Our Brother The Native
Make Amends For We Are Merely Vessels
Gli Our Brother The Native sono americani e sono giovanissimi (il più vecchio ha la bellezza di 21 anni) ed il loro nuovo disco “Make Amends For We Are Merely Vessels” ci giunge dopo un debutto più che promettente (Tooth and Claw), capace di esplorare con caparbietà e coraggiosa attitudine sperimentale i lidi più free dello psych-folk.
Le cose però, con questo secondo lavoro, sono un po’ cambiate: i nostri sono inevitabilmente cresciuti, hanno aumentato la loro tecnica e spinto più in là le loro ambizioni, scoprendo le potenzialità delle loro giovani menti e agendo di conseguenza. Un album carico di mistero, dai brani eterni ed intricati, capace di pescare dallo spirito aleatorio dell’ambient, dallo psych-folk, dalla sperimentazione d’avanguardia, dal dream pop e dal post-rock. Il tutto mescolato in una chiave che unisce una grande personalità ad una evidente ispirazione Sigur Ros-iana, che più volte fanno capolino nei brani.
Atmosfere espanse e rarefatte fino all’estremo, nelle quali però si impone sempre, ad un certo punto, uno sfogo violento capace di rendere questi densi aerosol musicali delle vere scarpate in faccia.
Come in Rejoice, dove nel bel mezzo di un sognante mix di sibili, rumori, delicati arpeggi di chitarra, si va a ficcare un episodio caustico di urla furiose e scosse sonore destabilizzanti, per poi riprendere come se nulla fosse accaduto, con cori religiosi in sottofondo e cinguettii armoniosi…Ma ormai abbiamo capito che tutto questo non è rassicurante, ma appare piuttosto come un’inquietante calma dopo la tempesta. Ancora paesaggi oscuri quindi con gli ossessivi pochi accordi di pianoforte di As They Fall Beneath Us, aleggianti in un denso nugolo di vibrazioni e effetti elettronici vari. Anche qui giunge a dare consistenza e maggior forma al brano la voce, quasi a volerci far trovare l’orientamento, anche se col solo fine di farci riprendere il cammino per poi riperderci inevitabilmente.
Le sonorità infatti si fanno alquanto scosse, con ritmo in costante aumento di velocità e voce sempre più incazzata, per un insano bilico tra post-rock, ambient e avanguardia. Siamo solo all’inizio, e il percorso è ancora molto lungo, a tratti estenuante, ma una volta arrivati alla fine, volto lo sguardo indietro, si possono ricordare con piacere i dolci e melodiosi toni di We Are The Living, forse la traccia dove i Sigur Ros sono più presenti, le due cavalcate sperimentali e sfrenate di Trees, il post-rock delirante di Younger, la devastante conclusione noise della rallentata e freddissima settima traccia e il lungo commiato etereo e impalpabile di The Multitudes Are Dispersing.
Per riassumere si tratta senza dubbio di un album ambizioso e a tratti geniale, unici difetti l’eccessiva prolissità che spesso può mettere a dura prova la nostra pazienza.
Ma è proprio il caso di premiare la fatica di questi giovani, che forse a causa dell’età faticano a trovare un giusto equilibrio per le loro intuizioni.
Hanno voglia di strafare insomma, cosa, questa volta, decisamente apprezzata, confidando però in un approdo alla maturità un po’ più abbordabile.
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