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R Recensione

7,5/10

Be Forest

Earthbeat

Sono tornati gli alfieri della scena di Pesaro, gli argonauti del Mare Adriatico in tempesta, con una delle uscite più attese dell’anno. I Be Forest (Costanza Delle Rose, Erica Terenzi e il “fratellastro” Nicola Lampredi coadiuvati ai synth da Lorenzo Badioli) sono senz’altro fra le più interessanti e promettenti realtà della penisola; per chi si è perso l’esordio “Cold” (2011) vale la pena ripescarlo e fare un breve riepilogo. Cold (un titolo, un programma) è algida struttura new wave, ritmica e minimale, vestita con gli abiti vittoriani dello shoegaze più etereo. La batteria secchissima (anche come composizione: cassa, rullante e piatto) suonata in piedi dalla Terenzi macina patterns meccanici, colpisce nel vuoto lasciato dal basso pulsante di Costanza e dalle scie argentee tracciate dalle corde di Lampredi, la cui tecnica, sebbene mutuata, è marchio inconfondibile per il trio marchigiano. Di quel disco resta la forza dirompente di un esordio inaspettato, la potenza anthemica di una “Florence” o il la-la stregato di una “Dust”.

Fra i due album, una tournée europea coi Japandroids guadagnata con un'eterea cover di "I Quit Girls" e un singolo, “Hanged Man”, a detta di chi scrive la vetta melodica dei Be Forest, tanto perfetta nello scatenare l’innamoramento immediato quanto disorientante nel rappresentare il suono del gruppo. Estremizzazione di certe tendenze chitarristiche del debutto, “Hanged Man” è saturata, vorticosa, una cavalcata nella quale i riff chitarristici piegano la voce quasi in uno strumento, immersa com'è nelle sferzate distorte della sei corde. Una voce che quando emerge è portatrice di un’incredibile dolcezza e perfezione melodica.

Era lecito aspettarsi che il sophomore seguisse un’evoluzione lungo la via tracciata dal singolo e invece “Earthbeat” prosegue la strada del predecessore, senza variarne sostanzialmente l’impianto, semmai arricchendolo e saggiando nuove declinazioni, confermandone il potenziale.

Al di là di facili contrapposizioni fra i nomi degli album e fra i cromatismi in copertina (che però ne schizzano l’essenza senza disorientare) “Earthbeat” è caratterizzato da un suono più aperto, più limpido. Viene meno la cupezza per lasciare posto a un sound arioso che a momenti si lascia scaldare da tiepidi raggi di sole, colorandosi di tocchi esotici (i flauti andini di “Captured Heart”) e luccicando di riflesso (lo strumentale “Totem II”). L’inserto del synth è l’elemento cardine di questa mutazione; defilato, si fa carico delle sfumature, ma diviene essenziale nell’economia generale del disco, riempiendo lo spazio lasciato dalla chitarra che si espande di meno nello spettro sonoro. Dirige addirittura il tutto in chiusura: “Hideaway” si regge sui tocchi di carillon e diviene l’apice dell’apertura del sound toccando, in compagnia degli Slowdive, il lato più angelico dello shoegaze.

Per il resto, ritroviamo i fraseggi di chitarra (che in "Cold" avremmo potuto descrivere ossessivi, ma che qui viene più da dire circolari) che si riflettono su uno specchio e si moltiplicano in echi e delay. Il basso, sempre martellante, quasi canta e la batteria si anima di un certo dinamismo rispetto al rigore dell’esordio, caratteristiche espresse al meglio nei singoli “Captured Heart” e “Colours”. Certi intro odorano di un minimalismo wave fatto di patterns; i Young Marble Giants, tramite i discepoli XX soprattutto, prendere “Totem” o anche “Ghost Dance”. Le voci femminili, ammalianti, ci conducono i territori dreamy, verso la vocalità dei My Bloody Valentine, innestate però su potenti basi post-punk, come nel caso di “Sparkle” e “Airwaves” le più vicine al disco precedente. Costanza ed Erica sono sempre perfette, sia nelle litanie che nelle linee melodiche più complesse.

I Be Forest hanno consolidato la loro proposta e la nuova declinazione li smarca dai paragoni possibili; tanto di guadagnato. Quel poco che hanno perso in evocatività ed impatto emotivo, in “Earthbeat” è stato ampiamente rimpiazzato da una compattezza d’insieme che “Cold” non aveva. E’ nella natura delle cose della (buona) evoluzione di una band di cui possiamo andare fieri e parlarne bene. Con questa nuova uscita, sono entrati a far parte delle (piccole) certezze di casa nostra, con aspirazioni un po’ più grandi.

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Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 5 voti.
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hiperwlt 7,5/10

C Commenti

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hiperwlt (ha votato 7,5 questo disco) alle 23:21 del 6 ottobre 2014 ha scritto:

i Be Forest e pochi altri, da noi, possiedono un'idea estetica così convincente e appagante: descrive tutto perfettamente Vito. Ottimo disco e ottima resa live, per quel che ho sentito.

AndreaKant (ha votato 7,5 questo disco) alle 16:41 del 22 gennaio 2015 ha scritto: