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R Recensione

6,5/10

Mikal Cronin

MCII

Più noto forse come bassista e scudiero di Ty Segall nella sua esplosiva live band (autori, l’anno scorso, dell’ottimo “Slaughterhouse”), Mikal Cronin è in realtà un musicista poliedrico – suona anche chitarra, piano e sax –  e un songwriter di belle speranze con all’attivo un album omonimo pubblicato nel 2011 e un altro, in precedenza, sempre in coppia con Segall. Pur muovendosi su territori affini a quelli dell’amico e band leader, ovvero un garage-punk dai forti accenti psichedelici nella gloriosa tradizione della Baia e della Bomp! Records, l’approccio di Cronin sembra a tratti più sfumato e cantautorale, permeato di sonorità obliquamente pop e acustiche. Anche il nuovo “MCII” risente in parte dell’influenza di questi suoi trascorsi e della contemporanea presenza, nel cast dei musicisti coinvolti, dell’onnipresente Segall alla chitarra e di Charles Moothart (egli pure membro della Ty Segall Band) dietro le pelli, ma Cronin, pur con qualche incertezza, dà l’impressione di voler intraprendere un percorso personale e nel complesso abbastanza interessante.

Certo, se l’intero disco fosse all’altezza del brano d’apertura, “Weight”, a quest’ora staremmo a parlare di un mezzo capolavoro. Qui Cronin, giocando sull’interplay fra chitarre elettro-acustiche e leggeri accenti d’organo, inanella un riff e un ritornello spettacolari e contagiosi, una melodia insieme ruvida e ariosa, in una cornice di garage-beat e psichedelia zuccherina un po’ à la Paisley Underground. Sfortunatamente nel proseguo la scrittura si rivelerà più discontinua e i brani più prevedibili e derivativi, è il caso ad esempio dell’hardcore melodico di “Shout It Out” e “I’m Done Running From You” o della sixties e acidula “Am I Wrong”.

C’è, in ogni caso, sufficiente qualità e varietà di spunti da gettare buona luce sul talento e sulla personalità di Cronin, fra pre-grunge pavementiano (“Set It My Way”), post-core memore della lezione degli Husker Du (“Change”), country byrdsiano (l’acustica “Piece Of Mind” impreziosita dal violino). Sebbene le cose migliori, dopo l’inizio folgorante, si sentano verso la fine, praticamente in sequenza: il cantautorato punk di “Don’t Let Me Go”, acustica e sferzante con lontani, singhiozzanti echi di Johnny Thunders nel cantato della strofa, i saliscendi e i cambi della lunga e ritmata “Turn Away”, che non dispiacerebbe a J Mascis, con un grande lavoro di batteria nella seconda parte, ma soprattutto “Piano Mantra”, la chiusura che non ti aspetti, piano (appunto) e viola per uno slocore, quasi alla Will Oldham vecchia maniera, che s’infervora rabbioso, a poco a poco e culmina in una catarsi distorsiva. 

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Voto degli utenti: 7,2/10 in media su 5 voti.
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mavri 7,5/10
gramsci 6,5/10
facco 10/10
ThirdEye 5,5/10

C Commenti

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Ivor the engine driver (ha votato 6,5 questo disco) alle 16:52 del 15 maggio 2013 ha scritto:

Beh Simone, concordo, però anni luce meglio il bellissimo disco precedente, in equilibrio perfetto fra fuzz e melodia, con sax e altri strumenti spesso avulsi all'alveo garage tout court di Cronin, Segall & Co. Troppo pulitino il disco, e il violino di Piece of Mind non se po' proprio sentì!

simone coacci, autore, alle 17:38 del 15 maggio 2013 ha scritto:

In effetti...è un disco abbastanza prodotto e ripulito per gli standard della banda Segall.

ThirdEye (ha votato 5,5 questo disco) alle 23:58 del 2 maggio 2014 ha scritto:

Il primo era un po meglio. Ma niente di che. Questo davvero troppo zuccheroso per i miei gusti. Meglio che se ne sta a suonare con Ty Segall. Che di dischi fighi, per quanto vintage, ne ha tirati fuori, penso a "Melted" e "Slaughterhouse" su tutti.