Tim Buckley
Happy Sad
Quella di Tim Buckley non è solo musica, non può essere imprigionata nelle vane catalogazioni di folk, di rock, di psichedelia Lopera di Buckley è pura sensazione, è la sublimazione della malinconia, è lidea più astratta che possiamo concepire di melodia, di suono. È qualcosa di magico, per dirla tutta, un album di Tim Buckley.
Anche quando, come in questo Happy Sad, il nostro artista non si lascia andare alle sperimentazioni più coraggiose, quelle presenti per esempio in Lorca e Starsailor, riesce comunque a dare alla sua musica una connotazione altamente innovativa ed inusuale. Il suo folk, termine derivante da folcloristico, e quindi di radici popolari, si eleva ad un classicismo e ad una raffinatezza che, al contrario di come dovrebbe essere, risultano essere di matrice colta, difficilmente apprezzabili dalle masse, incapaci di star dietro alla sua spasmodica ricerca di un limite da sorpassare e di una qualche nuova influenza da assorbire. Non era Bob Dylan, ecco tutto.
Forse è proprio per questo che la figura di Tim Buckley è stata per lungo tempo quella del genio incompreso, finito vittima della sua stessa tensione a superare i limiti ed alla sua vocazione di trascendere il mondo fisico.
E sono proprio queste due caratteristiche ad essere evidenti nella sua musica.
E in Happy Sad.
Come non notarli per esempio in Strange Feeling? Lapertura onirica del brano lascia spazio allincredibile voce di Tim, sostenuta dalla chitarra acustica e dal vibrafono, che da questo momento in poi partirà con i suoi ardui vocalizzi, che sembrano voler essere lo specchio dellanima del cantante stesso. Appassionata, instabile, potente, sommessa, acuta, la voce dipinge ogni tipo di sensazione. Un assolo delicato e limpido da maggiore forza al pezzo, incatenandoci al suo progredire quasi improvvisato, libero dalle strutture tradizionali della forma canzone.
Chitarra e vibrafono si rincorrono a lungo per concludere questo primo grande pezzo.
Con Buzzin Fly abbiamo la conferma assoluta del genio di Tim Buckley,capace di regalarci mille sorrisi con la semplicità disarmante di questo pezzo. Lintensità di gioia sprigionata dallassolo iniziale di chitarra elettrica e da quel magnifico tappeto di vibrafono è incredibile. La voce è nuovamente da pelle doca, riuscendo ad essere espressiva come poche altre sono state capaci nella storia della musica rock. Le sue qualità di songwriter sono così più che consolidate.
Love From Room 109 At The Islander (On Pacific Coast Highway) è una lunga composizione malinconica e sommessa, di incredibile delicatezza, dove lesecuzione di Tim sembra cavalcare un flusso di pensieri improvvisato . Pare quasi di ascoltare un sogno, vista lineffabilità di fondo e linfinità di piccole variazioni presenti durante i quasi 11 minuti di musica. Il vibrafono poi è essenziale per immergere il tutto in unatmosfera fantastica. Il suono delle onde delloceano, nel frattempo, continua a lambire le coste della Pacific Coast.
Ed eccoci a Dream Letter, dove viene riproposto il tema del sogno, una costante nellopera di Buckley. Veniamo ora catapultati nella tristezza più nera, sempre fluttuante in una profonda impalpabilità, quella propria del sogno per lappunto, amplificata dai lamenti trascinati di un violoncello.
Arriviamo ora a Gipsy woman, vero culmine dellarte di Tim Buckley, che ci giunge attraverso i ritmi tribali delle percussioni e il rintocco del contrabbasso, e presto anche la chitarra inizia il suo singhiozzo di note. La voce di Tim rimane dapprima in sottofondo, lasciando libero sfogo agli strumenti, impegnati in un incalzante free-jazz tribale. Sempre più coinvolgente. Ed eccola potente più che mai la voce, quella voce bellissima ed ispiratissima, pronta a ruggire, ma anche a concedersi attimi di contemplazione assorta, sempre nel segno della sperimentazione e nel tentativo di esplorare i limiti dellestensione vocale (immensa daltronde). E da qui non possiamo far altro che lasciarci ipnotizzare da questa frenetica e coinvolgente ondata free di suoni, ritmi e vocalizzi.
Il commiato è affidato alla breve Sing A Song For You, immancabile ballata spleenetica, con cui abbandoniamo il magico mondo di Buckley.
Sospesi tra tristezza e felicità certo.
Ma, grazie a Tim Buckley, con nuovi occhi con cui ammirarle e con nuovi orecchi per ascoltarle.
So let me sing a song for you
Just to help your day along
Let me sing a song for you
One I've known so very long
Oh, please could you find the time
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