The Band
The Band
Pochi dischi hanno modificato il corso della storia del rock come il debutto della Band del 1968, Music From Big Pink. Mediante quella collezione di canzoni da togliere il fiato, pubblicata nel periodo di massima espansione del dogma hippie-psichedelico, i cinque polistrumentisti canadesi, vestiti come pellegrini mormoni, affermano la tendenza del country-rock e del recupero delle radici: fenomeno che di lì a poco diventerà dominante. Il tutto cogliendo alla perfezione lo spirito inquieto e libertario dellepoca, come dimostrano la trionfale esibizione a Woodstock e la presenza dellinno The Weight nella colonna sonora di Easy Rider, il film mito sulla controcultura dei Sixties.
Dare un seguito a un lavoro del genere non si annuncia dunque impresa facile. Tra laltro, per questa prova la band un tempo nota come The Hawks si emancipa definitivamente da Bob Dylan, non solo abbandonando la celebre casa rosa di Saugerties per trasferirsi a Los Angeles. Del menestrello di Duluth erano difatti stati imprescindibili compagni davventura ai tempi del tour di Blonde on Blonde e della stesura degli ancora inediti Basement Tapes, e Bob stesso in Music From Big Pink aveva co-firmato un paio di brani e offerto la sua I shall be released per chiudere trionfalmente la scaletta. Il risultato suona persino superiore allillustre predecessore; in The Band le commistioni tra le tradizioni americane ( folk, country, gospel, blues), il Dylan elettrico, raffinate armonie soul e tentazioni funk raggiungono la perfezione. Una formula supportata dalla asciutta produzione di John Simon, da una ricchezza strumentale impareggiabile e da una scrittura in stato di grazia: merito in particolare di un Robbie Robertson mai più così in forma.
The Band è inoltre una sorta di concept album ambientato nella Repubblica Invisibile di Greil Marcus: lAmerica perduta nel tempo, rimpianta e idealizzata in una sorta di utopia e la cui essenza era già stata delineata in memorabili episodi del capitolo precedente quali Caledonia Mission e Tears of Rage (il 4 luglio più toccante mai rappresentato in musica) e nella cover di Long Black Veil. Lungo i dodici brani che lo compongono, si susseguono esperienze umane di tragedia ed esaltazione, costitutive di una giovane nazione che in quel frangente storico si trova in bilico tra lidealismo di Woodstock e le lacerazioni del Vietnam e delle tensioni razziali. Unoperazione culturale immensa e del tutto peculiare in un periodo di vertiginose fughe in avanti, che trova come contraltare dallaltra parte dellOceano Atlantico lironica rievocazione dellImpero Vittoriano da parte di Ray Davies nel capolavoro Arthur dei Kinks: la Storia come chiave di lettura del presente.
Liniziale Across the great divide ci trasporta immediatamente nelle piste del Far West e nei grandi spazi aperti dei coloni, tramite una marcetta ubriaca e pimpante che celebra i valori della famiglia e dellamerican way of life, con il maestoso organo di Garth Hudson a condurre le danze. Tale imponente apertura viene subito bissata dalle svisate epilettiche della spassosa Rag Mama Rag, in cui la figure create dal violino di Rick Danko e dal pianoforte di Hudson, rinforzate oltretutto da una progressione di trombone da urlo, sembrano provenire da un saloon dellOttocento; tanti scoppiettanti momenti dellimminente southern rock da qui prenderanno le mosse.
Nel medesimo filone dei brani più vivaci si segnalano Jemima Surrender (gioiello di Levon Helm, titolare del memorabile riff che la sorregge) e Look out Cleveland, guidate dal basso saltellante di Danko, dai fraseggi affilati e incisivi della sei corde di Robertson, da fiati sinuosi e dellonnipresente piano honky tonk: in pratica larchetipo di tanto soul-rock di lì a venire, e Bruce Springsteen sentitamente ringrazia. Il meglio in tal senso è raggiunto dalla marziale e articolata Jawbone, corsa a perdifiato in territori senza legge e caratterizzata da tempi strambi e dalle inconfondibili stilettate di Robertson, maestro nellinasprire il suono schiacciando in un verso il pedale wah wah, con Richard Manuel spiritato alla voce ( Im a thief and i dig it!).
Straripante è poi Up On Cripple Creek: come stare su un vaporetto in navigazione nel Mississippi con Helm in plancia di comando, country rock a braccetto col funk e plusvalore dato dall invenzione del clavinet wah wah di Hudson, espediente ritmico che poi nella decade successiva diventerà uno standard in tante opere di negritudine, a cominciare da quelle di Stevie Wonder. E che dire di King Harvest (has surely come), brillante allegoria dylaniana di lotte sindacali, con scenari della Grande Depressione rivisti con vividi tocchi steinbeckiani: un possente boogie intarsiato da melmose iniezioni funk (giova ricordare che quella composta da Danko e da Helm è stata una delle sezioni ritmiche più eclettiche e dinamiche mai udite), la voce da nero di Manuel sugli scudi e un assolo rnb stratosferico di Robbie Robertson a suggellare il tutto, mentre lorgano del placido Hudson stende il solito velo coloratissimo sullo sfondo. Probabilmente il miglior esempio dellaffiatamento tra i cinque polistrumentisti, virtuosi senza mai strafare.
Sul versante più introspettivo, incantano la sognante When you awake e soprattutto i due brani in cui a farla da padrone è lindimenticabile voce soulful di Manuel. Ossia Rockinchair, ballata bucolica da ascoltare in un porticato, mentre il sole che tramonta si incendia in mille sfumature allorizzonte e Richard delinea il malinconico congedo dai sogni di gioventù da parte di un vecchio marinaio, laddove i consueti intrecci con le voci di Helm e Danko e gli arabeschi di fisarmonica raggiungono esito celestiale. E i languidi sospiri di Whispering Pines, di cui Manuel è anche autore, osmosi irripetibile tra la tensione sprigionata della sua ugola vellutata e i rintocchi drammatici del suo pianoforte.
Infine, ecco i due tasselli che completano il grande mosaico pastorale della Band, con il fallimento e la sconfitta di chi insegue i suoi istinti e i suoi ideali. Innanzitutto, la deliziosa miniatura The Unfaithful Servant, puro distillato di American Gothic, in cui la calda voce di Danko e gli intarsi tra piano e chitarra pennellano una magione che sembra uscita da un romanzo di Faulkner o da una pièce di Tennessee Williams. La fine di una torbida tresca tra la moglie di un proprietario terriero e un suo servitore è descritta con rara poesia, raggiungendo sublimi vette di pathos quando la voce sale di unottava, i corni disegnano ghirigori nellaria e il buon Robbie piazza un altro assolo, stavolta acustico, da antologia e che accompagna in maniera struggente la mesta uscita di scena del servitore infedele .Unfaithful servant youll learn to find your place/ I can see it in your smile and I can see it in your face.
E poi la celeberrima The Night They Drove Old Dixie Down, laffresco definitivo sulla Guerra Civile Americana, colta ormai ai titoli di coda (in the winter of 65, we were hungry, just barely alive) dagli occhi del carneade Virgil Cane, dando voce agli sconfitti di allora. I fantasmi del Generale Lee e della cavalleria nordista si inseguono in una ballata senza tempo - un po country, un po nenia funebre nello stile delle band di New Orleans - e cantata in maniera appropriata da Levon Helm, unico americano della piccola orchestra canadese e per di più originario del Sud: si ascolti come la sua voce sembra spezzarsi prima di pronunciare i fatidici versi he was just eighteen proud and brave/ but a yankee laid him in his grave che sfociano in un meridiano di sangue. E linsuperato acme del songwriting di Robertson - la summa della sua North American Mytholgy in the making, come egli stesso la definirà - che pare abbia composto il brano di notte, con la sordina nel pianoforte, per non svegliare la figlia Alexandra appena nata.
Uscito nel settembre del 1969 e subito ribattezzato Brown Album, per via della copertina e per la grandiosità dellopera, per molti una risposta americana al Doppio Bianco dei Beatles, The Band impone definitivamente i suoi autori nellolimpo del rock. Il tutto certificato dalla copertina nientemeno che di Time, sotto il titolo The new sound of country rock e dagli omaggi di innumerevoli colleghi, da Eric Clapton ai Led Zeppelin (attestati ribaditi, in tempi più recenti, da gente come Grant Lee Buffalo. Wilco e Mercury Rev), tutti incantati da questo nuovo bagno refrigerante nella fontana primordiale della musica americana.
Tuttavia, la magia non durerà a lungo, come se nel cambio di decade un po di ruggine si fosse posata sulla Band, come la polvere uscita da uno scrigno contenente le mappe militari della guerra di seccessione, con dischi successivi inficiati da un leggero velo di maniera e dal crescente ego di Robertson, nonostante una qualità mediamente apprezzabile. Di qui lo scioglimento e il concerto daddio, immortalato nellUltimo Valzer di Martin Scorsese, il definitivo canto del cigno di un era ormai destinata a passare agli archivi, un attimo prima che il punk e la new wave la rimpiazzassero. E con una parata di star - tra montagne di cocaina consumate nel backstage - a celebrarne il funerale, da Neil Young a Joni Mitchell fino a Dr.John, Ringo Starr, Van Morrison e limmancabile mister Zimmermann.
A dire il vero, i prodromi della dissoluzione sono già contenuti nella memorabile copertina del Brown Album: Helm e Robertson in primo piano luno di fronte allaltro, quasi a simboleggiare i contrasti sulla leadership che in seguito esploderanno mentre Hudson e Danko stanno in mezzo a loro, con fare sornione. Richard Manuel, lanima tormentata della Band, invece sta quasi in disparte. Proprio lui quindici anni dopo verrà trovato pendente da una corda senza vita, sconfitto dal crudele falò che negli anni 80 brucerà via ogni ultimo residuato dellevo di Woodstock.
Ma lo spirito della Band e di quella musica rimarrà per sempre, racchiuso in uno spazio immaginario e inafferrabile: lultima frontiera della repubblica invisibile.
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