The Decemberists
Florasongs [EP]
Pochissimi dischi al mondo, a sentire Colin Meloy, possono reggere con onore una tracklist di diciannove e più tracce: Tusk dei Fleetwood Mac, ad esempio, o Zen Arcade degli Hüsker Dü (nel nostro piccolo ne aggiungiamo due: Double Nickels On The Dime dei Minutemen e lesordio omonimo dei Naked City). Pesi massimi, in ogni caso, al cui confronto lultimo parto della band madre il buono What A Terrible World, What A Beautiful World non può non sfigurare. Fatto sta che le lunghe recording sessions dellLP, di brani, ne hanno fruttati esattamente diciannove. Quattordici (i migliori?) sono finiti in scaletta: e i rimanenti cinque? Vivessimo tempi di vacche grasse ci potremmo permettere il lusso di gettarli via: oggi, invece, ogni occasione è buona per essere sfruttata.
La palla al balzo dei Decemberists si intitola Florasongs, unappendice che sta al disco principale come Long Live The King stava a The King Is Dead. Lontani sono i tempi in cui un EP nominalmente, The Tain annunciava in pompa magna avventurose svolte stilistiche: i nostri decabristi, dopo quindici anni di carriera, non hanno più nulla da dimostrare a nessuno, motivo per cui si è più liberi di concentrarsi sulle canzoni, anziché sul loro contorno. Odore di superfluità? Piuttosto il contrario. Non si ha motivo di credere che questi brani non siano stati inclusi in precedenza per la loro minore caratura stilistica: anzi, a Meloy e compagni si può rimproverare di aver preferito, sulla lunga distanza, qualche passaggio a vuoto (Anti-Summersong, The Singer Addresses His Audience) che si sarebbe potuto evitare anteponendo, nella gerarchia delle scelte, brani come la splendida Riverswim (una semplice, ma elegante e toccante ballata di american folk marinaresco per chitarre e fisarmonica) e la genuina, inattesa scarica di energia rnr che è Fits & Starts. A piacere, e molto, sono anche altri due pezzi, una Why Would I Know? che sembra riprendere il discorso lasciato in sospeso da A Beginning Song (la veste più orchestrale e la ritmica irregolare segnano altrettanti punti a favore) e The Harrowed And The Haunted, romantico recital memore di certe, adolescenziali infatuazioni college. Stateside, sentita ecloga del solo Meloy per delicati accordi di chitarra elettrica, rimane sostanzialmente sullo sfondo.
Da far imparare a memoria alle nuove leve che, al secondo disco, sembravano aver già smarrito tutta lispirazione per strada
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