R Recensione

6/10

Conor Oberst and The Mystic Valley Band

Outer South

Lo dico subito. A me Conor Oberst piaceva sbruffone, spocchioso, arrogante. Quando riempiva i dischi di interviste a se stesso, di parti strumentali strascicate per dieci minuti, di cose dette a chissachì nella propria cameretta tra una sbronza e l’altra e poi infilate come incipit dei dischi, di urlacci adolescenziali e ambizioni spropositate, bassa fedeltà e graffiature. Quando si nascondeva dietro il nome Bright Eyes. Quando non metteva i titoli delle canzoni dietro ai dischi. Quando esibiva la propria fluvialità come se fosse l’unico ragazzetto a suonare la chitarra e comporre canzoni; o quantomeno il più bravo. Mi piaceva da matti.

Adesso che unisce il proprio nome (vero) a quello di una band, lo dico sinceramente, mi piace meno. Adesso che cede quasi metà disco ai propri compagni di cricca, lasciandoli cantare pezzi da loro composti. Adesso che lui scrive soltanto canzoni di piacevole country-folk attorno ai quattro minuti. Adesso che è maturato, e la sua voce non è più tremula e deforme. Mi piace molto meno. E penso che qualcuno dovrebbe tirarlo fuori dal tunnel della solidarietà e del perfezionismo, sennò il ragazzo lo perdiamo, per ritrovarci tutt’al più un adulto rocker amante del Messico e dell’esoterismo. Un incubo. Uno yankee appesantito col cappello da cowboy. Dio ce ne scampi.

Ad appena un anno dall’omonimo debutto come Conor Oberst, questo “Outer South” non cambia di una virgola la ricetta lì proposta. Semplicemente, come detto, Conor accosta alla propria manciata di canzoni nuove (9) ben 7 pezzi affidati ai ragazzi della Mystic Valley Band. I quali suonano, più o meno, come pezzi suoi, sicché non ne nasce un dislivello troppo fastidioso, per la preoccupazione di chi pensava che Conor fosse su un altro piano. Sì, vabbeh: “Air Mattress”, che è indie pop da radiolina, Oberst non l’avrebbe mai scritta, e per fortuna la sua voce non è stridula come quella esibita in “Snake Hill”. Ma d’altronde bisogna riconoscere che “Big Black Nothing”, cavalcata country in minore, e “Difference Is Time”, piana ma incisiva semi-ballad classicheggiante, sono sopra la media del disco. Talché questi contributi non stonano; non sono loro il problema.

Il problema è che Conor non fa più la differenza. Si arrabatta tra un folk rock mediano (“Slowly, Oh So Slowly”, “Nikorette”, “Spoiled”) e rallentamenti che riprendono le strade ripulite e limpide aperte in “Cassadaga” (“Ten Women”, “White Shoes”, “To All The Lights In The Windows”), ma senza la profondità emotiva che tutto sommato rendeva quello e “Conor Oberst” due buoni dischi. Sfoggia un’arte del mestiere che soverchia la passione. Canta senza picchi. Solo “Roosevelt Room”, fin dal primo ascolto, colpisce per le sonorità sporche, anni Settanta, allucinate da un organo trascinante, suggerendo che un Oberst maturo non significa per forza un Oberst ordinario.

Avete presente quando i cronisti, per giustificare un gol mancato, dicono: l’attaccante ha colpito troppo bene la palla? Ecco, io non ho mai capito perché se colpisci ‘troppo bene’ la palla non fai gol. Dopo aver ascoltato “Outer South”, però, l’ho intuito.

V Voti

Voto degli utenti: 6/10 in media su 2 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
rael 7/10

C Commenti

Ci sono 3 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

ozzy(d) alle 11:35 del 2 maggio 2009 ha scritto:

cantautore mediocre e terribilmente limitato. questo non lo ascolto manco morto.

fabfabfab alle 12:32 del 4 maggio 2009 ha scritto:

Maronna se questo è "limitato" tutti gli altri sono dementi. A me piaceva proprio quando era "illimitato", mi piace meno da quando ha deciso di imporsi i limiti del "bravo cantautore".

Roberto Maniglio (ha votato 5 questo disco) alle 21:18 del 30 agosto 2009 ha scritto:

Condivido il pensiero dello "specialista" in oberstologia (francesco, che caparbia che hai, considerato il Conor degli ultimi anni!)