Bob Dylan
Together Through Life
Ogni album di Bob Dylan riserva un numero inevitabile di sorprese e delusioni: sono infatti pochi gli artisti con un carriera (così) lunga ad avere ancora tanta credibilità. Indubbiamente alcuni dei reduci degli anni 60 sono ancora attivi, e non manca loro la voglia di tentare la zampata e talvolta magari addirittura riuscire nel tentativo di dare alle stampe un nuovo album più che dignitoso: Neil Young, Paul Simon, gli Stones, persino McCartney ognuno di loro è riuscito, dopo aver oltrepassato la sessantina, a dare alle stampe lavori che non fossero di grande imbarazzo qualora confrontati con i loro capolavori del passato. Ma il vecchio Bob ha fatto qualcosa di più di ognuno di loro: per ogni decennio della propria carriera ha realizzato un album che i propri fan (e la critica) non hanno faticato a definire come un capolavoro: negli anni 60 cè limbarazzo della scelta naturalmente (ma diciamo perlomeno Highway 61 Revisited e Blonde On Blonde), nei 70 cè Blood On The Tracks (ed un Desire di non molto inferiore), negli 80 cè Oh Mercy, e nei 90 Time Out Of Mind.
Capolavori perché ognuno di essi ha rappresentato unespressione apparentemente genuina del proprio mestiere, vale a dire non macchiata da bisogni commerciali o discografici, ma piuttosto sgorgata da pulsioni che appartenevano al solo Dylan: nessuno come lui è riuscito ad essere così indifferente alle sirene delle mode (il solo episodio Empire Burlesque nella la sua produzione potrebbe macchiare questa teoria, daccordo), e a mostrarsi così estraneo al mondo esterno: in ogni intervista rifiuta con sdegno la nomea di rockstar, preferendo di gran lunga termini come musicista o artigiano, andando identificandosi via via sempre più con le figure per cui nutriva il sacro fuoco della passione e della stima in gioventù: i bluesman della prima metà del 900, i folkster, e via dicendo. In un mondo morbosamente interessato alle disavventure legali e personali di persone come Britney Spears, sentire Dylan parlare nelle interviste per promuovere Together Through Life dei blues della Chess Records fa un effetto strano.
Quando si parla quindi di Together Through Life è bene probabilmente tenere presente tutto questo, o perlomeno considerare che lartista di Duluth rappresenta un unicum: è al momento forse lunico uomo al mondo a voler fare musica che appaia sempre lontana nel tempo, sempre più distante da ciò che le sta attorno, e al contempo a ricevere unattenzione mondiale nel farlo. Qui sta tutta la potenza ed il limite dellultimo Dylan: nellaver smesso di guardare avanti, e nella ricerca costante invece di un blues che possa essere suonato ancora, o di una canzone country che stia ancora bene nella tradizione dei musicisti del Sud In questottica difficilmente sarà possibile vedere un nuovo capolavoro allorizzonte per questo decennio che di capolavori dylaniani rimane ancora a secco: perché in questa ricerca dylaniana è sempre più difficile riuscire ad intravedere Dylan dietro alle canzoni.
Le canzoni sono cioè diventate un mezzo per riuscire finalmente ad eternare quel modello che con ogni probabilità Dylan aveva in mente da molto tempo: il musicista errante ed in fondo anonimo (il modello sempre Guthrie, ma come lui ce nerano molti altri) che lascia le proprie canzoni in eredità alle città che visita sul suo cammino. Non è infatti un mistero che ormai lattività a cui luomo di Duluth dedica la maggior parte del tempo non sia certo la composizione (né tantomeno la registrazione di nuovi album), ma piuttosto il viaggio con il Neverending tour, che ormai da più di 15 anni non si ferma mai, e che (anche qui: a differenza di tutti gli act di successo del pianeta, e piuttosto in comune con i bluesmen o gli artisti jazz) non è strutturato in funzione di nessun tabellone discografico o promozionale. Dylan è in tour perché è un musicista, non (ancora una volta) per ovviare a bisogni economico/promozionali.
In questo viaggio in cui Dylan si è lanciato, in questa sorta di semi-annullamento di sé sono, giocoforza, le canzoni a farne le spese. Non perché Together Through Life sia un brutto album (seppure si stia certo sotto la media qualitativa delle sue uscite da Time Out Of Mind in poi), ma perché, come si è già detto, dietro a tutte queste canzoni che sanno di Willie Dixon (la caustica My Wifes Home Town ne porta unimpronta così riconoscibile da venir co-accreditata a Dixon), di blues/rocknroll anni 50 (Jolene), persino di jazz anni 20 (Life Is Hard), di Bob Dylan rimane non molto.
Qualcuno (malignamente) si è chiesto di fonte allaffermazione spavalda di Dylan secondo cui nessuno ora fa quello che fa lui se fosse possibile che al vecchio non sia mai riuscito di passare di recente a sentire qualche buona blues band da pub; ed in fondo lintuizione è giusta: perché ognuno dei pezzi di Together sa di standard (intesi come pezzi di repertorio), ed in questo senso non cè da meravigliarsi (o da indignarsi) del paragone con artisti completamente anonimi. Anzi, chissà che forse il vecchio Bob non ne sia persino un po contento. Chi però finisce per perderci è lascoltatore, che forse da un nuovo album di Bob Dylan si aspetta qualcosa di più.
Frugando tra questi brani (volutamente un po) polverosi quello che si può trarre da Together Through Life più che lapprezzamento per una singola canzone è, qualora soprattutto lascolto sia insistito e reiterato, una sensazione di lenta assuefazione: nessun numero del lotto sembra fatto per strappare grossi consensi, ma lalbum nella sua interezza riesce a trasmettere un certo fascino. Il fascino che hanno le querce secolari, forse. Un fascino fatto di ovvietà: chitarre che suonano come nulla di nuovo, batterie che battono il tempo senza soprassalti. E di una voce che si è cristallizzata come un ghigno che ride in faccia al destino, quasi a dire: chi se ne frega, a me piace così.
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