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R Recensione

7,5/10

Chelsea Wolfe

Pain is Beauty

La grandezza si misura dal modo in cui l'acrobata cammina sulla fune sottile, lassù in cima, e di continuo ripropone il medesimo numero, impeccabile, ma colorandolo di una suspense diversa. Di una tempistica, diversa. Colorandolo di qualcosa, che è semplicemente diverso, pur essendo consueto. La grandezza è il modo in cui l'acrobata si veste da funambolo, e vola, come dotato di ali, e poi ciondola sull'altalena del trapezio, spensierato, come fosse su una piccola altalena di campagna, appesa a un albero, completando un altro numero. È sempre lo stesso, l'acrobata, ma si rimescola nella sua arte. La rende mirabilmente unica, ogni volta.

La grandezza è la mano che impasta una materia identica, creando però sagome inedite, ma con sembianze note, conosciute: basterebbe guardarle meglio, e scoprire che provengono dalle stesse dita, come quando si ravvisa che un figlio somiglia al padre, in un rinnovo incredibile di cromosomi. La grandezza è nuotare in solchi nuovi di mare, svagare, ad ampie bracciate, poi tornare a sguazzare in quelle acque familiari - le acque di prima, del passato - plasmando meravigliosi cerchi attorno. 

La grandezza è tutto questo. La grandezza è Chelsea Wolfe. Che cammina in equilibrio sulla fune sottile, lassù in cima, che oscilla leggiadra su altalene, che impasta argilla, che nuota e galleggia. Che sforna un altro disco, mentre l'estate muore. Ed è grande, perché sa rimescolarsi con ciò che (musicalmente) è stata, dopo averne preso le distanze. E in ciò che è stata si rinnova, si eleva, si rende diversa pur rimanendo se stessa.

In Pain is Beauty rispolvera appena le chitarre acustiche, grezze: un folk che era stato prassi nel disco precedente (Reins, almeno inizialmente, Lone, e nell’autentico miracolo, They’ll Clap When You’re Gone). E poi riveste l’abito nero, è in fondo la solita doom lady, si decora con guglie, e impasta il dark al gotico. Si siede al piano, profondo e dondolante (The Waves Have Come), impasta synth e beat che erano propri di Apokalypsis, esplorando dunque i campi dell’elettronica, già conosciuti (The Warden).

Quella di Chelsea rimane una musica intimamente spirituale, eterea, ed è un clima creato dalle tastiere solenni (Sick, con la conclusione di un’eco disperata) o dalla voce che pare derivi da grotte remote, ancestrali (House of Metal, dove tornano gli archi mai abbandonati). Indugia nel carattere abrasivo (Feral Love, quasi primitiva nella sua violenza bestiale), nello spessore del basso (We Hit a Wall), nelle sonorità sbilenche e acide del passato (Destruction Makes the World Burn Brighter, un po’ ridondante nelle modulazioni e negli ululati, e Kings, cupa e distorta).

Le parole non si distinguono, non si vedono, perché si fanno suono e musica anch’esse, in un amalgama pieno e colto. La voce è un elettrocardiogramma mai piatto, un cuore che batte, si abbassa e si alza, variando con ricami, partendo da una mera linea sottile. Una voce mai incolore e annoiata, che dice dell’amore, e del dolore che è bellezza, è catarsi e rigenerazione e vita. Ed è tutto raccontato con grandezza, tra altalene, argilla e mare. Perché Chelsea è ciò che era, e ciò che è: cioè grande, tanto grande.

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Voto degli utenti: 6,8/10 in media su 5 voti.
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JetBlack 5,5/10

C Commenti

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target (ha votato 8 questo disco) alle 0:32 del 29 agosto 2013 ha scritto:

Prima le cose che non mi sono piaciute: 1. Il titolo del disco. Fa schifo, comunque lo si prenda. 2. Il font gotico ha rotto'l caz. 3. "The Warden" è il pezzo peggiore di Chelsea. Lasci a Zola Jesus 'ste cagatine. Detto questo, che disco splendido. Molta più elettronica di prima, una voce a livelli di intensità spettacolari, quasi sempre spettrale, e canzoni che ormai non cercano neppure di sembrare tali: vedi "Reins", che parte come un mantra, e finisce come un (altro) mantra, dopo 5 minuti e passa di passione trascinante (è una canzone d'amore folle, anche se sembra un requiem), o vedi "Sick", che è la cosa più gotica che la Wolfe abbia scritto - con quella seconda parte che poi è redenzione. O vedi "They'll clap when you're gone": come i Black Heart Procession migliori, più epici, più struggenti, e con una voce da brividi. Poi c'è la Chelsea rocchettara, e va benissimo, da "We hit a wall" a "Kings", passando per "Destruction...": è il suo, e non sbaglia. Ma, insomma, non sbaglia quasi da nessuna parte (tranne, appunto, nel tentativo synth pop, da eliminare anche solo come ipotesi: Chelsea, no, te prego), e l'album, variegato ma a suo modo compatto come nessuno dei suoi predecessori, dimostra che ci avevamo visto bene da subito, e che Chelsea Wolfe è una delle migliori là fuori. Chi te lo spiattella, così, un pezzo come "The waves have come"? Chi ti piazza 4 dischi di questo livello in 3 anni e mezzo? Bella Jacopo, ma l'8 ci stava!

FrancescoB alle 10:17 del 30 agosto 2013 ha scritto:

Questo disco mi incuriosice molto, ripasso per il voto. Bella la recensione.

Dr.Paul (ha votato 7 questo disco) alle 15:29 del 5 settembre 2013 ha scritto:

non sono un fan della wolfe ma credo questo sia il suo disco più compiuto, sound e produzione più puliti e in generale meno vincolati dalla logica childish del famolo-strano (mia opinione), mi piace questa crescita! non credo che la sola the warden volga lo sguardo alla pur ottima zola jesus.....bensì buona parte del disco vedasi a tal proposito reins, feral love, house of metal e un altro paio sicuramente! brava lei e bravo jacopo!!

target (ha votato 8 questo disco) alle 10:49 del 6 settembre 2013 ha scritto:

Alla prima Zola Jesus, però, Paul, gli altri pezzi che citi. (Quando era davvero "pur ottima", eheh). Intanto, bell'otto di Picci. Non so se mi devo preoccupare: ultimamente anticipo, paro paro, gli stessi loro voti. Sì, mi devo preoccupare.

Jacopo Santoro, autore, alle 11:06 del 6 settembre 2013 ha scritto:

Ammettilo, da Picci hai le soffiate..

target (ha votato 8 questo disco) alle 11:21 del 6 settembre 2013 ha scritto:

Sgamato. E' il primo passo verso la metamorfosi: a settembre Storia cambierà nome in Storia dei Forconi.

salvatore alle 11:23 del 6 settembre 2013 ha scritto:

Anche per me il migliore, ad oggi, della Wolfe. Ora c'è da capire quanto mi piace. So già che non riuscirò ad amarlo incondizionatamente, ché il gotico non rientra tra le mie preferenze, ma ci sono introspezione, profondità e devastazione: cose che sventano il pericolo della "furbata" e certificano un "sentire" autentico. Poi lei è indiscutibilmente brava, ma non scopro niente di nuovo.

Per quanto riguarda Pitch - l'ho già detto più volte -, io credo che facciano un buon lavoro e, molto spesso, quando si tratta di generi che mastico un po', sono d'accordo con i loro giudizi. Per quanto mi riguarda, non iniziare a preoccuparti

Tra l'altro, Fra', diciamolo, hai cominciato a parlare della Wolfe quando era un'illustre sconosciuta e adesso arrivano grossi riconoscimenti a destra e a manca (lo stesso Pitch, il Mucchio - che le ha messo un nove e dedicato intervista e articolo - ed altri siti). Insomma, ci hai visto molto bene! Ma, anche qui, non scopriamo niente di nuovo

target (ha votato 8 questo disco) alle 11:43 del 6 settembre 2013 ha scritto:

Dai, non sapevo del Mucchio: leggerò. Contento che ti piaccia, Sal: anche a me l'immaginario gotico non ha mai attirato più di tanto, anzi, quasi per nulla (l'anima rimane indie pop), eppure la Wolfe mi sembra molto altro, e, appunto, mi sembra - prima di tutto - autentica, e questo basta: le viscere che citavo nella prima recensione le sento tuttora, e si tratta di una cosa che fa la differenza. Sì, su Picci il mio era un mezzo scherzo. Ultimamente, poi, sono tornato a leggere belle recensioni (Julia Holter, Okkervil, la Wolfe stessa), mentre avevo avuto l'impressione, per un po', che fosse calata la qualità dei collaboratori e che avessero iniziato a prendere un po' troppi granchi. Ah, e grazie ancora Sal: su Chelsea mi concedo il lusso di tirarmela, ahah, perché davvero qua se ne parlò abbondantemente prima che da ogni altra parte (a ringraziarmi sono soprattutto gli amici feticisti, che sono riusciti a prendere le prime edizioni in vinile dei suoi dischi, che ora valgono oro!).

Jacopo Santoro, autore, alle 22:50 del 12 ottobre 2013 ha scritto:

Più lo ascolto e più assume le forme del 7.75 tendente all'8. Incredibile concentrazione di (capo)lavori in un brevissimo arco di tempo, per l'americana. Chapeau.

tramblogy alle 12:22 del 19 ottobre 2013 ha scritto:

Bello!!!!