Vivian Girls
Everything Goes Wrong
Battono il ferro finché è caldo le brooklyniane Vivian Girls, che nel giro di un anno sfornano, sempre per la In The Red, il seguito al loro omonimo debutto, tra garage rock, punk e orecchiabilità twee pop. Rispetto al rasoiante esordio, che il minutaggio esiguo (22 minuti) rendeva più simile a un Ep, le ragazze aumentano il materiale, confezionando 13 pezzi che continuano a citare gli stessi modelli con spigliata nonchalance.
Perché, dunque, in una marea di rimostranze antiderivative, le Vivian Girls (neppure, va detto, musiciste tecnicamente sopraffine) continuano a piacere? Per due motivi, almeno. Innanzitutto perché sanno scrivere pezzi taglienti e melodicamente efficaci con una scioltezza piuttosto lampante, e la cosa non è quel che si dice un dettaglio. E poi perché quei modelli che riprendono alla lettera sono, oltreché attualmente à la page causa ciclo revivalistico a loro favore, artisti di culto nei sottoboschi indie, e perciò amati anche nelle loro copie carbone e nei loro riflessi postumi.
Più che le riot grrrls, direi, bisognerà tirare in ballo la scena indie pop anglo-americana al femminile tra ’80 e ’90, soprattutto nelle sue tangenze maggiori con la direttrice punk: vorrà dire Shop Assistants, Talulah Gosh, Tiger Trap, Black Tambourine, i primi Lush (ché c’è anche dello shoegaze, soprattutto in questo disco numero due). La naïveté più vivace del C86 viene poi amalgamata dalle Vivian Girls con la poetica post-nothing della cultura lo-fi made in USA più recente (Titus Andronicus, Wavves, No Age, Japandroids), sicché i riff jingle jangle e le melodie zuccherose vengono declinate in un inamovibile scazzo nichilista. Ne erano emblemi, nell’esordio, il tono deadpan e sfibrato di Cassie Ramone e i testi distruttivi (“No”, “I Believe In Nothing”); ne è emblema, qui, tanto per cominciare, il titolo del disco.
Infantilismo e desolazione assieme, dunque: d’altronde Kurt Cobain non amava i Vaselines? E allora le Vivian Girls si sfogano nella furia tagliente di schegge punk sotto i due minuti (“Walking Alone At Night”, “You’re My Guy”, “I Have No Fun” - a proposito di post-nothing: il divertimento non esiste) e poi si dondolano nell’anorak pop avvolto nel riverbero di “Can’t Get Over You” e “The End”. Gli strumenti sono suonati in modo elementare, anche dove sfumature psichedeliche (“Tension”) e traccheggi shoegaze (“Out For The Sun”) variano il canovaccio. Nostalgico-anthemica “When I’m Gone” (bella!), nostalgico-comatosa “Before I Start To Cry”, unico pezzo sottoritmo, sempre immerso nel fuzz. Il disco, alla fine, scivola gradevole, pur tra qualche episodio di troppo, forse lasciato per compensazione rispetto al debutto sparagnino.
Andrà anche tutto male, come dicono loro, ma l’impressione è che vada benissimo.
Myspace: www.myspace.com/viviangirlsnyc
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