Zola Jesus
Conatus
La regina del gotico targato Sacred Bones è di nuovo tra noi. Una coerenza invidiabile, un percorso lineare nel quale la Danilova si è imposta come una delle più promettenti e curiose performer dell'underground elettronico. La creatura di Zola Jesus è un ibrido tra più generi, l'ideatrice di acts non facilmente catalogabili dove elettronica, goth, minimal wave, drone, musica da camera si intrecciano in pastose e lente suites oscure.
Il progressivo distaccamento dai shittismi degli esordi si è ora sedimentato in una messa a fuoco che privilegia un rigore glaciale nella composizione e una grande attenzione rivolta ad un cantautorato cupo, opprimente, ma con un retrogusto malinconico e labilmente profumato. Una formula ormai riconoscibile e personale che trova in questo Conatus una prima sistemazione organica. Lo dimostra la compostezza austera di Avalanche, litania dove la voce trova finalmente una sua dimensione piena, spiccando su una base freddissima a base di percussionismi robotici, eco e synth fluttuanti. Lo conferma pienamente il gioiellino di Vessel, che allaccia effettistica industrial-glitch (vicina al Patrick Wolf più minimale) a cantautorato goth, costruendo una profondità di vedute di notevole spessore, tra rintocchi gravi di piano e gonfiamenti enfatici dove ancora una volta il lirismo della Danilova conquista spazio con ferma severità. Certo, non si può non notare la grande attenzione spesa nel tentativo di innovare la proposta musicale lavorando maggiormente sulle basi e sugli arrangiamenti (come dimostra il raffinato approccio da camera di Hikikomori, o le affascinanti sperimentazioni glitch di Shivers, o ancora le incursioni (deca)dance presenti nelle pulsanti Seekir e In Your Nature), ma è difficile anche non notare come il loro scopo ultimo sia quello di sottomettersi alle esigenze della vocalist, fornendo cornici e sfondi più che elementi costituenti dei pezzi.
La vera protagonista dell'ultimo lavoro di Zola Jesus è quindi la ricerca di una nuova canorità dark dalle forti tinte evocative, dove l'imponente presenza della Danilova sappia costituire il perno su cui tutto possa riconvergere. Il processo risulta però spingersi più a fondo, non incappando nel rischio di risultare fuori fuoco. Invero è già più che soddisfacente la cura con cui sono messe in scena le articolate dinamiche melodiche (prendiamo Ixode, anello mancante tra Siouxsie e i Cocteau Twins), la personalità con la quale è generato uno degli amalgami sonori più affascinati degli ultimi anni. Da tutte le supposizioni traiamo una certezza: la Danilova è in pieno fermento e non dà alcun segno di cedimento. Che il bello debba ancora arrivare?
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