The Bad Mexican
Due
V Moskvu, v Moskvu!, sospiravano le tre sorelle Olga, Maa e Irina Prozorova nella pièce di Anton Pavlovič Čechov. V Meksiku, v Meksiku!, lanelito congiunto di quattro sciagurati da Montepulciano, la Ciudad nel cuore e in tasca il vin santo (i colori delle bandiere sono daltronde intercambiabili), pittori mai così poco tetracromatici, funamboli dello spaghetti prog. Gente con le idee chiare, che esordisce nel 2010 con un disco chiamato This Is The First Attempt Of A Band Called The Bad Mexican ( Adebisi Shank?) e firma il ribollente sophomore chiamandolo Due. Gente che non si prende sul serio (ipsi dicunt) ma che porta a termine le cose con una serietà finanche sbalorditiva. Gente che del death metal, genere dadozione e non-luogo dincontro, conserva solidità ed integrità, riservandosi poi di disgregare leterodossia in raffiche di frammenti impazziti ed autosufficienti (le granate, si sa, uccidono quando vanno in pezzi, non quando rimangono intere).
Due potrebbe passare come opus crossover, contenitore di-tutto-un-po di quelli che spopolavano negli anni 90 (facciamo finta che i Mr. Bungle non siano mai esistiti): ma allora dovremo postulare tutta una trafila deccezioni, tale per cui la validità ontica dellasserzione iniziale verrebbe meno. Sulla scorta di quale logica Quattro dovrebbe trasformarsi da catatonico valzer britedelico in poltiglia impro-jazz e sfociare, infine, in una coda assimilabile ai segmenti più controllati dei Three In One Gentleman Suit? Se la logica dellalternanza ha dei limiti autoimposti, perché inserire Cinque, contagiosa melodia alt pop su handclappin vicina agli Young The Giant, nella stessa scaletta che comprende gli steroidi jazz-blues di Sette (con attacco schizofrenico e bruciante che quasi emula Refused e At The Drive-In) e il mosaico ambientale di Nove (il cui andamento ritmico, a singhiozzi e singulti sempre più pronunciati, sembra omaggiare e parodiare ad un tempo Ænema dei Tool e Alifib di Robert Wyatt)?
La verità è che Due è il più classico dei dischi post-moderni, in cui la forma si dissocia continuamente dal contenuto, e viceversa. Spirito punk e paradigma zappiano (i conterranei Dilatazione forniscono un altro, illustre esempio di simile aderenza al modello), uniti ad una superba preparazione strumentale (quando nel pastiche electro-funk-rock di Uno, tutto contratture e incastri da Tetris, entra a sorpresa una chitarra flamenco, leffetto è superlativo: come a dire che anche i Mars Volta potevano suonare con del contenuto), forgiano brani che divertono, intrattengono e stupiscono attimo dopo attimo. Le preferenze personali vanno, oltre alla già citata Uno, al sassofono squisitamente James Chance di Davide Vannuccini, che colora di no wave gli spasmi jazz rock della title track, e ai potabili spagnolismi di Otto, che riequilibra vulgata e sperimentazione. Quando lasse scivola pericolosamente verso il primo membro, non a caso, maturano frutti decisamente meno interessanti (è il caso del singolo, Sei, arrangiata con uno strascico slowcore poco incisivo).
Questione di gusti. Che The Bad Mexican sia un gran gruppo e Due un gran disco, invece, è dato statistico, oggettivo.
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