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R Recensione

7/10

Esben And The Witch

Violet Cries

Di una cosa si può essere certi: la musica è cannibale. Fatte salve le ormai sempre più rare carature artistiche eccezionali, essa sopravvive, si rinnova e si evolve - solcando i decenni - nutrendosi e dei propri cadaveri, e dei propri neonati. Li assimila, li trasforma, li rumina sotto nuove forme. A volte trovando equilibri mirabolanti, a volte producendo l’insospettabile, a volte - il più delle volte, com’è naturale che sia - riportando gli elementi noti entro più o meno credibili puzzle di nostalgia. L’LP d’esordio del trio di Brighton, senza dubbi, è un puzzle nostalgico di notevole, incompiuto e stregonesco fascino. Che oltretutto riesce - per tanti versi - ad essere anche attuale.

Anticipato dall’EP 33 lo scorso anno, Violet Cries arriva a confermare le ottime sensazioni destate e le grandi potenzialità del terzetto inglese. Sull’onda di quella che - ormai - si direbbe una vera e propria tendenza, la proposta di Esben And The Witch riesuma le ambientazioni gotico/oniriche che furono dei primi ’80, le filtra attraverso una sensibilità shoegaze, destrutturante, aperta a contaminazioni di elettronica bristoliana tipicamente nineties, le aggiorna al linguaggio del nuovo millennio: un occhio al movimento witch house, l’altro all’esoterismo sonico dei These New Puritans.

Così, se da una parte l’oscurità spigolosa di band quali Warpaint ed Effi Briest (per dire di due cui su queste pagine si è dato rilievo) ha trovato la propria funzionalità nell’accentare anche e soprattutto l’elemento ritmico, gli Esben And The Witch vivono dell’opposto: musica eterea ed impalpabile, praticamente sempre sospesa in un non-essere, svincolata da qualsiasi pretesa di struttura, sfacciatamente indifferente alle regole dell’armonia. Conseguenza naturale: il groove va a farsi benedire, le atmosfere dominano incontrastate. Nei pattern percussivi digitali del lavoro, in effetti, non solo non troverete continuità alcuna, ma neppure vi capiterà di sentire un solo colpo di rullante se non nel finale - insospettabilmente dance - dell’ambiziosa Eumenides.

“Nightmare pop”, si autodefiniscono. E, in effetti, di dream (pop) c’è poco e niente. Violet Cries è il sogno di una notte di mezz’… inverno. Freddo glaciale, scuro, anthemico, irrisolto e per gran parte inospitale. Argyria introduce nel dedalo con un crescendo di rara intensità e potenza, portando lievi, delicatissimi accenni chitarristici entro squarci elettrici affogati negli effetti, misurate intromissioni di glitch e cori di autentica possessione. La vocazione per la destrutturazione è fin da subito evidente, in un brano che si scioglie - nella seconda parte - dentro arpeggi languidi e sospesi, su cui la voce algida ma agguerrita (fra Siouxie e Beth Gibbons) di Rachel Davies può stendersi in tutta la sua imperfetta drammaticità. Ci si perde poi lungo una sequenza di episodi difficilmente scindibili l’uno dall’altro, in una sorta di viaggio onirico senza soluzione di continuità: dalle atmosfere romantiche di Marine Fields Glow a quelle diluite, frammentate di Light Stream, dall’alternanza di spigoli e immaterialità di Hexagons IV a quel pizzico di luce briosa che il charleston elettrico infonde a Chorea, dalla compiutezza melodica di Warpath ai brandelli di immobilismo della conclusiva Swans. Un viaggio senza incidenti, con qualche furberia e qualche cliché di troppo, ma in cui non si rileva né un momento inutile, né tantomeno alcun numero palesemente di punta.

La musica di Esben And The Witch origina dagli strumentali di Thomas Fisher e Daniel Coperman (chitarre e tastiere), su cui solo in seconda battuta si è pensato di appoggiare la vocalità della Davies. Questa genesi rimane evidente in un prodotto finale che non sacrifica nulla al formato canzone né, tantomeno, si piega alle bieche leggi della fruibilità sonora: sia la musica (vedi l’ardito insistere sulla sesta diminuita nella scheletricità di Light Stream, o l’errare atonale della chitarra in Swans) sia la voce (in Eumenides e - ancora - in Swans è prossima all’anarchia armonica) seguono sentieri di sincera dedizione emozionale.

Se il risultato non è esattamente eccezionale, è per l’ancora acerba padronanza che il trio mostra nel maneggiare la difficile materia dell’indeterminatezza sonora, perdendosi a volte in un’inconsistenza eccessiva, e nella mancanza di quello spessore grazie al quale altri riescono - o sono riusciti - a rendere riff ingenui (penso soprattutto a quello di Marching Song, passato probabilmente sul manico di qualunque chitarrista del pianeta) delle autentiche meraviglie di aggiornamento classico.

 

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 11 voti.
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gull 7/10
brian 8/10
giank 7/10

C Commenti

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Dr.Paul (ha votato 7 questo disco) alle 16:25 del 11 marzo 2011 ha scritto:

darkwavers d'italia unitevi!! adunata! bel disco oscuro graffiante romantico! ritmo zero, ma qui rivivono i banshees quelli tosti e senza compromessi, quelli di The Scream e Join Hands!

bel disco e bello paolo gazzola!! a breve in tour nel nostro paese (no paolo gazzola ma gli Esben and the witch).

benoitbrisefer (ha votato 8 questo disco) alle 13:25 del 17 marzo 2011 ha scritto:

Sicuramente (ormai Leonardo e Volpi fanno scuola!!!) i richiami ad alcune fonti passate sono chiari ed evidenti: in primis la Siouxsie delle origini (giustamente richiamata da Dr. Paul), soprattutto nella vocalità che a tratti rischia il plagio, e anche i Cocteau Twins più onirici ed eterei. Ma detto questo rimane un gran bel disco da 7/8 (alla fine sarò generoso e andrò sul voto più alto). Grazie a Paolo e al nostro sito preferito per farci scoprire sempre nuovi piccoli appetitosi bocconcini....

paolo gazzola, autore, alle 11:47 del 18 marzo 2011 ha scritto:

Grazie a te, benoit, per l'attenzione. Il disco è davvero bello (spiace, in effetti, che stia passando così in sordina) e il voto, sì, è un sette abbondante.

REBBY alle 9:30 del 29 marzo 2011 ha scritto:

Altro nuovo progetto di ispirazione "dark" al femminile (qui forse solo per il cantato), dopo quelli recenti di Chelsea Wolfe, Zola Jesus, Effi briest, Warpaint, ... Molto Siouxsie effettivamente, in questo caso. Ai tempi degli albori della citata 4AD il grande Ivo avrebbe secondo me consigliato alla band di "studiare" ancora un po', cavandone al massimo per il momento un singolo (Marching song?). La maggiore facilità in cui ai giorni nostri si arriva all'album di debutto ha ovviamente un rovescio della medaglia. A mio avviso anche qui le potenzialità sembrano esserci, ma ancora non ben espresse, probabilmente a causa dell'imperizia tecnica evidente. La stessa impressione l'avevo avuta per l'album di debutto dei These new puritans (ma la però c'era materiale per un EP), quindi ascolteremo al prossimo.

Dr.Paul (ha votato 7 questo disco) alle 10:49 del 30 marzo 2011 ha scritto:

rebby giusto per il cantato femminile possono essere accostati a chelsea wolfe o effi briest & co...per il resto i punti di contatto sono pochissimi, questi hanno un respiro piu ampio, un'attitudine meno indie-kid....che è la cosa che preferisco in questo momento! certo per il futuro possono e devono fare meglio!

target alle 11:07 del 30 marzo 2011 ha scritto:

chelsea wolfe da indie-kid?? paul, non sei più mio amico!

Dr.Paul (ha votato 7 questo disco) alle 11:18 del 30 marzo 2011 ha scritto:

ahah ma noooo solo l'attitudine!!

REBBY alle 16:06 del 30 marzo 2011 ha scritto:

Si Doc, "forse solo per il cantato". Il forse perchè in tutte queste nuove proposte credo di percepire un'atmosfera "dark/gotica" di fondo che le accomuna (le Warpaint, tra queste, in qualche brano almeno, mi sembrano le più "solari") e perchè Marching song potrebbe essere, credo, nel repertorio di ognuna di queste.

tramblogy alle 22:10 del 12 aprile 2011 ha scritto:

Bello...suonano a Bologna...vado!

otherdaysothereyes (ha votato 7 questo disco) alle 15:11 del 23 agosto 2011 ha scritto:

Ascoltato con enorme ritardo ma con grande interesse: la mancanza di originalità (lo spettro dei banshees è effettivamente ovunque) non toglie nulla a uno dei migliori dischi di revival post punk anni '80 dell'anno!