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R Recensione

7,5/10

Joan & The Sailors

Mermaid

Introspettivi, cosmici, elettrici, così sono Joan & The Sailors al loro debutto. La band nasce in Svizzera e coniuga al meglio le caratteristiche dei Paesi di confine: la musica cosmica tedesca, lo spleen francese, il lo-fi austriaco e l’intimismo cantautorale italiano. A capo del progetto c’è la talentuosa Joan Seiler (voce, chitarra e pianoforte), seguita a ruota da Belia Winnewisser (voce e percussioni), Magdalena Bucher (violoncello), Mario Dotta (chitarra e percussioni), Sergio Cruz Crespo (chitarra e mandolino), Danijel Todic (basso) e Marc Rambold (batteria). L’intero “Mermaid” è un tunnel mentale arredato di basse frequenze e al fondo del quale troviamo un ottimo compromesso tra folk, post-rock e trip hop. Saturazione dei suoni e mixaggio sono superbi per un disco di debutto: non c’è incertezza alcuna né da parte di chi suona, né di chi arrangia, né tantomento di chi registra: “Mermaid” è un coagulo di talenti artistici, e ricorda in diversi passaggi i migliori Portishead o la più moderna Björk, per giungere al pop dei primi Cranberries e dei Jets Overhead.

Tutto è apparentemente placido in “Mermaid”, sotto un cielo plumbeo di nuvole pronte a spargere pioggia a catinelle, e il mood insistentemente melanconico guida Joan & The Sailors nelle stive del suono acustico, assemblando un sound ordinato ed elegante. A sentire “Silly loving lovesong for humble gentleman”, infatti, ci viene in mente una scalcinata quanto dolcissima romanza per un povero disgraziato; mentre il malinconico funky di “Jailheart” riporta alla mente la rara ma inestimabile drammaturgia mitteleuropea; d’altronde, in “Time of no time”, Joan Seiler ci fa apprezzare il suo fraseggio tipicamente blues. “Bound to” parte anonima in un crogiolo di strumenti trascinati per evadere dalla sua ossessione maniaco-depressiva in un climax di schitarrate distorte; “Rain my chest”, invece, presenta subito i suoi attributi percussivi per confondersi poi in un vocalismo esasperato che si impasta al post-rock di matrice tedesca. E qui, come su un veliero dalla rotta sicura, la Seiler guida i suoi mozzi verso un lido psichedelico quanto inesistente. In “Où es-tu?” possiamo difatti ascoltare la profonda voce di Etienne Hilfiker, marinaio mercenario, corsaro, pirata, che rende ancor più epica questa bellissima operetta progressive. “Break of dawn”, chiaramente pop, mischia tutti gli elementi fin qui raccolti per frullarli nella forma-canzone standard di “Mermaid”, simile a quella dei dEUS; eppure, già in “Better off dead” il suono torna lento ed esasperante, ampio e dilatato, per trovare la sua comodità in un rock tristissimo ed intenso, europeo nella sua accezione migliore. “Again”, pezzo forte dell’intero album, si avvale della collaborazione di Elias Frei alla slide guitar e Dorian Bellwald ai tamburi, e la sua forza sta nell’espressività canora e nella dilagante carica seducente, conseguenza della miracolosa padronanza chitarristica. “Out the door” e “Close to the nightsky” ripercorrono il tema della ballata triste e solitaria, col solito incedere di pianoforte e violoncello frammischiati al post-rock più torbido. A fine disco la lunga title-track (seguita da una breve ghost-track), sorta di “sturm und drang” marinaro che svela l’esistenza della mitologica sirena, (in)cantatrice per definizione come la nostra folk singer, che fa morire gli incauti marinai che la vogliono avvicinare.

La verità ultima è che Joan Seiler ha un talento straordinario e la sua band di lupi di mare, proveniente da una terra senza mare, la segue ovunque per poter dire di aver esplorato terre nuove per mari nuovi, salvo poi ricredersi una volta constatato che la Terra non è tonda e che anche le mappe nautiche hanno dei confini ben definiti.

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