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R Recensione

8/10

Stefano Pilia

In Girum Imus Nocte Et Consumimur Igni

Nel marzo 2018 ebbi la straordinaria fortuna di vedere dal vivo Glimpses Of A Day, progetto inedito di Alessandra Novaga e Stefano Pilia, ossia due dei migliori chitarristi che, per capacità tecniche e ispirazione concettuale, possiamo oggi vantare in Italia. Conservo un ricordo distinto di quella serata, legato in particolare alla seconda parte dell’esibizione, quando le sei corde dei due protagonisti – sino a quel momento coinvolte nell’esecuzione di sequenze morse non consequenziali, accenni di rāga variamente trasformati dall’effettistica e dall’approccio manuale allo strumento – cominciarono a sfidarsi in una tenzone immaginifica, uno scambio di fulminee sequenze destrutturate alla maniera di fenomeni atmosferici che appaiano e scompaiano all’occhio dello spettatore in una frazione di secondo (l’innesco di un’aurora boreale, un lampo, il riverbero del sole al tramonto): la sorprendente evoluzione di un dialogo a bassa voce fittamente intessuto nei minuti precedenti, uno squarcio di mutacica ed astratta emozionalità sulla tela concreta di un palcoscenico.

Ritrovare nelle pieghe di “In Girum Imus Nocte Et Consumimur Igni” quel senso di immota, estatica contemplazione non è forse un caso, specialmente per un disco che già dal titolo palindromico – in questo doppiando, per ambizione metamusicale, il trattato semiotico avant-blues del notevolissimo precedente “Blind Sun – New Century Christology” (2015) – vive di sfide all’aleatorietà, di simmetrie tematiche e numerologiche, di anse labirintiche e rimandi spiraliformi (ritornare allo stesso punto, ma da una diversa prospettiva), di anabasi e catabasi e dei processi controalimentanti che da quelle conducono a queste. Sviscerare nel dettaglio lo speculare studio di affinità armoniche e concettuali che ha portato alla stesura del disco richiederebbe qualcosa di più di una digressione nel corpo principale di un altro testo, per cui ci limitiamo a rimandare alle sintetiche note di presentazione contenute nello spazio Bandcamp del chitarrista sardo. Qui preme sottolineare come la maturazione del percorso artistico di Pilia sia ormai giunta, anno dopo anno, disco dopo disco, ad altezze affatto immaginabili per la stragrande maggioranza dei suoi colleghi. Quella di “In Girum Imus Nocte Et Consumimur Igni” è, nel metodo e nel merito, una nuova forma di classica contemporanea elettroacustica, una kosmische da camera in cui convivono slanci titanici e ripiegamenti introspettivi, melodie celesti e dissonanze iperuraniche: qualcosa che, nella teorizzazione come nella realizzazione, quasi intimorisce.

Spazio dunque al motore immobile chitarristico di Pilia, che a partire dall’iniziale “Caduta °” si fa candida sinfonia neoclassica in crescendo, trasfigurata dal volteggiare degli archi e da repentine, improvvise ombreggiature di filiformi drone industriali, come una nube solitaria che stravolga col suo plumbeo presagio la morfologia di un cielo terso: è uno schema che, al lato opposto della scaletta, destruttura la pensosa sonata pianistica di David Grubbs (Squirrel Bait, Codeine, Gastr del Sol) in un insieme di semirette riunite in lentissimo moto centrifugo attorno ad un nocciolo atomico in fissione (“Melusina +”). Gelidi refoli ambientali in backwards spirano su ciò che rimane di un kyrie devastato dall’inesorabile scorrere del tempo (“Salita °” riduce in poltiglia isolazionista le strutture corali degli ultimi OZmotic), laddove il violino del vecchio sodale Rodrigo D’Erasmo è un lamento che riecheggia tra le pareti sepolcrali di una trenodia post rock à la Decasia (“Sirena +”). Particolarmente penetranti, su tutti, sono i due tronconi che prendono ispirazione nominale dal titolo del disco: al puntinismo proteiforme di “In Girum Imus Nocte *”, “Et Consumimur Igni *” contrappone un soundscape da orizzonte degli eventi in cui viene samplizzata nientemeno che una composizione polifonica di Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525-1594).

È già passato un anno dalla sua uscita in vinile, ma la forza espressiva di “In Girum Imus Nocte Et Consumimur Igni” non è stata minimamente scalfita. Segno, retorica a parte, della grandezza di un disco destinato a rimanere ancora a lungo.

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