The Soft Moon
Deeper
Le coordinate per giungere ad un terzo disco così convincente erano già state settate dai Soft Moon nel loro secondo lavoro, quel Zeros che incanalava il synth punk dell'esordio in una più algida e serrata gestalt industrial-wave. Il terzo Deeper compie oggi un decisivo passo avanti nell'affermazione estetica della band, sviluppando in forma compiuta gli spunti offerti dai due lavori precedenti.
Si va più a fondo, appunto, scavando nelle possibilità offerte da un sound sempre più contaminato e coraggioso, che si reinventa perfezionando le proprie dinamiche di meccanismi automatizzati, di sibili sinistri, di battiti martellanti. Qui tutto è compatto e sbuffante, carico di energia compressa, solido marchingegno di nerissimo synthpop industriale.
E così non possono che venire in mente i Nine Inch Nails nell'attacco della prima Black, irregimentata in ossessivi pattern da rullo compressore, tra synth flangerizzati a riprodurre ora sirene di allarme, ora cupi ronzii acidi. Il post-punk mozzafiato di Far, invece, mette assieme Cold Cave e Blank Dogs, per una cavalcata a base di beats compressi e fraseggi chitarristici tremolanti, il tutto solcato da un sintetizzatore torturato e mischiato con gli strascichi noise della chitarra, mentre la successiva Wasting rallenta il passo, dipingendo un lugubre paesaggio infestato, tanto memore di realtà come Have a Nice Life (presenti anche in Without), quanto portatore di una rinnovata sensibilità pop (merito del canto mai così pulito di Luis Vasquez).
La scaletta alterna momenti di cupo decadentismo (oltre alle già citate Wasting e Without, la bella Try), a distopici paesaggi sci-fi, tra cui la rave music per robot di Wrong, o la paranoica distesa di modulazioni sintetiche di Desertion, o ancora la scorribanda sonica della strumentale Deeper (sorta di tribalismo post-catastrofe nucleare). A far da contrappunto il techno post-punk di brani come Feel e Being, concitate composizioni bass driven su cui si incupiscono minacciosi sintetizzatori, chitarre distorte e patterns ritmici austeri ed ossessivi.
Entro cadenze claustrofobiche e ripetitive, la musica dei Soft Moon riesce comunque a dar vita ad una spazialità riverberata, ovattata, espansa: l'uso di voci filtrate, l'effetto flanger su chitarre e synth, le pulsazioni elettroniche, tutto contribuisce ad un suono che fluttua rumorosamente nell'ambiente. La ricchezza di Deeper risulta proprio in questa costante ricerca di profondità, una profondità che si scontra costantemente con un richiamo a gelidi scenari di fabbriche sclerotizzate. Un gran bel passo avanti che segna la consacrazione di Luis Vasquez, riuscito finalmente a dare compiuta espressività alla sua creatura.
Tweet