V Video

R Recensione

8,5/10

Asaf Avidan

Different Pulses

Balzato in testa alle classifiche di tutta Europa con una versione remix ad opera di un dj tedesco di un suo vecchio brano di quattro anni fa, Reckoning Song, Asaf Avidan sta velocemente conquistando anche il pubblico italiano, a colpi di tutto esaurito nei concerti del suo breve tour.  Ma non tragga in inganno questo singolo di successo, perché qui si tratta di un vero artista, non un fenomeno creato ad arte.

Con già tre dischi alle spalle con la band Mojos, Asaf Avidan, una delle voci più particolari e intense della canzone d’autore israeliana contemporanea, ha deciso quest’anno di iniziare una carriera solista uscendo con un nuovo lavoro a suo nome, registrato quasi da solo (chitarre, piano, tastiere elettroniche e programming) con l’aiuto di Tamir Muskat (batteria, tastiere, programming, cori) e pochi ospiti, sfruttando al meglio le possibilità offerte dalle apparecchiature elettroniche.

Un uso massiccio dell’elettronica, che sulla carta avrebbe potuto creare come risultato finale un suono freddo. Così non è, perché l’elettronica qui viene usata (e non abusata) in maniera intelligente, e soprattutto perché su tutto si staglia la voce unica di Asaf Avidan, intensa, emotiva, che sa passare dai toni più acuti a quelli più graffianti, colorando ogni nota di emozioni profonde, calore e umanità.

Il disco si apre con la ritmica scura della titletrack Different Pulses, lenta, notturna, su cui spicca una voce dolente, accompagnata da stacchi di piano e tastiere che creano una stratificazione di suoni uno sull’altro, in un crescendo emotivo che colpisce al primo ascolto. Un colpo da ko piazzato proprio all’inizio del disco. Ma tutto il lavoro è a livelli altissimi, dal suono scuro e ripetitivo di Setting Scalpels Free, con quella voce che graffia in un falsetto quasi rauco, alla intensa ballad A Gun & A Choice aperta dal piano, con un trombone che accompagna una orchestrazione splendida (orchestra sintetica, fosse vera sarebbe un capolavoro), un brano che gioca sul binomio dolore amore, e una voce che riesce a far sentire tutto il dolore raccontato (what kind of sick, sick love is this, that you left her to die?).

Più volte nel disco ricorre l’eco del miglior Leonard Cohen. Conspiratory Visions Of Gomorrah potrebbe essere una delle sue ballate slow, con una base ritmica costruita da suoni elettronici, un bel coro, una tromba dolcissima nell’inciso, cantata con voce delicata e suadente. Il Maestro canadese ritorna per suoni e intensità emotiva dell’interpretazione (non certo per la tonalità della voce) anche nella conclusiva Is This It, un lento molto minimale, quasi solo voce e tastiere, tutto giocato sulla voce e sull’interpretazione.

Nei brani più veloci e ritmati si scorgono accenni al miglior trip hop (epoca Tricky e Massive Attack) come in Cyclamen e in Turn, cantato in un ruvido falsetto, con stratificazione di suoni e programming trascinante, un brano dalle mille sfumature, con un basso anni ’70 da colonna sonora black ed un fischio alla Morricone. Altri paragoni vengono alla mente, tra i tanti quelli con Jeff Buckley e Antony Hegarty, voci tanto delicate quanto potenti nella loro fragilità, così come quella di Asaf Avidan in  due capolavori quali The Disciple e Thumbtacks In My Marrow. La prima è una slow ballad con in primo piano questa voce struggente, davvero toccante, tanto quanto il testo di questo brano splendido (All the things these eyes have seen, this time they've really crossed the line, I think I'll pack up all my shit and cross to Palestine, Cry! Oh angel cry Your favorite disciple is tearing out his eyes). La seconda è puro Buckley, un brano lento, con chitarra, rumori elettronici e un clarinetto. Un atmosfera intima, intensa, emotivamente coinvolgente.

Apparentemente più pop sono Love It Or Leave It, accompagnato da cori e handclaps, apparentemente un brano più allegro (a dispetto del testo) e quasi pop, e 613, un brano anni ’50 con i suoni del 2010, le sonorità elettroniche unite a quelle mediterranee che crescono man mano, per arrivare ad un finale in cui il brano si apre a mille colori e sensazioni.

Un disco di un’intensità che lascia senza fiato, che tocca le corde più profonde dell’anima, in cui si arriva alla fine quasi emotivamente spossati. Una voce che sanguina, che strappa l’anima. Pare davvero incredibile come una voce così delicata possa risultare anche così graffiante. Dopo averlo visto dal vivo, si capiscono anche i paragoni con Janis Joplin. Sul palco, accompagnato solo dalla sua chitarra, e a volte al piano, dimostra una padronanza della materia blues notevole, e una capacità di coinvolgere emotivamente il pubblico che capita poche volte di incontrare, esattamente come fu quando assistemmo al concerto di Jeff Buckley o al primo club tour di Antony Hegarty.

Visto il successo raggiunto in tutta Europa della versione remix di Reckoning Song, ovunque ai vertici delle classifiche Italia compresa, il cd, uscito quest’anno in Israele, è ora in distribuzione sulle piattaforme digitali, e sarà pubblicato nel nostro continente da Universal il 15 gennaio 2013, con la versione originale acustica del brano.   

V Voti

Voto degli utenti: 6,4/10 in media su 8 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
loson 6/10
REBBY 6/10
salvatore 6,5/10

C Commenti

Ci sono 9 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

Franz Bungaro (ha votato 7,5 questo disco) alle 16:10 del 16 dicembre 2012 ha scritto:

Andiamo con ordine. L'ho sentito la prima volta in Tv un paio di settimane fa, quando si e' esibito nel salotto di una importante trasmissione Rai della domenica pomeriggio. M'era piaciuto. Ho ascoltato il disco e m'era piaciuto pure quello. Ho scoperto poi che Asaf Avidan stava per essere stecchito dal morbo di Geordie, ovvero era diventato famoso con una tamarrissima versione di una sua canzone da parte del Dj tedesco Wankelmut

Lui stesso ha dichiarato di aver odiato quella cover, ma di doverle in fine un gran riconoscimento in quanto l'ha fatto conoscere per il mondo.

L'album. Un mix di trip hop stile Tricky, voce a meta' strada tra Charles and Eddie e Janis Joplin, e molti inserti folk (soprattutto nella chitarra) e varie digressioni (reggea, world, pop, dream). Tutto bello anche se poi a lungo andare non vieni rapito da nessuna traccia in particolare, raggiungendo invece un buon effetto se lasciato in sottofondo.

Menzione d'onore per la title track e per The Disciple.

van zandt, autore, alle 17:44 del 16 dicembre 2012 ha scritto:

attenzione a non giudicare un artista a causa di un singolo di successo (parlo per esperienza personale .....)

Steppenwolf84 alle 18:15 del 16 dicembre 2012 ha scritto:

Ragazzi, l'ho ascoltato oggi ed è sconvolgente!Non ho mai sentito una voce come questa, è davvero originale e personalissima!Ma ora come faccio con la mia classifica di fine anno che ormai ho già completato?

Un album del genere non può mancare!

Gio Crown (ha votato 8 questo disco) alle 19:08 del 16 dicembre 2012 ha scritto:

l'ho trovato magnifico! Soprattutto per l'uso raffinato dell'elettronica che, come dice il recensore, "sulla carta avrebbe potuto creare come risultato finale un suono freddo. Così non è, perché l’elettronica qui viene usata (e non abusata) in maniera intelligente" Ecco la perfezione di questo disco. Stranamente l'elemento qui magniicato (la voce) è ciò che mi piace di meno...anche se riconosco che Avidan la usa come un potente e duttile strumento musicale! A me piacciono le voci più scure e profonde alla David Gahan, ma questa è una questioni di gusti. Grande!

Steppenwolf84 alle 19:54 del 16 dicembre 2012 ha scritto:

Ma non essendo ancora uscito in Europa potrà essere considerato a tutti gli effetti un disco del 2013?

Così comincio già a stilare la prossima classifica!

salvatore (ha votato 6,5 questo disco) alle 10:48 del 22 gennaio 2013 ha scritto:

La title track mi ha impressionato, letteralmente: meravigliosa! Ora è d'obbligo ascoltare il resto...

REBBY (ha votato 6 questo disco) alle 9:06 del 22 aprile 2013 ha scritto:

Concordo con il recensore: possiede una voce "unica", mai sentito nulla di simile provenire da un'ugola maschile, sicuri che non sia modificata da qualche diavoleria elettronica?

Nel complesso un album gradevole, un intrattenimento leggero nell'ambito di un rock classico, di facile ascolto e rispettoso della tradizione. Arrangiamento un po' troppo laccati e spesso eccessivamente sovracarichi di archi. La title-track a me pare il pezzo più riuscito.

salvatore (ha votato 6,5 questo disco) alle 10:54 del 22 aprile 2013 ha scritto:

Ed io concordo con te, Rebby: bel disco che si inserisce in un filone - quello del pop che flirta con trip hop, blues e folk - ormai piuttosto collaudato. Il problema essenziale del disco, a mio avviso, è che nessun brano tocca i vertici compositivi ed emozionali della title track, malgrado nel disco vi siano altre belle canzoni: "The disciple", "Love it or Leave it", "613", "A Gun & a Choice", per esempio. La voce, comunque, è tutta sua ed è notevole; se guardi qualche live (Sanremo, per esempio ) appare piuttosto chiaro. Più che Tricky, a me ricorda Horace Andy, però, oltre che, come giustamente detto da Giorgio - a proposito, bella recensione -, Janis Joplin...

Disco decisamente piacevole, penalizzato da qualche brano che scorre senza lasciare particolare traccia e da una voce che, già di natura così "estrema", andrebbe controllata un po' di più, per non correre il rischio di cadere nell'effettismo.

Artista da non trascurare, comunque...

van zandt, autore, alle 12:48 del 27 aprile 2013 ha scritto:

L'ho visto di nuovo dal vivo, stavolta nel più capiente Alcatraz di Milano, con pubblico ovviamente più vario, e con band rock invece che solo chitarra e voce come all'Hiroshima quest'inverno. Confermo quanto scritto, tranne che per il paragone con la Joplin. Dove lei era evidente che viveva ( e soffriva) sulla sua pelle quello che cantava, per Avidan sembra più una interpretazione da grande artista che recita una parte. Però le emozioni che trasmette con la sua voce sono le stesse. E dal vivo, quando si lascia andare, viene fuori l'anima di un grande bluesman.