Okkervil River
The Stage Names
Quando meno te lo aspetti, ecco gli Okkervil River in versione estiva. Ti aspettavi un altro disco di folk rock malinconico ed evocativo o un proseguimento della linea scura inaugurata con "Black Sheep Boy", ti aspettavi qualcosa che sapesse già d’autunno. Invece Will Sheff e compagni estraggono dal cappello un album vivace, mosso, scanzonato e festoso. La copertina scoppia di colori, i testi di ironia, Sheff di gioia: una carnevalesca estate americana si apre davanti ai vostri occhi.
Come mettere all’angolo la nostalgia? Allora, per cominciare: via le fisarmoniche, sistematicamente sostituite dai fiati, il che, assieme a un tocco più ruvido nella produzione, rende il sound dei texani più scombussolato, più estroso, più Neutral Milk Hotel. Molto meno decisivi, in più, tastiere e wurlitzer, che arretrano in secondo piano. E ancora: la voce deboluccia di Sheff si striminzisce, si imbizzarrisce, si assottiglia, si estende in alto ai limiti della propria non eccelsa gamma. E infine: il ritmo si velocizza. Subito in "Our Life Is Not A Movie Or Maybe", con il piano a scandire le note del ritornello e un interludio sconnesso che dà un ulteriore tocco di eccentricità.
Sheff saltimbanco, insomma, un po’ alla Colin Meloy, come nel finale festante di "Unless It’s Kicks" o in "A Hand To Take Hold Of The Scene", dove ci sono pure un piano cabarettistico e tanti claps allegri e beati. I claps tornano in "You Can’t Hold The Hand Of A Rock’n’Roll Man", ai 2:05 della quale Sheff stecca palesemente. Ma non importa a nessuno, anche perché il ritmo very rock e lo sfondo quasi beachboysiano spazzano via tutto.
Poi, inevitabilmente, c’è anche qualche parentesi più intimistica, che è dove per tradizione i texani riescono meglio: bellissima "Savannah Smiles", con la batteria sostituita da un metronomo, e xilofono ed archi a librare la melodia. Piacevoli anche "Plus Ones", più tipicamente okkervilliana e retrò, e lo stupendo finale folk di "John Allys Smith Sails", sospeso in un’amara malinconia che si scatena nella coda più cantabile, con la voce di Sheff che si confonde con la tromba.
Di band assieme colte e melodiche come gli Okkervil River non ce ne sono molte in giro. Sono gli zii divertenti, i padri di famiglia che se la spassano tra un libro di poesie e un whiskey, sono la faccia più domestica del folk rock, sono una pacca sulla spalla. Questo disco non sarà la svolta della loro carriera (ci voleva qualcosa di più, anche in quantità: nove pezzi sono pochini), ma l’ascolto è sempre una bella avventura. Nel fiume Okkervil quest’estate ci si può fare persino il bagno.
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