Umberto
Prophecy of the Black Widow
Tra i revival questo mancava, ed è un piacere sguazzarci, dopo le recenti proposte di Zombi e Majeure, e per giunta nel catalogo della sempre-sia-lodata Not Not Fun. Lui si chiama Umberto, non è Smaila, ma lo statunitense Matt Hill, e si è buttato nel ripescaggio dell’immaginario italo-horror anni ’70. Che vuol dire, in musica, soprattutto Goblin, anche se in una chiave meno proggy (come in “From The Grave” del 2009) e più influenzata da un piglio elettronico, tra Moroder e synth-pop primigenio.
Il disco, tirato solo in vinile per 485 copie totali, è una goduria per i cinefili amanti di Argento, Bava e dintorni, ma soprattutto per chi bazzica la cold-wave dalle tinte più marcate, dall’eyeliner nero più vistoso e dai risvolti più lugubri. Umberto sa modernizzare i suoni, attualizzarli a certe sfocature ipnagogiche, e così un pezzo come “Temple Room” sembra incrociare i Visage con alcune cose di Gary War o di Rangers, mentre le colate laviche crostose che disturbano la suspense gotica di “The Psychic” sanno di un Sun Araw in versione darkettona-medievale. Stupenda “Red Dawn”, che alterna suggestioni di tastiera vicine alle fredde geometrie della radioattività targata Kraftwerk a spinte di un basso sullo sfondo che batte come il cuore rivelatore di Edgar Allan Poe. Il finale va in fade coi ricami di un’elettrica, ed è gloria.
Pur tra qualche lungaggine meno emozionante (“Widow of the Web”, “Someone Chasing Someone Through a House”), il disco scorre che è un piacere: vagando al buio, si viene proiettati in un set horror tra tinni inquietanti di carillon (“Black Candles”), visitazioni notturne (“Night Stalking”) e un finale consolante dal sapore quasi glo-fi (“Everything Is Going To Be Okay”) che fa intuire, sopra i titoli di coda, come nell’operazione di Umberto manchino quegli eccessi di seriosità che rendono spesso grotteschi recuperi di questo genere (è il caso, per non andare distanti, di molta witch house).
E intanto fa piacere constatare, ascoltando questa profezia della vedova nera, come una parte spesso semi-rimossa della nostra cultura cinematografica e musicale recente continui a dare frutti, anche (soprattutto) oltreoceano. Bel lavoro. Benvenuto, Umberto.
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