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10/10

Bob Dylan

Blonde On Blonde

Persino i Beatles e gli Stones erano costretti a stare buoni sul divano mentre il pazzo erede reale entrava e usciva parlando dell’Apocalisse e di Pensacola” (Marianne Faithful)

La voce di Dylan sembrava quella di un malato di cancro che canta Woody Guthrie. Adesso sembra quella di un Rolling Stone che canta Immanuel Kant” (non meglio identificato critico degli anni ‘60)

Tu quoque, Judas.

È il 17 maggio, siamo a Manchester, c’è Bob Dylan. Che da qualche minuto sta dando oltremodo fastidio a una certa fetta di pubblico, quella che, in imperdonabile ritardo storico, aveva pagato il biglietto per assorbire per osmosi ciò che (ancora) vedevano in lui: ideali di sinistra, profezie di pace, impegno politico, chitarra acustica e armonica, la solitudine sul palco. “Dylan era al suo meglio. Le persone che se ne andarono dicendo che volevano il ‘vero’ Dylan intendevano dire che volevano il ‘vecchio’ Dylan” (Vicki Rees, fan del profeta).

Aveva già dato loro ciò che volevano, Bob, con la prima parte del concerto esclusivamente acustica, realizzando tra l’altro la versione probabilmente definitiva di “Mr. Tambourine Man” (assoli di armonica che sembrano la voce di San Pietro ai cancelli lucenti).

Ma in quella seconda parte lo squinternato protopunk stava decisamente oltrepassando il limite tanto che, terminato “Just Like Tom Thumb’s Blues”, una ragazza salì sul palco e consegnò un biglietto a Dylan. Il quale, dopo essersi inchinato alla piacevole intrusa e averle lanciato un bacio, s’intascò il pezzo di carta. Cosa c’era scritto? “Di’ alla band di andarsene a casa”.

Gli Hawks (alias Band), Newport ’65, la mitragliata di haynesiana visione, lo stupro elettrico… come andò a finire quella serata è materia da abbecedario storico. E solo il giorno prima era uscita ufficialmente la sua nuova creatura, “Blonde On Blonde”. Biondo su biondo, B O B, l’acronimo più grande della storia del rock.

1966: in Inghilterra Beatles, Stones e Kinks cominciano a fare maledettamente sul serio (preferenze tra “Revolver”, “Aftermath” e “Face To Face”?), negli States 13th Floor Elevators, Blues Magoos e Deep fanno a gara a chi ha usato per primi l’aggettivo “psichedelico”, mentre Frank Zappa fa conoscere nuove lande al rock underground e Brian Wilson rivoluziona il concetto di musica pop, portandolo a vette irraggiungibili per chiunque.

E Bob Dylan? È semplicemente in un altro universo. Ha già passato il 1965 a distruggere e riplasmare tutto ciò che c’era da distruggere e riplasmare, a fare abuso di droghe e avventure sessuali, a dover rispondere ad assurde domande, a sfamare una generazione che nei suoi versi cerca una via.

Ma Dylan non è un poeta, tantomeno uno scrittore. Non ha risposte. Non ha rapporto endemico con la carta, non è il “vero” lui quello ritratto a battere i tasti della macchina da scrivere con la sigaretta appesa al baratro del tavolino. Dylan non vive nella parola, ma nella sua espressione.

Bob Dylan, pur essendo i testi delle sue canzoni portfolio d’inestimabile valore nel mondo rock, non è un grande poeta e come prosatore vale poco: Tarantula è stravaganza fin troppo incatenata nelle coordinate storiche in cui è stata scritta, Chronicles (arrivando ai giorni nostri) maschera poco mordace. Ben mediocre è il suo valore di creatore d’immagini, vedere i suoi dipinti e il suo film Renaldo & Clara per credere.

L’inarrivabile grandezza di Dylan (del Dylan tutto, ma in particolar modo quello del biennio 65-66) è nell’essere voce, una voce che sussiste e si nutre di mitopoiesi. Dylan è ciò che dice e fa, non ciò che scrive.

Una mitopoiesi che si manifesta dal primo impatto possibile: la copertina. Aprendo la strada a Bowie, Dylan fu il primo in ambito rock a intuire la potenza del messaggio della cover, a considerarla arte anch’essa, ad ergere l’io-artista ad opera d’arte suprema: ripetizione che si esaspera, Dylan in copertina non è mai una fotografia scattata a lui, ma lui che sistematicamente mostra sé stesso. E anche in questo “Blonde On Blonde” è fuori categoria: non semplicemente il primo doppio album della storia del rock (in anticipo di sei settimane su “Freak Out!” di Zappa), ma primo album titanico, con la copertina che aperta diventa colonna, Dylan bellissima, imperiosa e contemporaneissima cariatide, simbolo imbronciato dell’intelligencija dandy. L’arroganza egocentrica dell’ex mister Zimmerman al suo apice.

Apice che tocca anche il versante musicale. Perché se è vero che i primi due album della conversione elettrica avevano già rivoluzionato l’ambiente musicale, con “Blonde On Blonde – registrato su consiglio di Bob Johnston a Nashville, mentalmente chiusissima ma pregna di musicisti di primissimo valore – dà piena e definitiva forma a questa rivoluzione, mescolando le sue grandi ossessioni: il rhythm and blues, i poeti maledetti, la narrativa beat, Woody Guthrie, il pop, il cinema, il rock and roll, la nascente cultura psichedelica, le donne, la droga.

Tornerà ad essere grandissimo dieci anni dopo con “Blood On The Tracks” e “Desire”, nel 1997 con “Time Out Of Mind”. Ritorni ad livelli supremi però accompagnati dal già presente status di leggenda e dalla consapevolezza di non essere più il presente e il Verbo rock.

Con l’uscita di “Blonde On Blonde”, in qualche modo, Dylan morì e trasfigurò. Avrebbe passato il resto degli anni ’60 a nascondersi e pubblicare dischi di orgogliosissima (e brutta) musica di retroguardia, a fare la totale anti rockstar, da rockstar viziata che poteva permettersi tutto. Il profeta non aveva più nulla da dire: ora che aveva diffuso la sua Bibbia, poteva gustarsi dall’alto tutte le conseguenze.

Il disastro redentivo era in irripristinabile atto.

 

p.s. 19 marzo 1962: esce “Bob Dylan”, lp d’esordio del nostro. A 50 anni esatti dalla nascita di uno dei più grandi miracoli culturali del '900, la presente recensione non ha voluto essere tale, tanto che nessun pezzo di “Blonde On Blonde” è stato nominato. Un omaggio che sa di atto di sensata e scientifica fede: perché ogni discorso su Dylan può vivere solo di sottrazione e chi ha bisogno di analisi critiche dettagliate per amare il disco cade nell’ossimoro.

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Voto degli utenti: 9,3/10 in media su 34 voti.

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SamJack (ha votato 10 questo disco) alle 9:27 del 19 marzo 2012 ha scritto:

Capolavoro...

Cas (ha votato 10 questo disco) alle 11:31 del 19 marzo 2012 ha scritto:

"il rhythm and blues, i poeti maledetti, la narrativa beat, Woody Guthrie, il pop, il cinema, il rock and roll, la nascente cultura psichedelica, le donne, la droga."

ecco si, proprio questo!

salvatore (ha votato 10 questo disco) alle 11:38 del 19 marzo 2012 ha scritto:

RE:

... e la perfezione melodica!

rael (ha votato 7 questo disco) alle 11:46 del 19 marzo 2012 ha scritto:

RE:

Anche un pochino di sonno e di pedanteria diciamolo. Usciamo allo scoperto_'

otherdaysothereyes (ha votato 10 questo disco) alle 11:58 del 19 marzo 2012 ha scritto:

Il mio preferito di Dylan, un disco incredibile con due picchi irripetibili quali Visions of Johanna e Sed eyed lady of the lowlands. Per me il primo grande capolavoro della storia del rock bianco!

Krautrick, autore, alle 11:59 del 19 marzo 2012 ha scritto:

rael: se intendi l'articolo assolutamente sì, se intendi il disco assolutamente no ;D

ozzy(d) (ha votato 8 questo disco) alle 12:36 del 19 marzo 2012 ha scritto:

everybody must get stoned!

bel disco, ma sad eyed lady è un po' pedante in effetti.

ozzy(d) (ha votato 8 questo disco) alle 12:36 del 19 marzo 2012 ha scritto:

meglio highway 61 revisited per me.

Totalblamblam (ha votato 10 questo disco) alle 13:19 del 19 marzo 2012 ha scritto:

il finale di rece mi lascia perplesso mi sembra buttato là...un disco come John Wesley Harding detta altri percorsi per il rock e infatti VU, Tim Buckley, Nello, Joni Mitchell e tanti altri si accoderanno sul quel versante proprio di retroguardia...

swansong alle 13:23 del 19 marzo 2012 ha scritto:

Bob Dylan, l'apprezzo molto, perchè senza di lui non avremmo avuto alcune delle più belle cover di tutti i tempi..grazie!

Totalblamblam (ha votato 10 questo disco) alle 13:28 del 19 marzo 2012 ha scritto:

RE:

davvero? si hai ragione quella dei guns spacca di brutto per tamaraggine ed insulsaggine ma forse è una caso unico ghhghgh

swansong alle 14:02 del 19 marzo 2012 ha scritto:

RE: RE:

Sì..beh quella dei Guns non è male (sempre e comunque meglio dell'originale), piuttosto pensavo a Hendrix, Young, Affinity, Pearl Jam, ecc..

Totalblamblam (ha votato 10 questo disco) alle 14:26 del 19 marzo 2012 ha scritto:

RE: RE: RE:

mah per me quella dei guns è oscena distrutta come poche...gli altri che citi mi stanno pure bene solo che forse non conosci i boots series live di dylan sono infiniti... non c'è confronto proprio

rael (ha votato 7 questo disco) alle 16:08 del 19 marzo 2012 ha scritto:

krautrick intendevo il disco. La recensione è molto originale, veramente, ma a me non piace. L'originalità la cerco in uno scrittore, romanziere, poeta, non in un recensore di dischi. Un recensore dovrebbe spiegarmi l'opera (qualsiasi essa sia: disco, quadro, scultura) e fornirmi eventuali chiavi di lettura che a me (presunto ignorante o distratto) possono sfuggire. Invece questo nuovo modo di far recensioni a me non piace, ormai sono tutti ossessionati dall'originalità, il timore della filologia ecc mi sembra tutto sbagliato. Le recensioni sono sempre più personali (blogghistiche) e meno tecniche, perchè chi scrive non ha conoscenza musicale, purtroppo. Anche il tuo discorso sulla fede è incomprensibilmente personale e mosso da egoismo, la fede non è mai sensata e scientifica. Mai. _'

ozzy(d) (ha votato 8 questo disco) alle 17:04 del 19 marzo 2012 ha scritto:

a me la rece è piaciuta invece, poi cosa puoi aggiungere 46 anni dopo su un disco come questo, strafamoso e straconosciuto?

rael (ha votato 7 questo disco) alle 10:40 del 20 marzo 2012 ha scritto:

strafamoso sì, straconosciuto no, non ci giurare. D-)

ozzy(d) (ha votato 8 questo disco) alle 12:08 del 20 marzo 2012 ha scritto:

rainy day women l'ha pure plagiata ligabue in "arrivederci mostro", più strafamoso di così ghghghgh

magma (ha votato 9 questo disco) alle 20:27 del primo aprile 2012 ha scritto:

Capolavoro, praticamente perfetto.

Emiliano alle 18:22 del 12 aprile 2012 ha scritto:

L'altro disco di Dylan che sopporto (il primo è la colonna sonora di Pat Garrett & Billy the kid). Notevole, e perfetto nel catturare un luogo, una sensazione, un'epoca.

Giuseppe Ienopoli (ha votato 10 questo disco) alle 16:38 del 16 giugno 2012 ha scritto:

... riascoltarlo è come succhiare il latte materno da una bianca e gonfia mammella anni sessanta!!

KandyKorn (ha votato 9 questo disco) alle 16:36 del 7 settembre 2012 ha scritto:

Il primo capolavoro della storia del rock. Tra I Want You", "Just like A Woman" e soprattutto "Sad Eyed Lady Of The Lowlands" i capolavori si sprecano...

Utente non più registrat (ha votato 9 questo disco) alle 14:22 del 15 novembre 2018 ha scritto:

Semplicemente il più grande album cantautorale del rock. Forse qualche altro album sarà più intimo, qualcuno più creativo nel lato musicale, o qualcuno può vantare un cantante più dotato... ma questo qui è il più grande

Giuseppe Ienopoli (ha votato 10 questo disco) alle 17:34 del 21 novembre 2018 ha scritto:

... è pure uno dei più lunghi di quel tempo con i suoi settantunominutieventitresecondi ... il disco è ritenuto il primo significativo album doppio della storia del rock!

P.S. - ... ancorasoloesempreNOMADI ... Augusto vive.

Utente non più registrat (ha votato 9 questo disco) alle 21:36 del 21 novembre 2018 ha scritto:

Non è solo il primo significativo... è proprio il primo! Il secondo è Freak Out di Zappa. Due Perle, anzi visto che parliamo di quattro vinili in tutto, quattro Perle!

Giuseppe Ienopoli (ha votato 10 questo disco) alle 23:31 del 21 novembre 2018 ha scritto:

... ma se Blonde fosse un doppio insignificante, il primo significativo album doppio della storia del rock sarebbe stato Freak Out di Zappa ... l'aggettivo qualificativo è sempre rilevante nel contesto della proposizione.

Utente non più registrat (ha votato 9 questo disco) alle 8:33 del 22 novembre 2018 ha scritto:

E lì siamo tutti d'accordo, Freak Out altrettanto mitico

Giuseppe Ienopoli (ha votato 10 questo disco) alle 18:13 del 23 novembre 2018 ha scritto:

Dedicato a quei pochi che non conoscessero questa splendida versione di Sad Eyed Lady of the Lowlands ... Joan è perfetta!

N.B. ... da ascoltare un giorno sì e un altro pure.

Utente non più registrat (ha votato 9 questo disco) alle 10:57 del 6 settembre 2020 ha scritto:

Col passare degli anni sono giunto alla conclusione che questo disco è perfetto da tutti i punti di vista, ma questo disco è molto più di questo. C'è qualcosa di soprannaturale che si avverte con lo scorrere delle canzoni, come se Dio in persona avesse fatto visita in quegli studi di registrazione per dirigere la faccenda. "Highway 61" resta fra le cose più belle e innovative del decennio, ma qui sembra davvero che Dylan trasfiguri e diventi "altro" dal superbo cantautore, pur sempre umano però, che era e che poi sarà. Emozionante all'inverosimile, imprescindibile, trovateli voi altri aggettivi adatti, e mi stupisco di dare questi aggettivi a uno degli album più famosi e celebrati della storia e anche dalla critica più generica e mainstream.