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R Recensione

9/10

Meat Puppets

Meat Puppets II

Scenario interessante, quello offerto dalla provincia americana a inizio anni '80.

Our Band Could Be Your Life”, cantavano quegli scriteriati dei Minutemen.

E ovunque, anche nel garage più sgangherato del paesino più inutile, ragazzini brufolosi si cimentavano più o meno seriamente con quella sorta di punk-rock caricato di pathos e di furia esecutiva degenerata che sarà detto hardcore.

Già, l'hardcore-punk: forse l'ultima grande utopia di “massa” della storia del rock'n'roll, pregna di ideali comunitari e anarcoidi apparentemente lontani anni luce dal peace&love dei genitori, ma in fondo pervasi sino al midollo di nostaglia per i mitici sixties e tutta la controcultura.

L'hardcore-punk, notoriamente, era un proiettile scagliato alla velocità della luce contro tutto ciò che puzzava di revival, tradizione, rockstar, classifiche: eppure, la vicinanza “spirituale” rispetto all'epoca in cui la musica aveva ancora un “significato” (in tutti i sensi possibili) era evidente; l'hardcore, in fondo, sembrava l'ultimogenito degli anni '60, il fratello bastardo e senza scrupoli del pop anni '80, il malefico guastatore del grande party del perbenismo, il nemico giurato di tutti i paladini del "divertiamoci e basta".

E allora, non deve stupire il fatto che fu proprio il ritorno mesto nel ventre accogliente della “vecchia musica” a garantirne la sopravvivenza artistica; e anzi, a garantire la sopravvivenza di tutta la musica alternativa americana: la tradizione ritornava a respirare grazie alle sferzate noise del punk e al suo “esistenzialismo” feroce. Il punk, a sua volta, poteva finalmente arricchire una formula che, riciclata all'infinito, stava manifestando limiti musicali evidenti.

La fusion prese forma, più che altro, in provincia: è lì che si sposarono lo spirito dirompente ed eversivo della nuova musica e le tradizioni secolari tipicamente americane (il country, il blues, il pop), rinnovando profondamente tutto l'universo indie-rock made in usa, con effetti che si faranno sentire molto a lungo (si pensi a tutto il country degli anni '90 ed oltre).

Ecco, tutta questa premessa per giungere al nocciolo della questione, ad una conclusione niente affatto scontata: i Meat Puppets non sono una band hardcore, se non forse (ed in parte) nel disco di debutto, eppure sarebbero inconcepibili senza l'epopea hardcore ed il suo salutare calcio nelle palle; sarebbero inconcepibili senza il salto nel vuoto dei primi anni '80.

Peraltro, proprio la natura ibrida e complessa dei Meat Puppets (tutti strumentisti di valore, cimentatisi per anni sui propri strumenti al fine di acquisire serie doti tecniche), abbinata a tenute e capigliature hippie, fu la causa dell'ostracismo dimostrato dalle frange più ortodosse dall'hardcore-punk.

Non che a Curt Kirkwood importasse poi molto: aveva trascorso l'adolescenza nei deserti dell'Arizona, a “sperimentare con la mente” (fra funghi, fumo e sostanze assortite), e questo spirito post-hippie pacifista, ma anche metafisico e meditabondo, intriso della disperazione “nera” che corrode il decennio di Reagan, è una presenza costante nella sua musica.

I suoi testi e la sua chitarra cristallina, ricolma di surrealismo e stupore evasivo (“I'm a mindless idiot”), sono il marchio di fabbrica indelebile dei suoi capolavori; ma le tracce punk e noise sono altrettanto importanti ed evidenti: nelle ritmiche tirate e quasi Gun Club-iane di alcuni pezzi, oppure nel timbro vocale dimesso che guarda certamente al Neil Young del reflusso targato '70s (“After the Gold Rush”), ma anche alle grida straccione e meravigliose di un Mascis o un Westerberg. Pare di sentire, a tratti, il fratello maggiore e un poco più saggio di Kurt Cobain.

Ecco allora che il cuore di “II” sta in ballate che si collocano a metà strada fra il misticismo hippie e il solipsismo introverso '80s, come “We're here” (quasi un tex-mex intriso di malinconia incurabile), “Lost” (uno fra i testi più interessanti della carriera di Kirkwood, vero manifesto del suo stupore metafisico davanti al mondo) “Plateau” (strepitoso schizzo in 2/4 con tanto di melodia immortale, reso celebre dall'interpretazione di Cobain datata 1994); e si conceda un ascolto anche alla leggiadra “Climbing”, un country-rock frizzante da cui traspare tutto il surrealismo accecante di Kirkwood (“time, time, it's so sublime well they say it's non-existent but it's playing with my mind”).

La chitarra è ovunque cristallina, splende di luce propria come le migliori trame del Neil Young di “Everybody Knows this is nowhere”: e allora non c'è dubbio, siamo in territori propriamente psichedelici, e l'atmosfera si fa sovente rarefatta e sospesa, specialmente negli stupendi strumentali (“Aurora Borealis”, lo scherzo country-core di “Magic Toy Missing”). Ma non mancano momenti più hardcore, o sarebbe meglio dire “noise”, vicini agli esperimenti underground dell'epoca: si dia un ascolto all'introduttiva “Split Myself in two”, schizzo punk che potrebbe stare tranquillamente sul primo album, arricchito da una melodia luminosa; oppure a “Lake of Fire”, gemma di rumore corrosa da un grido “celestiale”, che porta direttamente (e ancora una volta) dalle parti dei Nirvana più estremi, se non dei Drive Like Jehu versione “If it kills you”.

Alla fine del disco, pare che le luci del deserto dell'Arizona brillino ancora, pare che accechino: e allora io chiudo gli occhi ed immagino di sedere fra i canyon, trastullato nel surrealismo ironico di “I'm a Mindless Idiot”, luminosa gemma celebrativa del rapimento come fuga della mente dal mondo.

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Voto degli utenti: 8,8/10 in media su 14 voti.
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Cas 8/10
sarah 9/10
uxola 10/10
ThirdEye 10/10

C Commenti

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SamJack (ha votato 8 questo disco) alle 7:26 del 5 gennaio 2011 ha scritto:

Ottimo disco...

alle 15:54 del 5 gennaio 2011 ha scritto:

un disco dell'83 che guarda alle grida straccione di j.mascis? che porta direttamente ai nirvana? ma va là.

FrancescoB, autore, (ha votato 9 questo disco) alle 9:47 del 6 gennaio 2011 ha scritto:

RE:

Gì, ho fatto questi nomi perchè secondo me Kirkwood si avvicina anche alle sonorità alternative-rock e noise, anche a quelle che verranno.

Insomma, per sottolineare che è stato un precurosore sotto molti punti di vista.

Cas (ha votato 8 questo disco) alle 17:20 del 5 gennaio 2011 ha scritto:

Grandi Meat Puppets e gran bell'album!(impressionante davvero l'influenza di questo lavoro su Cobain...) I nostri non perderanno un pelo della loro creatività nemmeno col successivo Up On The Sun.

Complimenti per la rece!

Marco_Biasio (ha votato 8 questo disco) alle 20:02 del 5 gennaio 2011 ha scritto:

Mi piace di più "Up On The Sun" (che è una via di mezzo tra il cow punk e il crossover che piacerà tanto ai Primus), ma anche questo è un gran disco. Bene a sottolineare la loro appartenenza nominale ma non sostanziale all'hardcore, Francesco

ozzy(d) (ha votato 9 questo disco) alle 13:42 del 6 gennaio 2011 ha scritto:

una carriera splendida, mai omaggio come quello dell'unplugged dei nirvana fu più meritato.

Emiliano (ha votato 8 questo disco) alle 14:46 del 6 gennaio 2011 ha scritto:

Complimentoni per la rece (finalmente si rende giustizia all hardcore e a ciò che ha significato per un paio di generazioni). Che bello quando la musica "altra"era fatta così.

sarah (ha votato 9 questo disco) alle 11:44 del 24 gennaio 2011 ha scritto:

Now the people cry and the people moan

And they look for a dry place to call their home

And try to find some place to rest their bones

While the angels and the devils try to make them their own

ThirdEye (ha votato 10 questo disco) alle 23:36 del 15 ottobre 2013 ha scritto:

porca zozza che capolavoro! uno dei dischi che forse ho più consumato a forza di ascoltarlo.