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R Recensione

8,5/10

The Waterboys

This Is The Sea

Si parla sempre relativamente poco del fenomeno della Big Music, vera e propria cometa capace di catalizzare l'attenzione di pubblico e critica per qualche tempo, a inizio anni '80, prima di scalare le classifiche (principalmente) con i portavoce-U2.

Mike Scott è uno dei grandi cervelli che si celano dietro il fenomeno, tanto che pubblica un singolo intitolato proprio "Big Music". Ma sceglie una forma d'espressione decisamente personale, distante dal doors-televisionismo dall'aura liverpooliana degli Echo and the Bunnymen, così come dal pop da stadio dei Simple Minds o dall'epos degli U2.

Scott, come detto, è un teorico, ma paradossalmente rifiuta l'etichetta da lui stesso coniata, o almeno rifiuta il paragone con i suddetti artisti: si professa da sempre un fervido ammiratore di tale Van Morrison (ne converizzerà in modo splendido l'inarrivabile "Sweet Thing"), e la sua esperienza in effetti è imbevuta di verde e di azzurro, tanto che non può che essere figlia della tradizionale sarabanda folk irlandese (o se vogliamo della sua natia Scozia: sempre di paganesimo si parla), così come della sua miglior tradizione letteraria. Potremmo parlare di Celtic Soul, evocare esperienze eccentriche come quella dei Dexys Midnight Runners, ma saremmo comunque fuori strada: il piglio di Scott è meno serioso, rispetto a quello impettito di Kevin Rowland; il suo tono è decisamente meno "militaresco". Scott è un romantico, tutto sommato, e anche questo lo avvicina a Van Morrison. Di più: Scott è fondamentalmente un ispiratissimo cantautore, e un superbo melodista.

Tanto che, fatta eccezione per gli inclassificabili Mekons, nessuno in Gran Bretagna all'epoca può vantare una prospettiva folk tanto originale.

"This Is The Sea" contende al successivo "Fisherman's Blues", pubblicato nel 1988, la palma di capolavoro della band (e alla fine la spunta di un nulla, per il sottoscritto, perché leggermente più a fuoco). Esce nel 1985, quando la bufera post-punk ha dato ampiamente il meglio, e sembra giunta l'ora di muoversi in direzioni diverse. Soprattutto, esce dopo il folgorante "A Pagan Place", dato alle stampe da Scott nel 1984 e profetico sin dal titolo.

Ecco quindi la Grande Musica, che nel caso dei Waterboys si declina in un folk trionfale, estatico a dispetto dei testi complessi, profondamente personali e atipicamente "religiosi" (Mike non è credente, eppure si inventa una meravigliosa dedica al dio "Pan" e un breve, "sacro" intermezzo come "Spirit", vera e propria celebrazione delle possibilità dell'anima, contrapposta a un corpo che diventa una trappola). L'aura sacrale e sfavillante avvicina i Waterboys agli Echo, e anche in questo caso la frenesia e l'arcobaleno sonoro (peraltro molto più arioso e paesaggistico di quello di McCulloch & C.) fanno a pugni con liriche capaci di respirare in termini filosofici: il bello è che questo acceso contrasto regala una luce particolare all'impastoro, valorizzando al meglio la voce eccezionale e sempre leggermente eccitata di Mike Scott.

"This Is The Sea", esagerando un po', è quasi un "Astral Weeks" aggiornato all'epoca del post-post-punk: è quasi altrettanto denso, inafferrabile Si parla sempre di musica dell'anima, i suoi percorsi interiori sono - forse - altrettanto intricati, e i testi sono a modo loro vera letteratura; rispecchiano, in tal senso, non solo la tradizione più colta dell'Irlanda (Van Morrison, Yeats, in alcuni frangenti persino Joyce), ma anche l'enfasi posta dalla new-wave sull'importanza del significato, del messaggio.

La title-track in effetti sarebbe un degno riempitivo del capolavoro pubblicato da Van The Man nel 1968: melodia epica che si apre in squarci di stupore, la chitarra che incespica nervosa (quasi fosse un blues delle highlands), il testo che è pura metafisica che scaccia le tenebre, che accantona gli ultimi pensieri oscuri ("Quello era il fiume, questo è il mare"). Il singolo di successo "The Whole of the Moon" gioca ancora una volta sui contrasti, riflette una insopprimibile esigenza di scoprire il nuovo, di aprirsi al mondo: in questo caso, oltre alle melodia festosa, leggermente esaltata, fanno la differenza anche i laboriosi arrangiamenti. Da buon folksingers celtici, Scott e compagni fanno ampio uso di violoni, sassofoni, trombe, di una tastiera che riempie l'armonia.

"Old England" è da pelle d'oca: il testo ha pochi paragoni validi, in ambito pop-rock, e Mike (sulla falsariga di molti altri filo-irlandesi, dal Lennon di "The Luck of the Irish" agli ovvi U2, passando per i Dexys Midnight Runners) pugnala nel cuore il tatcherismo, l'imperialismo e l'arroganza della vecchia Inghilterra, un paese destinato a perdere il ruolo di guida e di tiranno, un paese che attraversa una crisi secolare. Il sassofono, nel frattempo, urla slabbrato, e il pianoforte è un basso pulsante e continuo che fomenta la tensione. Più battagliera e rock, nel senso migliore del termine, è l'infuocata "Be My Enemy", impreziosita da chitarre in odore di post-punk. Non posso evitare due parole, infine, per l'estrosa, quasi ispanica "Don't Bang The Drum", fastosa e trascinante come e più degli altri pezzi dell'album.

Concludo: "This Is The Sea" è un disco solenne ed epico, che evoca in modo istintivo colori e atmosfere "celtiche". La sua forza sta però soprattutto nella sua perenne estasi: una sorta di dream-rock distante anni luce dalle atmosfere rarefatte dei colleghi londinesi, perché questo sogno è soprattutto aria e luce, o anche intensa spiritualità. Dicevo? Una specie di "Astral Weeks" degli anni '80, e forse non esagero troppo.

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Voto degli utenti: 8,9/10 in media su 10 voti.
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Cas 9,5/10
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Lelling 8,5/10

C Commenti

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nebraska82 (ha votato 8,5 questo disco) alle 16:25 del 25 maggio 2015 ha scritto:

Van Morrison cresciuto nell'era del post punk, ecco il risultato. Gran disco e grande recensione, "Don't bang the drum" e la title track capolavori eterni.

Cas (ha votato 9,5 questo disco) alle 17:20 del 26 maggio 2015 ha scritto:

Stupenderrimo. Ottimo lavoro Fra!

benoitbrisefer (ha votato 8,5 questo disco) alle 2:26 del 29 maggio 2015 ha scritto:

Bella recensione che coglie in modo ineccepibile il senso di Scott e dei suoi Waterboys. Unico punto su cui non mi trovo in totale accordo con Francesco è il confronto col successivo: This is the sea vs. Fisherman's blues = X

Totalblamblam alle 22:08 del 3 agosto 2015 ha scritto:

per me un paccone ...e dire che la band è favolosa ( avete visto l'esibiione live a glasto? Steve Wichham davvero leggenda) ma fisherman's, a pagan place (da avere la versione in cd rimasterizzata con la lunghezza originaria dei brani che uscirono molto tagliati su vinile) e perfino il primo li preferisco e di molto. comunque è un mio problema ma sto disco per me è proprio insipido.