R Recensione

8/10

Grant Lee Phillips

Little Moon

Grant Lee Phillips è in giro da più di 20 anni, e può vantare un curriculum di tutto rispetto. Prima i bagliori carbonari degli Shiva Burlesque, l’ala più classicamente psichedelica della scena trance di Los Angeles a fine anni 80. Quindi l’esperienza dei Grant Lee Buffalo, tra le più significative dell’alt-country della decade successiva, grazie in particolare a due dischi. Il funambolico “Fuzzy”, fulmine a ciel sereno nel suo suonare come il Neil Young di “Harvest” compresso in una camicia di flanella ornata con le piume di Ziggy Stardust. E il monumentale “Mighty Joe Moon”, in pratica il secondo album di The Band riletto attraverso il prisma gotico dei Joy Division.

 Opere troppo intelligenti e introspettive in un’epoca in cui erano proposte ben più rumorose e astute a trovare oceanici consensi, tra il grunge ormai biodegradato e il roots-rock radiofonico di Counting Crows, Live e compagnia cantante. Poi, l’inesorabile declino con un’ opera interlocutoria che cercò invano di risalire la corrente, troppo devota agli amici Stipe e Buck senza averne la cinica incisività (“Copperopolis”), e un viaggio senza ritorno in un pallido feeling americana  (“Jubilee”).

Quindi l’avvio di una carriera solista improntata a un rock mainstream e orientata a ricalcare le orme di un altro, geniale perdente di lusso: Paul Westerberg. Proprio come il leader dei Replacements, Grant ha soltanto raramente dato prova del suo talento e della passata gloria una volta messosi in proprio. “Little Moon”,  l’ultimo parto dell’autore di “America snoring”, riapre un discorso in cui i fili col passato vengono riannodati con un songwriting finalmente all’altezza dall’inizio alla fine e arrangiamenti calibrati al punto giusto.

Good morning happiness” apre le ostilità con una fanfara gioiosa condita da un assolo ronsoniano, apripista perfetto per il sentiero in cui si muoveranno il guizzante vaudeville di “The sun shines down on Jupiter” e la jazzata “It ain’t the same old cold war”. In certi frangenti sembra di scorgere un Bruce Springsteen tornato sulla sponda del fiume con la E Street Band, disincantato ma non domo: si ascoltino l’impeto torrenziale di “Strangest Thing” e “Seal it with a kiss” o l’accorato piglio di “One morning”.

  Pezzi classici e lineari, lontani dal Phillips che sfibrava la propria chitarra lambendo lidi quasi shoegaze in “Fuzzy”, ma animati dal medesimo furore. Le stimmate dei Buffalo più originali, quelli Nashville-decadenti, affiorano nella morbida “Little Moon”, quasi un sequel della boweiana “Mockingbirds”, e nei languidi intarsi chitarra-piano di “Nightbirds” e “Violet” , chiaroscuri ravvivati dalla sua consueta voce virtuosa. E che dire della pianistica di “Blind Tom”, tra il Young più solenne e gli Eels? I Coldplay camperebbero cinque anni con un pezzo del genere. E quando Grant si lascia andare ad una rassicurante e sottilmente retorica confessione in “Older now” , inevitabilmente scatta un po’ di nostalgia per i tempi in cui egli stampava versi inquieti e indelebili tipo “We hunger for a little faith to replace the fear”. Si tratta in fondo di peccato veniale, stiamo invecchiando anche noi.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 4 voti.
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target 8/10
REBBY 6/10

C Commenti

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hiperwlt (ha votato 7 questo disco) alle 0:26 del 31 dicembre 2009 ha scritto:

neanche a farlo apposta, si stava giusto parlando dei grant lee buffalo sul forum. quest'ultimo album di grant lee philips, mi ha davvero sorpreso, in positivo naturalmente.brani che ho preferito: il fresco easy-listening (che potrebbe essere facilmente confuso per un brano di springsteen,come lasci intuire) di "seal it with a kiss";la suite per piano, archi e voce phillips di "blind tom". bravo don!

target (ha votato 8 questo disco) alle 12:25 del 31 dicembre 2009 ha scritto:

Davvero una bella sorpresa ritrovare Phillips a livelli di scrittura così felici (in tutti i sensi: il disco, anche nelle ballad, è molto solare, come "Good morning happiness" chiarisce in apertura). Non sono più i Buffalo, d'accordo, ma è comunque un disco che trasuda un'America preziosa, ormai sempre più relegata nell'angolo e ridotta a vecchia miniatura polverosa (come nella copertina), ma che in realtà non è solo per nostalgici (che la vena e l'ottimismo siano rinati, come per Springsteen, ma con risultati ben migliori nè, con l'ascesa di Barakkone?). L'America in cui Junio si trova più a suo agio [] e di cui forse Phillips è rimasto uno dei pochi autentici cantori. Una piccola delizia.

benoitbrisefer (ha votato 7 questo disco) alle 21:41 del primo gennaio 2010 ha scritto:

La recensione incuriosisce e induce a riprendere un ascolto interrotto diversi anni fa (dopo il bellisssimo Mighty Joe Moon) se si eccettua la digressione coveristica del 2006 di Nineteeneighties (a proposito cosa ne pensi Juno di questo album, certamente discontinuo, ma che a mio avviso non manca di belle intuizioni?).

Appena possibile il voto alla "Piccola Luna".

ozzy(d) alle 17:17 del 2 gennaio 2010 ha scritto:

Per me sono sempre stati un po' sopravvalutati, "Fuzzy" aveva diversi ottimi pezzi ma anche alcuni riempitivi tipo "jupiter and teardrop", al massimo una cover non dichiarata di "moonage daydream" di Bowie. Poi quella voce apollinea di Phillips alla lunga stancava, questo non credo lo sentirò nonostante le referenze lol.

benoitbrisefer (ha votato 7 questo disco) alle 14:19 del 5 gennaio 2010 ha scritto:

Bello l'avvio e poi alcuni brani ottimi alternati ad altri un po' meno ispirati. Nel complesso album sincero ed estremamente piacevole.

DonJunio, autore, alle 14:24 del 5 gennaio 2010 ha scritto:

Sì, Francesco, quella di Phillips è un'America apparentemente ripiegata su se stessa ( come nel languido quadretto da salotto anni 50 di "It ain't the same old cold war"), ma racconta in maniera lucida e ispirata il presente. @benoit, il disco di cover non era male, ma decisamente questo si fa preferire.

FrancescoB alle 14:41 del 5 gennaio 2010 ha scritto:

Ho qualche timore nell'avvicinarmi a questo lavoro...più che altro perchè amo a tal punto "Fuzzy" che cercherò ad ogni costo un improprio paragone. Non fa nulla, lo recuperò ugualmente, lo proverò ugualmente, fosse anche solo per riconoscenza. Un altro "Fuzzy" è impossibile per chiunque, indi meglio mettersi il cuore in pace.

REBBY (ha votato 6 questo disco) alle 8:44 del 11 gennaio 2010 ha scritto:

Un classico album di cantautorato americano dove

nulla è fuori posto, ma tutto è ordinario.

Easylistening per orecche yankee raffinate.

Nightbirds la mia preferita.