Bauhaus
Mask
Mask è il secondo album dei Bauhaus, gruppo inglese che aveva fatto il botto con il singolo Bela Lugosi’s dead e con l’esordio sulla lunga distanza In the Flat Field, entrando nel mito popolare (forse non del tutto propriamente stando alle tendenze di stampo new wave classica degli inizi) come una delle gemme del movimento dark wave.
Mai come in questo caso si rivela necessario analizzare i singoli brani del disco, vista la poliedricità stilistica mostrata dalla band dell’icona Peter Murphy. Si comincia con Hair of the dog: clima alienante offerto dalla batteria tagliente oltre che dal basso funambolico alla Peter gunn theme, dalla voce gracchiante e lontana e dalla chitarra acida e lancinante quasi noise. Con Passion of lovers ci si cala in un brano oscuro e misterioso che profuma già di (la passione degli amanti, recita Murphy, è per la morte), reso estremamente claustrofobico dalla struttura ritmica e vocale reiterata. Of lillies and remains, mezzo boogie, mezzo ska, è uno spoken-word che sfrutta un buon giro di basso ma rimane un episodio prescindibile. Non così per Dancing, ballo sfrenato quasi psychobilly (Cramps) in cui il basso sfrenato riporta alla mente anche i Joy Division più avventurosi.
Hollow hills è già un capolavoro: andatura lenta, processione funebre carica di dolore resa assai bene dalla batteria minimale e dalla voce spettrale di un Murphy trasformato davvero in un fantasma. Un gioiello dark che rappresenta (assieme alla produzione contemporanea dei Cure) una delle vie maestre su cui si svilupperà il genere.
Stona un pò la successiva Kick in the eye 2 che gioca col reggae e suona quasi Clash. In fear of fear segna un ritorno netto alle sonorità di In the flat field: new wave secca con le sue strutture ritmiche (basso e batteria) circolari e l’ampio uso di distorsioni e giochi chitarristici di vario tipo, in un’andatura semi-seria (sgravata dal sound gothic) su cui si specchia un Murphy gigioneggiante.
Muscle in plastic segue a ruota In fear of fear nella sua irriverenza anche se con un ritmo più roboante e un finale più anarchico.
The man with the x-ray eyes resta in bilico tra il serio e il faceto con un Murphy indeciso tra futili borbottii e una verve più ritmata ma gode di una splendida chitarra iniziale e di un’andatura disco-punk a venature horror. Il brano omonimo Mask riscopre un tono epico-oscuro in cui in una densa atmosfera elettrificata risalta lo splendido cantato glam-gothic di Murphy, specie nel finale in cui accompagna un arpeggio semi-acustico emozionante.
Un disco sicuramente più variegato ed elaborato (e forse però proprio per questo gia privo dell’urgenza punk) dell’esordio In the flat of field. L’impressione è che con Mask i Bauhaus fissino i paletti di una coscienza dark-gothic più matura e meno incline alla varietà delle escursioni più o meno umoristiche del proprio leader. È per questo che mentre In the flat of field rimane un capolavoro della new wave, Mask, pur essendo più florido di interessi stilistici (reggae, funk, elettronica), è un capolavoro di purissima impronta gothic.
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