V Video

R Recensione

7/10

Wilco

Star Wars

Jeff Tweedy, dopo qualche lavoro ripiegato verso un country elegante ma molto tradizionale, riscopre l'ebbrezza di osare. Con parsimonia.

Non torna propriamente sui territori impervi e meravigliosamente ricurvi di “Yankee Hotel Foxtrot”, e neppure negli abissi nero pece di “A Ghost is born”. Perché un Jim O'Rourke non lo inventi da un giorno all'altro, i tempi oggi sono diversi. E anche perché un disco come “Yankee Hotel Foxtrot”, sorretto sopra un meraviglioso e impalpabile equilibrio, ti riesce una volta nella vita. Non di più.

Ma finalmente osa.

Star Wars” è uno fra i lavori più vari e sbalorditivi della lunga produzione dei Wilco, a cominciare da una copertina del tutto fuori fase, che evoca immagini di pace, ovvero il rovesciamento simmetrico delle guerre stellari del titolo.

"Star Wars" è un lavoro che fa la pace con il rumore, tanto da essere lungamente immerso in un noise temperato di derivazione Sonic Youth (quantomeno, nella loro versione più soft e accessibile).

Ma c'è decisamente molto altro: Jeff finalmente azzecca movenze e spunti melodici brillanti, a tratti quasi beatlesiani (anzi, direi più che altro lennoniani: qui non si trova l'equilibrio formale più classico di McCartney).

Rumore+melodia: i Wilco quasi si mettono a suonare un soft-grunge annacquato nella tradizione country, o qualcosa del genere.

EKG”, sghemba e galoppante, sembra in effetti quasi mettere i Sonic Youth più misurati alla prova con qualche strampalata invenzione dei Violent Femmes.

More...” potrebbe invece essere uscita dai solchi di “Plastic Ono Band”: una melodia che si trascina irregolare, un ritornello gonfio d'aria, ed ecco che nella parete di feedback spunta il sorriso sarcastico di John Lennon (il coretto che “bilancia” la strofa è quanto di più lennoniano possiamo immaginare). “Taste the Celling” prosegue sulla medesima falsariga: vive tutta sopra una discreta melodia in calando dal mood decisamente liverpooliano.

Altrove un country-noise temperato torna a farla da padrone: “Random Name Generator” è younghianissima nel riff, sembra quasi di riscoprire un oscura session di “Rust Never Sleeps”; non meno efficace è “King of You”, ancora beatlesiana nel disegno melodico, ma chiaramente noise-oriented nelle tramte strumentali; discreta è anche “Where Do I Begin”, brano più affine alla tradizione Wilco, con i suoi cambi di passo moderati ma drammatici, la melodia accorata e la voce che si spezza.

L'America prosegue con “The Joke Explained”, che alle orecchie del sottoscritto suona come un chiaro omaggio allo spoken-word sardonico e metropolitano di Lou Reed, e con la “psichedelica” “Magnetized”, che riscoprendo l'elettronica immerge la tradizione dei crooner in atmosfere rarefatte.

You Satellite” è meno centrata ma forse più originale: un country sonnolento, annegato fra chitarre scintillanti, che evoca alcune cose dei tempi di “A Ghost is Born”.

L'impressione conclusiva è decisamente positiva: Tweedy non sarà più il folletto visionario di 13 anni fa, ma rimane autore di tutto rispetto. Che non ha perso la capacità di osare.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 2 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
zebra 7/10

C Commenti

C'è un commento. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

REBBY alle 9:36 del 24 novembre 2015 ha scritto:

Ottimo album, pur se riassuntivo, più che innovativo, ed You satellite è il suo apice.