White Lies
Ritual
In principio furono i Joy Division, con la congrega di illustri e pallidi paladini a seguito (Bauhaus, Cure, Theatre of Hate, ecc.). Poi nei tardi '80s iniziarono gli imitatori spudorati, spesso ingiustamente ignorati (alzi la mano chi conosce dischi semi-leggendari come The Taller You Are, The Shorter You Get dei My Dad is Dead o George Best dei Wedding Present) o in altri casi strombazzati senza ritegno e con generosità inaudita (un esempio su tutti: i Sisters of Mercy!).
E se durante gli anni '90 chi voleva deprimersi ripiegava sul grunge o sul filone Radiohead il dark riprendeva piede nel contesto del revival wave, grazie soprattutto all'eleganza inaudita con cui l'esordio degli Interpol resuscitava Ian Curtis senza obbligarlo a rivoltarsi nella tomba. Non potevano però mancare gli epigoni, sempre più imbarazzanti e inutili man mano che il decennio andava a termine: Editors, Killers, Bravery, Rakes, Cinematics, Departure e chi più ne ha più ne metta.
I White Lies arrivano alla fine di questo filone, sfondando nelle classifiche (in Uk, of course!) con il botto fatto da To lose my life nel 2009, e uscendo ora con questo Ritual per cercare di bissare il successo battendo il ferro finchè è caldo.
Fortunatamente su questi lidi abbiamo ancora la presunzione di avere un minimo di obiettività che ci consente di distinguere la ciocciolata da un Capezzone qualsiasi, onde per cui non si sente un minimo valido motivo per cui dover spendere tempo ad eseguire un lavoro track by track per questo disco, che risulta in tutto e per tutto la brutta copia di To lose my life. Solita voce baritonale, stesse chitarre roboanti, uguale magniloquenza reale britannica da quattro soldi e pomposità a non finire...
Se ci aggiungete che il disco è stato presentato come una riflessione sulle tematiche dell'amore e della religione potrete immaginare quanto possano interessare al sottoscritto le elucubrazioni filosofiche di tre bei fichettini londinesi su due tematiche nel primo caso (amore) banali, nel secondo (religione) quanto meno discutibili in un contesto del genere (a meno di non volersi inventare il christian-dark, cosa per cui potremmo ridere tutti fino a domani).
No davvero, se avete più di sedici anni dirigetevi piuttosto verso i primi nomi citati ad inizio recensione. Le sgambettate che rifiutano un futuro da escort spacciandosi per alternative emo-depresse potranno trovare forse particolarmente eccitanti le epicità di Bigger than us, i tappetini synth di The power & the glory o la sadness decadente di Bad love. Ma la speranza è che non ci si accontenti delle copie delle copie delle copie. Odio il concetto di copyright, però diamine, non esageriamo...
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