Flying Burrito Brothers
The Gilded Palace Of Sin
The Gilded Palace Of Sin è da considerarsi senz’altro come uno dei maggiori lavori di country – rock di sempre, realizzato dai Flying Burrito Brothers la cui formazione annoverava nel suo nucleo originale Chris Ethridge (basso), Chris Hillman dei Byrds, Pete Kleinow e, molto probabilmente, il più grande autore della musica country – rock, vale a dire Gram Parsons.
La vita di quest’ultimo fu costellata da vari avvenimenti luttuosi, con il suicidio del padre e la morte della madre afflitta a quanto pare da problemi di alcolismo. Ebbe diverse esperienze musicali, prima con la International Submarine Band, successivamente nei Byrds e Flying Burrito Brothers per poi registrare due dischi a suo nome. Dedito ad una vita dissoluta e sregolata caratterizzata dall’uso di sostanze stupefacenti, droghe e alcol, morì nel deserto di Joshua Tree all’età di 26 anni.
Personaggio atipico, in fondo lontano dallo stereotipo della classica rock star, estrinsecò le caratteristiche della sua personalità in un formato musicale assolutamente valido, pieno di sensibilità ed emozione.
A parere di chi scrive il contributo maggiore o comunque sia l’apice qualitativo è stato raggiunto da Parsons proprio in The Gilded Palace Of Sin e non, seppur veramente di ottima qualità, nei suoi album solisti.
L’opera citata è costituita nel suo insieme da brillanti canzoni e ballate che indagano sulla solitudine, sul decadimento e sulla desolazione umana, con autentici momenti di pura poesia e dolcezza esistenziale.
Dark End Of The Street viene ad essere null’altro che la rappresentazione di un viaggio solitario, che si dipana attraverso intrecci chitarristici dotati di una grande sensibilità melodica e si pone come manifestazione degli stati più interiori e profondi dell’anima. La canzone, scritta da Dan Penn, è cantata con struggente amarezza, suggello del disadattamento esistenziale in fondo inevitabile dell’individuo:
At the dark end of the street
that is where we always meet
hiding in shadows where we don't belong
living in darkness, to hide alone…
When the daylight all goes around
And by chance we're both down the town
Please meet, just walk, walk on by
Oh, darling, please don't you cry
You and me, at the dark end of the street
You and me…
(Nella fine oscura della strada
Dove noi ci incontriamo sempre
Nascondendoci nelle ombre dove non ci apparteniamo
Vivendo nell’oscurità, nascondendoci soli…
Quando la luce del giorno è tutt’intorno
E per caso ci troviamo entrambi giù in città
Ti prego incontriamoci, cammina, continua a camminare
Oh, piccola, ti prego non piangere
Tu e io, nella fine oscura della strada
Tu e io…)
Sin City si distingue per la sua forma musicale caratterizzata da un incedere lento e sommesso. Il brano presenta intrecci sonori improntati all’essenziale, scarni ma capaci di “toccare” le corde dell’anima unitamente ad un cantato sensibile e sofferto. Sia la musica che le parole si pongono come una sorta di predicazione country – rock apocalittica inerente il tema del peccato e della corruzione:
This old town is filled with sin
It'll swallow you in
If you've got some money to burn
Take it home right away
You've got three years to pay
And Satan is waiting his turn…
On the thirty-first floor your gold-plated door
Won't keep out the Lord's burning rain
(Questa vecchia città è piena di peccato
Ti inghiottirà dentro
Se hai un po’ di soldi da bruciare
Portali a casa
Hai tre anni per pagare
E Satana sta aspettando il suo turno
Nel trentunesimo piano la tua porta placcata d’oro
Non terrà lontano la pioggia bruciante del Signore)
Christine’s Tune si discosta sotto un profilo puramente musicale dal resto dei brani presenti, possedendo un piglio e un carattere meno inquietante e dimesso. Wheels viene ad essere un'altra formidabile cavalcata country – rock epica, richiamante un immaginario costituito da vasti paesaggi desolati e infinitamente colmi di dolce amarezza.
Juanita è una ballata introdotta da magistrali rintocchi chitarristici capaci di creare, come in molti altri brani di quest’opera, un flusso di emozioni forte e intenso di carattere prevalentemente intimo e malinconico.
L’inizio di My Uncle è decisamente atipico, un po’ come in Christine’s Tune, in quanto più sbrigliato e lievemente meno malinconico rispetto alla media. Il brano prosegue poi su collaudati binari rurali e campestri con la messa in evidenza proprio nel suo prosieguo di aspetti vagamente evocativi, esprimendo una semplicità da country tossico che racchiude l’essenza più vagabonda dell’individualità di Parsons.
Do Right Woman è un'altra dolce e polverosa ballata piena di sentimento e sempre caratterizzata da una struggente ed eroica amarezza e forte rassegnazione. Hot Burrito No. 1 presenta al suo inizio dei toni vagamente oscuri per poi raggiungere un intensità emotiva vera, delicata e pura, probabile espressione anch’essa della personalità di Parsons:
You may be sweet and nice,
But that won't keep you warm at night
'Cause I'm the one who showed you how
To do the things you're doing now.
He may feel all your charms.
He might hold you in his arms,
But I'm the one who let you in.
I was right beside you in the end.
Once upon a time,
You let me feel you deep inside,
But nobody knew, nobody saw.
(Tu magari sei dolce e bella.
Ma questo non ti scalderà la notte
Perché io sono l’unico che ti ha mostrato come
Fare le cose che stai facendo ora.
Lui magari ti tiene tra le sue braccia
Ma io sono l’unico che ti ha lasciato
Stavo bene accanto a te.
C’era un tempo,
In cui tu lasciavi che io ti sentissi profondamente
Ma nessuno lo sapeva, nessuno ha visto)
Do You Know How It Feels (to be lonesome) richiama, a tratti, Hank Williams e risulta essere un altra potente dichiarazione di cosmica solitudine.
L’intero album si distingue anzitutto sotto un aspetto meramente concettuale. Il palazzo dorato del peccato è infatti un opera di chiara denuncia, talvolta sociale, che regredisce poi infine sempre all’uomo, alla sua condizione e , in fondo, alla sua miseria esistenziale contrassegnata dal peccato, dall’egoismo, dalla solitudine, da amori crollati e instabilità emotiva e personale.
Ma il disco può anche essere letto nel dispiegare di alcuni brani come l’espressione di un desiderio di libertà rappresentata, volendo operare in senso figurativo, come un immensa prateria, comunque sempre desolata e misera, dove poter cavalcare solitari. Il tutto in una forma musicale country – rock assolutamente di qualità dove la voce di Parsons e i flussi, più che suoni, di chitarra si fondono in un pastiche sonoro polveroso ma al contempo raffinato ed elegante.
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