fantastica Yellow Moon coprono giustamente un finale troppo vedderiano che non trova in Future Days un finale all altezza della preparazione precedente. Un commento a parte meritano Sirens e la title track. Se la seconda che rimane su una struttura sicura per i Pearl Jam rappresenta la miglior prestazione vocale su un suono che volutamente non vuole esplodere ma rimanere classico Sirens invece è la ballatona che non ti aspetti dai nostri...ruffiana? Forse...pop? Sicuramente...emozionante però e da morire che non ne fai a meno e vivendo su un filo molto sottile non scende mai per essere una carezza fastidosa alla aerosmith come ho letto o chiunque del genere per favore. Non c era nulla da dimostrare ma da suonare per il gusto di farlo e in questa ottica questo disco riscatta il precedente pur non avendo un anima vera ma presentandosi come collage di pezzi. Testi fantastici e voce che potrebbe sinceramente cantare anche l elenco telefonico con successo.

Lezabeth Scott alle 11:39 del 24 ottobre 2013 ha scritto:

Per me dovresti sincronizzarti, fratello. Noi siamo cresciuti e i gruppi con cui siamo cresciuti sono invecchiati. Male, in questo caso. Rinnovare il guardaroba musicale in vista dell'inverno può essere una buona soluzione.

The musical box alle 10:37 del 24 ottobre 2013 ha scritto:

"le rare superstars che continuano a suonare come se ogni loro show fosse l'ultimo" e per questo sopra a qualsiasi gruppo pseudo innovativo dei nostri tempi che non hanno peso e non producono un vero gruppo rock da anni eccezion fatta forse solo per gli Arcade Fire. Il rock e la musica sono sudore e strada e io a queste persone ci credo perché sono vere

nebraska82 alle 11:31 del 24 ottobre 2013 ha scritto:

beh questo si puo' dire per tanti però, mica ci sono soli i pearl jam...per dire anche springsteen dal vivo è ancora il numero 1, un simbolo di quel tipo di rock che dici tu, però in studio ahimé non azzecca un bel disco da un sacco di tempo.

The musical box alle 12:06 del 24 ottobre 2013 ha scritto:

Forse non è chiaro il fatto che il mio bagaglio musicale per l inverno non si ferma ai Pearl Jam ma qui si parlava di un argomento lasciamo stare va..buon inverno a tutti

Lezabeth Scott alle 12:39 del 24 ottobre 2013 ha scritto:

Ah ora mi sento più sollevata. Da come parlavi mi sembravi uno di quei talebani del forum del fan club italiano. Quelli sono i peggiori. Ne ho conosciuti un paio. Gentaglia proprio.

The musical box alle 12:19 del 24 ottobre 2013 ha scritto:

E poi il commento sulla vecchiaia e' la cosa più tremenda che abbia mai letto...come se l età determinasse la qualità..robe da matti

4AS alle 16:10 del 24 ottobre 2013 ha scritto:

Ovviamente non si parlava di vecchiaia anagrafica, bensì artistica. Cioè, per fare un esempio, se uno nel 2013 propone una roba tipo "Mind Your Manners" a me fa un po' ridere. Guarda, non per snobismo, semplicemente mi sembra una cosa ri-ri-ri-ciclata, che mi suona innocua e superflua.

PetoMan 2.0 evolution (ha votato 7 questo disco) alle 22:52 del 24 ottobre 2013 ha scritto:

Un onesto disco rock, suonato con mestiere e personalità. Non c'era di certo da aspettarsi un nuovo Vitalogy, e mi sembra anche ovvio, visto che sono passati 20 anni e quei Pearl Jam non ci sono più. Comunque meglio di avocado e anche di backspacer, quindi a me personalmente tanto bolliti non sembrano.

andrea-s (ha votato 5 questo disco) alle 11:10 del 25 ottobre 2013 ha scritto:

Delusione, una vecchia zuppa per nostalgici.

NathanAdler77 (ha votato 5 questo disco) alle 20:20 del 31 dicembre 2013 ha scritto:

Confrontato con questo "Lightning Bolt" (copertina oltre ogni limite di decenza) l'ultimo, onesto Soundgarden è un nuovo "Badmotorfinger". Salvo a malapena "Pendulum", "Yellow Moon" e la nostalgica "Future Days", ormai Vedder & soci sono più incartapecoriti di una cover-band springsteeniana formata da grassi bovari texani.