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R Recensione

6,5/10

Okkervil River

The Silver Gymnasium

L’evidenza che sei diventato un gruppo di adult folk rock ce l’hai quando pubblichi un disco sui luoghi della tua infanzia. Al settimo album, gli Okkervil River sono a questo punto, e non c’è nulla di male. Era naturale che la sgangherata band degli esordi maturasse, e così è avvenuto, con il merito che la crescita si è sviluppata in modo progressivo e attraverso tappe più che dignitose (con il nadir tra "The Stand Ins" e “I Am Very Far”, pur onesti). Il che non toglie l’amara impressione che la band di Will Sheff fosse meglio prima.

The Silver Gymnasium”, in modi che in parte ricordano l’operazione proposta dagli Arcade Fire con “The Suburbs”, cerca di ricostruire e recuperare il tempo perduto attraverso la geografia, e così include una mappa della cittadina di Meriden, nel New Hampshire, dove è cresciuto Sheff, specificando a quale luogo ogni pezzo è collegato. Si tratta, dunque, del disco più personale degli Okkervil River, anche se il meccanismo della madeleine, per quanto soggettivo, tocca corde, a ben vedere, universali, e Sheff è una penna troppo intelligente per scadere nell’ermetismo privato. Anzi. Partendo da premesse molto intime, ne esce (anche) il lavoro più generalista degli Okkervil River.

Contribuisce a questa impressione la produzione, affidata a John Agnello (che negli anni ’80 produsse cose come John Mellencamp) e improntata a un tentativo di ricreare una patina ’80, per un effetto di amarcord completo. Rispetto al sound degli Okkervil precedenti, dunque, è molto più incisivo il peso delle tastiere, in direzione power pop (“Stay Young”, “Where the Spirit Left Us”), e gli stessi riff di elettrica finiscono spesso per ricalcare, quasi per un tic, le forme dei pezzi rock da radio eighties (“On a Balcony”, “Walking Without Frankie”). Non c’è più ebbrezza, non ci sono più strutture storte, stonature, né down di malinconia né furie gloriose: il paradosso di “The Silver Gymnasium” è che scava nell’infanzia e sembra però stare in superficie. Tutto sommato, in un trionfo di begli arrangiamenti, è (anche) l’album meno appassionato degli Okkervil River.

Che non manchino pezzi buoni (“Pink-Slips”, “It Was My Season”, “White”, “All the Time Every Day” ma ognuno avrà i suoi: la scelta mi sembra più del solito accidentale – nulla spicca davvero) e che l’ascolto non sia malaccio, sulla scia di un Bruce Springsteen della maturità, non tolgono la sensazione che il meglio Sheff l’abbia ormai già dato. E che ora, in grande onestà, si sia messo a pubblicare dischi divulgativi senza aver smesso di essere colto. Bellissima missione. Non quella per cui ci eravamo innamorati della sua band.

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Voto degli utenti: 5,8/10 in media su 2 voti.
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C Commenti

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motorcity5 (ha votato 5 questo disco) alle 13:44 del 14 settembre 2013 ha scritto:

una band che da troppo tempo si è adagiata sugli allori.

Fertuffo alle 11:13 del 18 settembre 2013 ha scritto:

Mi sembra che Sheff abbia voluto dare un po' di espansività rispetto ai dischi precedenti. Lo dimostra l'assenza degli episodi "extra down-tempo", mai assenti nei lavori passati. Disco notevole comunque, anche se ben lontano dall'impareggiabile Down the River of Golden Dreams

REBBY alle 10:54 del 4 aprile 2014 ha scritto:

Certo che in questo periodo Springsteen è molto in auge, pure troppo eh!

Si, condivido, il meglio Okkervil river l'hanno già dato. Di pezzi buoni io qui ne sento solo 2: White e Walking without Frankie (ma con i cowboys eheh Alan e Martin).