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R Recensione

6/10

Dialis

Precatio

Nel foglietto di presentazione del gruppo, giunto in compagnia del disco, sono scritte cose come “i Dialis sono innanzi tutto un progetto profondamente permeato dalla convinzione di non avere data categorizzazione e stilistica e compositiva”, e anche “la nostra musica è innanzi tutto un sentimento personale volto all’arte musicale nel suo complesso”… Ecco diciamocelo subito: se c’è una cosa che non sopporto in un gruppo-artista è quando si lascia andare a simili cadute di stile dovute ad una pseudo-intellettualizzazione da quattro soldi.

Anche perché si scrivono fregnacciate del genere e poi si ascoltano canzoni di tutt’altro stampo, chiaramente catalogabili nel registro di un dark cantautoriale asciutto e profondo. Il mio è un appello rivolto a tutti voi musicisti che ve ne state ranicchiati là fuori sperando un giorno di sfondare: evitate di tuffarvi in un genere a corpo morto per poi enunciare tronfiamente che le vostre musiche “non vogliono necessariamente identificarsi con determinati generi”.

Vi ringrazio in anticipo, sperando che i posteri leggano e comprendano. Anche perché se doveste farlo vi becchereste un paio di noiosissimi paragrafi come questo che per forza di cose toglierebbero spazio all’esposizione critico-musicale del disco che manderete. Così nonostante io abbia scritto già metà recensione voi non sapete ancora nulla dei Dialis, se non che fanno roba vagamente dark

Allora aggiungiamo che il gruppo è in realtà un duo formato da Franco Bottoni (voce, basso, chitarra acustica) e Giuseppe Giulio Di Lorenzo (pianoforte) giunto all’esordio sulla lunga distanza dopo un lustro passato tra pubblicazioni di ep “esplorativi” (sic!) e ricerche sonore che hanno condotto a questo primo lp. Il risultato è un disco autoprodotto che riesce nonostante tutto ad ammaliare piacevolmente per l’intensità vocale e la capacità di affiancare una discreta tensione emotiva ad arrangiamenti che riescono ad essere eleganti e raffinati nonostante una certa parsimonia di fondo (figlia sì del fatto di essere solo in due, ma anche di una precisa scelta stilistica).

Il risultato è una serie di brani oscuri e cupi, riconducibili in parte alle ricerche wave dei primi ‘80s (Dead Can Dance, Coil, Cocteau Twins, This Mortal Coil), in parte a quel particolare neo-folk gotico verso cui si sono diretti gruppi industrial (Current 93, Madrugada) e metal (Agalloch). Nomi impegnativi, è vero, di cui ovviamente solo in parte si riesce a catturare le atmosfere e le liriche. Ciò anche a causa di una certa mancanza di coraggio nell’osare qualcosa in più, che avrebbe potuto dare maggiore vigore e varietà ad un disco piuttosto statico e monotematico (e questo nonostante le parti jazzate di Close ocean e Presentation to the heaven, o i violini sparsi qua e là in brani come Sworn compassion).

Il giudizio rimane nonostante tutto positivo, perché pur tra tante inadeguatezze strutturali (pensiamo alla parte vocale in brani come Feeding of tears for E. Dickinson e A sweet eclipse, così imperfetta eppure così evocativa!) ed un certo prolissismo, rimane la capacità da parte di brani come As Judas curses, A fragile rebirth, Abeyance, di catturare quello spirito gotico puro e sincero, con un moto interiore che riesce a far pensare anche ad un miscredente come il sottoscritto che l’anima esista. Il che non è proprio poco…

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