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R Recensione

7/10

Bob Dylan

Together Through Life

Ogni album di Bob Dylan riserva un numero inevitabile di sorprese e delusioni: sono infatti pochi gli artisti con un carriera (così) lunga ad avere ancora tanta credibilità. Indubbiamente alcuni dei “reduci” degli anni ’60 sono ancora attivi, e non manca loro la voglia di tentare la zampata e talvolta magari addirittura riuscire nel tentativo di dare alle stampe un nuovo album più che dignitoso: Neil Young, Paul Simon, gli Stones, persino McCartney… ognuno di loro è riuscito, dopo aver oltrepassato la sessantina, a dare alle stampe lavori che non fossero di grande imbarazzo qualora confrontati con i loro capolavori del passato. Ma il vecchio Bob ha fatto qualcosa di più di ognuno di loro: per ogni decennio della propria carriera ha realizzato un album che i propri fan (e la critica) non hanno faticato a definire come un capolavoro: negli anni ’60 c’è l’imbarazzo della scelta naturalmente (ma diciamo perlomeno “Highway 61 Revisited” e “Blonde On Blonde”), nei ’70 c’è “Blood On The Tracks” (ed un “Desire” di non molto inferiore), negli ’80 c’è “Oh Mercy”, e nei ’90 “Time Out Of Mind”.

Capolavori perché ognuno di essi ha rappresentato un’espressione apparentemente genuina del proprio mestiere, vale a dire non macchiata da bisogni commerciali o discografici, ma piuttosto sgorgata da pulsioni che appartenevano al solo Dylan: nessuno come lui è riuscito ad essere così indifferente alle sirene delle mode (il solo episodio “Empire Burlesque” nella la sua produzione potrebbe macchiare questa teoria, d’accordo), e a mostrarsi così estraneo al mondo “esterno”: in ogni intervista rifiuta con sdegno la nomea di rockstar, preferendo di gran lunga termini come musicista o artigiano, andando identificandosi via via sempre più con le figure per cui nutriva il sacro fuoco della passione e della stima in gioventù: i bluesman della prima metà del ‘900, i folkster, e via dicendo. In un mondo morbosamente interessato alle disavventure legali e personali di persone come Britney Spears, sentire Dylan parlare – nelle interviste per promuovere “Together Through Life – dei blues della Chess Records fa un effetto strano.

Quando si parla quindi di “Together Through Life” è bene probabilmente tenere presente tutto questo, o perlomeno considerare che l’artista di Duluth rappresenta un unicum: è al momento forse l’unico uomo al mondo a voler fare musica che appaia sempre lontana nel tempo, sempre più distante da ciò che le sta attorno, e al contempo a ricevere un’attenzione mondiale nel farlo. Qui sta tutta la potenza ed il limite dell’ultimo Dylan: nell’aver smesso di guardare avanti, e nella ricerca costante invece di un blues che possa essere suonato ancora, o di una canzone country che stia ancora bene nella tradizione dei musicisti del Sud… In quest’ottica difficilmente sarà possibile vedere un nuovo capolavoro all’orizzonte per questo decennio che di capolavori dylaniani rimane ancora a secco: perché in questa ricerca dylaniana è sempre più difficile riuscire ad intravedere Dylan dietro alle canzoni.

Le canzoni sono cioè diventate un mezzo per riuscire finalmente ad eternare quel modello che con ogni probabilità Dylan aveva in mente da molto tempo: il musicista errante –ed in fondo anonimo – (il modello sempre Guthrie, ma come lui ce n’erano molti altri) che lascia le proprie canzoni in eredità alle città che visita sul suo cammino. Non è infatti un mistero che ormai l’attività a cui l’uomo di Duluth dedica la maggior parte del tempo non sia certo la composizione (né tantomeno la registrazione di nuovi album), ma piuttosto il viaggio con il Neverending tour, che ormai da più di 15 anni non si ferma mai, e che (anche qui: a differenza di tutti gli act “di successo” del pianeta, e piuttosto in comune con i bluesmen o gli artisti jazz) non è strutturato in funzione di nessun tabellone discografico o promozionale. Dylan è in tour perché è un musicista, non (ancora una volta) per ovviare a bisogni economico/promozionali.

In questo viaggio in cui Dylan si è lanciato, in questa sorta di semi-annullamento di sé sono, giocoforza, le canzoni a farne le spese. Non perché “Together Through Life” sia un brutto album (seppure si stia certo sotto la media qualitativa delle sue uscite da “Time Out Of Mind” in poi), ma perché, come si è già detto, dietro a tutte queste canzoni che sanno di Willie Dixon (la caustica “My Wife’s Home Town” ne porta un’impronta così riconoscibile da venir co-accreditata a Dixon), di blues/rock’n’roll anni ’50 (“Jolene”), persino di jazz anni ’20 (“Life Is Hard”), di Bob Dylan rimane non molto.

Qualcuno (malignamente) si è chiesto – di fonte all’affermazione spavalda di Dylan secondo cui nessuno ora fa quello che fa lui – se fosse possibile che al vecchio non sia mai riuscito di passare di recente a sentire qualche buona blues band da pub; ed in fondo l’intuizione è giusta: perché ognuno dei pezzi di “Together” sa di standard (intesi come pezzi di repertorio), ed in questo senso non c’è da meravigliarsi (o da indignarsi) del paragone con artisti completamente anonimi. Anzi, chissà che forse il vecchio Bob non ne sia persino un po’ contento. Chi però finisce per perderci è l’ascoltatore, che forse da un nuovo album di Bob Dylan si aspetta qualcosa di più.

Frugando tra questi brani (volutamente un po’) polverosi quello che si può trarre da “Together Through Life” – più che l’apprezzamento per una singola canzone –  è, qualora soprattutto l’ascolto sia insistito e reiterato, una sensazione di lenta assuefazione: nessun numero del lotto sembra fatto per strappare grossi consensi, ma l’album – nella sua interezza – riesce a trasmettere un certo fascino. Il fascino che hanno le querce secolari, forse. Un fascino fatto di ovvietà: chitarre che suonano come nulla di nuovo, batterie che battono il tempo senza soprassalti. E di una voce che si è cristallizzata come un ghigno che ride in faccia al destino, quasi a dire: chi se ne frega, a me piace così.

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Voto degli utenti: 6,7/10 in media su 9 voti.
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rupy61 8/10
REBBY 6/10

C Commenti

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DonJunio (ha votato 6 questo disco) alle 0:34 del 20 maggio 2009 ha scritto:

Colpo di coda tutto sommato interessante di Bob: niente di straordinario, ma decisamente più pimpante e variegato del precedente "Modern times". Comunque, Dylan non è certo l'unico ad aver distribuito capolavori su 4 decadi. Quantomeno anche Young: dei 60-70 si sa, e almeno con "Freedom" e "Sleeps with angels" se la gioca....

thin man (ha votato 7 questo disco) alle 11:32 del 20 maggio 2009 ha scritto:

Bello, il suo migliore del decennio indubbiamente. 7,5

Lobo alle 17:42 del 20 maggio 2009 ha scritto:

Hmmm ... nuove leve....

fabfabfab (ha votato 6 questo disco) alle 18:38 del 21 maggio 2009 ha scritto:

Disco decisamente piacevole. Un po' troppo uniforme, ma il ragazzo è giovane e si farà.

Mr. Wave (ha votato 7 questo disco) alle 19:59 del 25 maggio 2009 ha scritto:

Il più valido album del decennio corrente, di Sir Robert Allen Zimmerman. Certo non c'è l'imbarazzo della scelta, (scartando i concerti e le varie antologie pubblicate tra il 2001 e il 200 ma tra ''Love And Theft'' e ''Modern Times'', ritengo che ''Together Through Life'', sia leggermente più ispirato, rispetto ai precedenti