V Video

R Recensione

7/10

Kurt Vile

Smoke Ring For My Halo

La notizia, qui, è che siamo di fronte ad un artista che al quarto album è ancora in piena parabola ascendente: aumenta la sua visibilità, aumentano i consensi, aumenta – cosa che più conta – la qualità dei suoi lavori. Se Childish Prodigy, esordio su Matador del 2009, aveva sancito l’emersione da sonorità strettamente lo-fi e l’abbraccio di una musicalità dallo spettro più classicamente ampio, questo Smoke Ring For My Halo porta ancora oltre quelle impressioni, presentandoci finalmente un Kurt Vile limpidamente intelligibile in ogni sua sfumatura. Se la cosa giova, ché magari non tutti gradiscono simili “ripulite”, è perché il buono che già c’era agli inizi (alone - o aureola - di fumo compreso), qui rimane e si consolida: la matrice tradizionale, ereditata da un padre appassionato di bluegrass, si sposa con l’esperienza di Kurt, da lui stesso sintetizzata come l’“assorbimento di una vita di FM rock”, e con la sua indole musicale, fumosa e psichica, certo, ma non per questo depressa o dolorosa, astratta o visionaria in termini assoluti. Anzi, il solare spirito wilsoniano che spesso permea le sue melodie avvicina il suo psych-folk forse più a certi Animal Collective dei dischi acustici  che non a tutta la pletora dei folkers tradizionalisti generalmente intesi (e infatti la barba stavolta non c’è!). Semmai, nella recente America folk, la parentela più prossima è - musicalmente parlando - con la frangia più rurale sviluppatasi in seno alla Young God Records di Gira, o al movimento Elephant 6: prendete In My Time e, voce a parte, dite se non sembra di ascoltare gli Elf Power arrangiare Bilocating Dog per Vic Chesnutt.

Il risultato è una musica che molto deve a molti, non solo in patria, ma che in buona sostanza si emancipa nella sua totalità da quasi tutto. E si garantisce una fruibilità che esula dai limiti dell’appassionato - di folk-rock o quant’altro - per abbracciare, invece, le esigenze di un qualsiasi ben disposto ascoltatore. Così, se gli arpeggi tranquillizzanti di Baby’s Arms, Runner Ups e Peeping Tomboy guardano al patrio passato (e vocalmente rievocano - le ultime due - la confidenzialità di Townes Van Zandt), Jesus Fever si sposta tanto in là da sembrare un estratto di The Strange Idols Pattern And Other Short Stories (bibbia “imperfetta”del chitarrismo inglese, dei mai troppo celebrati Felt);  se Puppet To The Man e Ghost Town sono figlie di Lou Reed e la ghost track finale omaggia Calexico e Black Heart Procession, Society Is My Friend - tra i migliori brani del lotto - mostra più di un legame con la spazialità di How Soon Is Now? degli inglesissimi The Smiths. È un gioco di citazioni diretto con maestria e cristallino talento. In Smoke Ring For My Halo non c’è un pezzo che non sia all’altezza: Kurt azzecca, semplicemente, una melodia dopo l’altra. Il che vuole dire, in due parole, gran disco. E se, personalmente, non mi appaga completamente una vocalità non esattamente emozionante (sembra essere “in ordine” persino quando stona) e un poco ripetitiva (le strutture sono spesso determinate da sequenze di strofe, i pochi cambi rimangono circoscritti a misurati assolo, a incursioni elettriche, oppure all’estemporaneità di brevi cambi tonali) e se pure certe progressioni armoniche e riff mi puzzano un po’ di stantio, posso probabilmente solo incolpare me stesso. E il tutto non basta, in ogni caso, ad impedirmi di riconoscere che qui, oltre al fumo, c’è anche tanto arrosto.

V Voti

Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 8 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
keolce 7/10
ciccio 10/10

C Commenti

Ci sono 5 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

fabfabfab alle 10:57 del 6 giugno 2011 ha scritto:

Per ora me lo sto ascoltando con piacere, e mi ritrovo alla perfezione nele ultime 10 righe di Paolo. Recensione perfetta: diretta, leggibile, descrittiva. Una delle migliori lette quest'anno, secondo me.

paolo gazzola, autore, alle 12:52 del 6 giugno 2011 ha scritto:

Elamadonna Fab! Dillo, dai, che vuoi solo convincermi ad essere "breve"...

No, davvero, lusingato!

keolce (ha votato 7 questo disco) alle 13:09 del 7 giugno 2011 ha scritto:

Bel dischetto,io ci sento molto anche i Blonde Redhead più pacati e qualcosa di Thurston Moore solista,per non parlare poi di Syd Barret nell'ultimo pezzo. Ascoltai solo il suo ep l'anno scorso, ha fatto altra bella robina?

paolo gazzola, autore, alle 14:54 del 7 giugno 2011 ha scritto:

RE:

Io andrei all'indietro: Childish Prodigy era un gran bel disco, non così lontano da quest'ultimo. Gli valse, per dire, l'amore dei Sonic Youth (parlavi di Thurston Moore...). Se poi dovessi appassionarti puoi recuperare anche i primi due (e l'altro EP, mi pare del 2009), molto più acerbi ma sempre interessanti.

bill_carson (ha votato 5 questo disco) alle 2:16 del 25 ottobre 2011 ha scritto:

noioso