Vaura
Sables
Adattandosi magnificamente ai tempi e alle esigenze che cambiano, lombroso supergruppo Vaura ha progressivamente completato la transizione da cantiere post-black a cielo aperto (quello dellimperfetto e lontanissimo esordio Selenelion) ad autorevole voce della dark wave contemporanea: un passaggio, questo, che è figlio naturale non solo di una visione artistica autenticamente a tutto tondo, ma anche primo e fondamentale riflesso di una serie di sommovimenti che hanno interessato direttamente le vicende musicali dei protagonisti (lattività solista del poliedrico Kevin Hufnagel, per dirne una, o i Kayo Dot del tuttofare Toby Driver). Rivendicare la propria identità di genere, per quanto spuria ed eterodossa, non ha qui senso restrittivo né peggiorativo: è, anzi, pervenire ad unefficace sintesi di sensibilità diverse, uno spettrogramma iridescente che nelle sfumature restituisce un fascio di luce compatto.
Sables, giunto a ben sei anni dal buon The Missing, è un disco che nel suo non regalare alcuna sorpresa può definirsi sorprendente: ricacciato alla periferia del campo funzionale il background metallico che riaffiora, a mo di riemerso, solo in alcuni sporadici dettagli della texture sonora, come nel raddoppio di cassa che regala fisicità al ritornello goth del magnetico singolo The Ruins (Hymne) , quel che rimane è una reinterpretazione su più livelli (ed aree geografiche) delle storiche istanze wave ottantiane. In alcuni frangenti, grazie alle capacità tecniche degli strumentisti e allindimenticabile voce di Josh Strawn, il risultato è superbo. No Guardians, tra pianistiche frasi portanti e assoli pre-grunge (o post-Sabbath, a seconda della prospettiva), sembra il tentativo di soffiare sui tizzoni dei Sisters Of Mercy con unautorialità à la Japan. The Lightless Ones, un intricato post punk progressivo tra Bauhaus e Marillion, è forse il miglior brano del disco. Il seghettato riff funk che sostiene le strofe di Espionage, su cui gattonano bassi hookiani, trascina ad un chorus fra Tears For Fears e Berlin: Berlin che, peraltro, ritornano imperiosamente nel romantico lento Eidolon (forse un filo troppo lungo). A voler individuare una discontinuità rispetto al passato, i brani più astratti e performativi, come Basilisk (The Infinite Corpse) (ma attenzione al finale, che rifulge di melodismo lunare), soffrono forse di un maggiore sfilacciamento: unulteriore prova della dimensione altra oggi abitata dai Vaura, più concreta per quanto non meno autentica.
In attesa delle prossime uscite di Dysrhythmia (Terminal Threshold, previsto in ottobre) e Kayo Dot (Blasphemy, 6 settembre), i Vaura di Sables sono molto di più che un semplice riempitivo per passare il tempo. Consigliato a dispetto dellassoluta antistagionalità (o forse grazie ad essa?).
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