Okkervil River
The Silver Gymnasium
Levidenza che sei diventato un gruppo di adult folk rock ce lhai quando pubblichi un disco sui luoghi della tua infanzia. Al settimo album, gli Okkervil River sono a questo punto, e non cè nulla di male. Era naturale che la sgangherata band degli esordi maturasse, e così è avvenuto, con il merito che la crescita si è sviluppata in modo progressivo e attraverso tappe più che dignitose (con il nadir tra "The Stand Ins" e I Am Very Far, pur onesti). Il che non toglie lamara impressione che la band di Will Sheff fosse meglio prima.
The Silver Gymnasium, in modi che in parte ricordano loperazione proposta dagli Arcade Fire con The Suburbs, cerca di ricostruire e recuperare il tempo perduto attraverso la geografia, e così include una mappa della cittadina di Meriden, nel New Hampshire, dove è cresciuto Sheff, specificando a quale luogo ogni pezzo è collegato. Si tratta, dunque, del disco più personale degli Okkervil River, anche se il meccanismo della madeleine, per quanto soggettivo, tocca corde, a ben vedere, universali, e Sheff è una penna troppo intelligente per scadere nellermetismo privato. Anzi. Partendo da premesse molto intime, ne esce (anche) il lavoro più generalista degli Okkervil River.
Contribuisce a questa impressione la produzione, affidata a John Agnello (che negli anni 80 produsse cose come John Mellencamp) e improntata a un tentativo di ricreare una patina 80, per un effetto di amarcord completo. Rispetto al sound degli Okkervil precedenti, dunque, è molto più incisivo il peso delle tastiere, in direzione power pop (Stay Young, Where the Spirit Left Us), e gli stessi riff di elettrica finiscono spesso per ricalcare, quasi per un tic, le forme dei pezzi rock da radio eighties (On a Balcony, Walking Without Frankie). Non cè più ebbrezza, non ci sono più strutture storte, stonature, né down di malinconia né furie gloriose: il paradosso di The Silver Gymnasium è che scava nellinfanzia e sembra però stare in superficie. Tutto sommato, in un trionfo di begli arrangiamenti, è (anche) lalbum meno appassionato degli Okkervil River.
Che non manchino pezzi buoni (Pink-Slips, It Was My Season, White, All the Time Every Day ma ognuno avrà i suoi: la scelta mi sembra più del solito accidentale nulla spicca davvero) e che lascolto non sia malaccio, sulla scia di un Bruce Springsteen della maturità, non tolgono la sensazione che il meglio Sheff labbia ormai già dato. E che ora, in grande onestà, si sia messo a pubblicare dischi divulgativi senza aver smesso di essere colto. Bellissima missione. Non quella per cui ci eravamo innamorati della sua band.
Tweet