R Recensione

4/10

Pop Levi

Never Never Love

Qualcuno gli avrà messo la pulce nell'orecchio e gli avrà spiegato che quest'anno qualcuno l'ha battuto sul suo stesso terreno mischiando glam, pop rock, musica anni '60 e, fondamentalmente, tutto ciò che può capitare sotto mano nella musica degli ultimi 40 e passa anni. Gli avrà detto, cosa ne pensi, “Pop”, di Oracular Spectacular degli MGMT ?

Improbabile, se consideriamo i tempi biblici medi di produzione di un disco: eppure la prima impressione che accompagna l'ascolto di Never Never Love, secondo disco del poliedrico Pop Levi, è proprio quello di una risposta, a breve distanza, al tritatutto indie pop rilasciato dal duo di Brooklyn.

Se si esclude la prima traccia, una Wannamama che pare un sequel di Sugar Assault Me, con il timone un po' più spostato verso l'hard rock degli Zeppelin e i gridolini Bolaniani sempre in bella vista, il resto è un'instancabile e spesso indigesto frullato di stili ed influenze.

In fondo uno dei tratti distintivi dell'esordio The Return To Form Black Magic Party era proprio l'indomabile eclettismo che lo attraversava: se allora, però, il nostro aveva deciso di cirscoscrivere il suo giochino ecumenico principalmente a due decadi ('60 e '70) e ad ambienti decisamente più rock, questa volta sembra che gli '80 e le smanie syntetiche debbano farla da padrone.

C'è solo un problema, e sia detto da uno che ha apprezzato sia l'esordio di Levi che l'ultimo MGMT: questa volta il giochino non riesce proprio. Non per essere brutale ma, a detta di chi scrive, il problema di questi nuovi pezzi è, semplicemente, che sono brutti. Non nel senso che sono troppo ruffiani, troppo derivativi, troppo banali o troppo kitsch. No. Proprio nel senso che sono troppo brutti. Da qualsiasi verso li si giri.

Si salva davvero poco in questa nuova infornata: si fanno ascoltare, seppur con una certa stizza, la titletrack alla Wolfmother, il pop rock speziato di funk di Dita Dimone, gli 80's-meet-60's di Love Your Straight e una Calling Me Down un po' Elton John un po' Supertramp, il doo wop finale superriverberato di Fountain Of Lies . Un gradino sopra tutto l'incrocio tra Bolan e Dandy Warhols di Oh God (What Can I Do?).

Il resto è tragedia: la straziante nenia di Never Never Love, ad esempio, o l'agghiacciante pop reggae di Mai's Space, o ancora lo pseudo hip hop old school di Everything & Finally, straniante ibrido tra Prince e Missy Elliott. E sono solo alcuni esempi ...

L'eclettismo è una cosa meravigliosa, e il nostro ha già avuto modo di dimostrare in passato le sue ammirevole doti di camaleonte: ma, come è noto, il rischio è sempre quello che prima o poi gli scienzati pazzi si ritrovino tra le mani dei mostri. E sembra proprio essere questo il caso di Never Never Love.

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