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R Recensione

7,5/10

Kyrie

Lo Splendore del Mattino che Viene

Pochi mesi fa, nel giugno 2012, un gradito e atteso ritorno quello dei Kyrie, dopo 8 anni di assenza dalle scene. Li avevamo lasciati nel 2004 con l'entusiasmo suscitato dall'ottima new wave de Le meccaniche del quinto, esordio ufficiale per PmA Records dopo anni di demo e autoproduzioni (ben 4, di cui un doppio).

Il tempo trascorso lo si percepisce anche dalla consistenza di questo nuovo lavoro, che si presenta con la bellezza di 15 brani per 75 minuti complessivi di musica. Ma lo spessore non è dato solo dall'estensione temporale (che piuttosto finisce spesso per caratterizzarsi come un'arma che gioca a sfavore di chi la impugna, ma non in questo caso), quanto piuttosto da una densità di contenuti estetici, formali e speculativi non indifferente. 

Un lavoro di ricerca proseguito nel tempo, culminato nel precedente lp e ulteriormente sviluppato in quest'ultimo. Le sonorità, fattesi più asciutte e scarne, sono ben rese da un uso meno massiccio di elettronica e sintetizzatori che lasciano il posto alle chitarre elettriche o ad avvolgenti arpeggi elettro-acustici e ad una sezione ritmica più secca e, in alcuni episodi, più aggressiva. Il gruppo sembra puntare più all'essenza, quella vitale dei pezzi, e ad un maggiore intimismo, scevro da eccessive architetture ed arzigogolii sonori.

Rimane pur sempre notevole il tributo a certa new wave che ha caratterizzato il ventennio 80-90: dagli Smiths ai The Church passando per Echo & The Bunnymen, Ultravox fino a giungere all'apice indiscusso su cui troneggiano i Cure, per cui la band di Sciortino non ha mai celato un amore incondizionato. Amore che forse in alcuni momenti finisce per costituire un limite, soprattutto quando il gioco di rimandi e riferimenti stilistici si palesa eccessivamente, sarebbe certo interessante veder definitivamente tagliato questo cordone ombelicale e vedere il gruppo elaborare un registro definitivamente peculiare.

Detto ciò, va sottolineato che si tratta comunque di un lavoro fortemente ispirato e meditato, elemento questo che si caratterizza come una costante per quasi tutte le 15 tracce dell'opera, forse merito anche degli 8 anni trascorsi, in cui la band ha saputo limare, calibrare, dosare sapientemente ogni ingrediente, col risultato di un equilibrio quasi perfetto tra le due anime generatesi: una più intimista e dimessa, l'altra più elettrica ed energica.

Ulteriore menzione va fatta per i testi, mai banali o inutilmente cervellotici, che svettano invece in sobrietà ed eleganza narrativa: piccole storie fatte di ricordi, suggestioni o fermoimmagine nitidamente catturati e immortalati. Spiccano tra i migliori episodi la titletrack, luminosa ballata che scorre su lunghi tappeti sonori tra Cure e Cocteau Twins, L'aeronauta, perfetto intreccio di piano, tastiere e basso per 7 minuti di malinconico fluttuare, e l'intimissimo neo-folk di Luce d'acqua, avvolgente e catartico. Ritmiche che si fanno sostenute e incalzanti in pezzi come Dopo 20 anni, Il sagrato di San Lorenzo, Informazioni sparse, culminanti nei taglienti e serrati riff di Quasi estate. Intro à la Death in June per Il passo che ascende, mentre Ildegarda di Bingen, omaggio alla celebre filosofa, poetessa e musicista medievale, chiude l'opera planando su mistiche scie d'organo e cori monastico-gregoriani. Conferenza a luglio sembra riprendere da vicino le atmosfere delle Meccaniche del quinto, così come la lunga scia sonora di synth e organo che caratterizza Il luogo da cui parli, a metà tra il primo Battiato sperimentale e i Dead Can Dance, si riallaccia al filo di Abbandonandomi, traccia conclusiva del precedente lavoro, lì dove'era stato interrotto.

Un disco denso, complesso e intimamente bello, da ascoltare e riascoltare lasciandosi trasportare in una dimensione sospesa tra etereo divagare e inquieto indugiare, tra moti ascensionali e cammini senza tempo.

V Voti

Voto degli utenti: 6/10 in media su 1 voto.
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REBBY 6/10

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