The Vaccines
What Did You Expect From The Vaccines?
Cosa ci aspettiamo dai Vaccines, quartetto londinese spacciato come nuova next big thing dell'indie britannico? Probabilmente molto più di quel che ci è stato offerto da questo esordio. Mia nonna diceva sempre: “scegli una strada e percorrila fino in fondo”. Esattamente quello che non fanno i Vaccines, che decidono di non scegliere e lasciarsi aperte due corsie preferenziali: da una parte un garage-punk figlio degli anni '60, dall'altra un dark-wave parente dell'ondata revival del decennio '00s (Interpol ed Editors i riferimenti principali).
Questa doppia anima della band può essere un pregio in un'ottica di lunga carriera, ma per adesso è il limite più grosso del disco, diviso quasi schizofrenicamente tra i due generi, dei quali solo uno risulta adeguato e sufficiente. Alludiamo alla produzione più sbarazzina e divertente del filone garage, ampiamente influenzato dagli anni '60: l'apripista Wreckin' Bar (Ra Ra Ra) è un punk-pop dalle tendenze power-guitar che mischia estetica Ramones, ricordi del surf-rock di Dick Dale e sprazzi di indie moderno alla Strokes.
Indie e '60s si mischiano in produzioni briose e frizzanti come Norgaard, Wolf Pack e If You Wanna, in cui si assiste ad un curioso incontro tra Vampire Weekend e Beach Boys.
Fin qui niente di entusiasmante e originale ma una scossetta di vita che danni non ne fa, e anzi si ascolta abbastanza volentieri. Il problema sorge quando i Vaccines tentano di dare sfogo alle loro ansie depressive riprendendo in mano il filone dark-wave, cadendo nell'errore già segnalato recentemente nel secondo disco dei White Lies: ampollosità, piattezza degli arrangiamenti, ridondanza, magniloquenza, staticità, scarsissima innovazione e ridotta qualità tecnica e compositiva.
A peggiorare le cose è probabilmente il fatto che ad essere presi a modello non sono nemmeno stati gli Interpol (o gli Editors) degli esordi (tranne forse in All In White, che nonostante rivitalizzanti intuizioni armoniche si dilunga troppo), con la loro dinamicità ritmica, bensì quelli “tardi”, ormai bolsi e maturi, lanciatisi nella ricerca della canzone wave-pop elegante e brillante (riuscendovi però assai scarsamente, come Our love to admire dimostra bene). Di qui le inconcludenti ampollosità e le noiose monotonie di brani come A Lack Of Understanding, Post Break-Up Sex, Westsuit, schiavi una dimensione vocale ossessiva che tarpa la creatività musicale degli strumentisti, ridotti all'impotenza. L'esempio più evidente della dannosa (e fastidiosa) onnipresenza del cantante Justin Young è Under Your Thumb, il cui unico motivo di interesse è la parte unicamente strumentale, in cui un abbozzo di fuga noise viene (ahimè) subito stoppata dal ritorno della voce, elencante le vocali come uno scolaretto delle elementari.
L'effetto degenere è quindi di eccessiva staticità dell'aspetto musicale, scontato talvolta perfino nell'assolo (Blow It Up) e noiosamente roboante (Family Friend).
I Chapel Club ci hanno dimostrato che si può ancora riprendere in mano con successo quel dark-wave che tanti proseliti ha fatto nell'ultimo decennio. Ma per fare ciò occorre classe, inventiva e creatività. E magari anche un po' di umiltà... Fattori che per adesso non sembrano pienamente nelle corde dei Vaccines, al momento campioni di mediocrità indie consolidata, ma in futuro possibile band rivelazione nelle vesti di revivalisti garage. Justin Young permettendo ovviamente...
Tweet