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R Recensione

10/10

Joy Division

Unknown Pleasures

Joy Division era il nome che i nazisti usavano per chiamare i tuguri in cui giacevano le donne nei campi di concentramento. Se si vuole capire l’essenza del gruppo di Manchester bisogna cominciare da qui. Impossibile poi non prendere in considerazione il periodo storico: nel 1979, anno di uscita di “Unknown Pleasures”, siamo in pieno fenomeno new wave. La pietra angolare della storia dei Joy Division è però incentrata su una figura in particolare: Ian Curtis.

Andiamo con ordine.

Nel biennio 1976-77 il punk aveva spazzato via ogni conformismo musicale concludendo in bellezza con la propria auto-distruzione. Sex Pistols e soci non si preoccuparono troppo delle conseguenze delle loro azioni e tanto meno si interessarono del futuro della musica. Paradossalmente però le conseguenze di questo ciclone non furono solo distruttive e malefiche ma portarono, invece, a una radicale rifondazione musicale: dalle ceneri della Londra devastata risorsero come la fenice decine, centinaia di nuovi gruppi dagli approcci musicali più diversi. Il tratto distintivo che li teneva uniti era la voglia di restare fuori dagli schemi in un’ottica nichilista strettamente punk. Il suono però non era più solo punk. Nuove strade iniziarono ad essere percorse. Tra tutti quei ragazzi che assistettero ai concerti di Johnny Rotten e Joe Strummer c’erano anche loro: Ian Curtis, Bernard Dicken, Peter Hook e Terry Mason. La decisione di metter su un gruppo fu istantanea. Trovare qualcuno che scommettesse su di loro fu però più difficile.

Così, dopo l’EP “An Ideal For Living”, pubblicato lo stesso ‘77, si dovette aspettare il 1979 per l’accordo tra il gruppo e la Factory riguardo alla pubblicazione di un LP. Il percorso musicale intanto era già divenuto maturo: da gruppo spalla dei Buzzcocks (con il nome di Warsaw) alla scoperta dell’uso di sintetizzatori, in un percorso di maturazione complessiva di Ian Curtis e del gruppo tutto verso la propria strada compositiva.

Definito inizialmente semplicisticamente post punk “Unknown Pleasures” è, in realtà, uno dei dischi manifesto di uno dei filoni musicali più floridi nella new wave: il goth rock. Successivamente assimilati a gruppi come Cure, Killing Joke, Bauhaus, Sisters Of Mercy e Siouxsie & The Banshees, in realtà il suono dei Joy Division è molto più complesso. Oltre alle radici punk le sue influenze risiedono nelle atmosfere lugubri dei Doors e dei primissimi Black Sabbath e nella schizofrenia malata dei Velvet Underground (di cui coverizzano anche la storica “Sister Ray”).

Ian Curtis è la fusione perfetta tra due dei massimi poeti dei tardi sixties: Jim Morrison e Lou Reed. Se è impressionante la rassomiglianza col timbro vocale del primo, lo accomuna a entrambi una visione apocalittica e schizoide del mondo nonché una penna di primo livello nell’elaborazione di testi caratterizzati da un altissimo tasso di spleen esistenziale. C’è però, alle sue spalle, anche una componente elettronica nel ritmo vagamente synth pop che emergerà pienamente con la mutazione del gruppo nei New Order (per l’influenza di gruppi come Kraftwerk e il Bowie “berlinese”). L’utilizzo il più diretto e limpido possibile della chitarra, a favorire un suono cristallino ben riconoscibile, ricorda poi le trame di Tom Verlaine (Television) in “Marquee Moon”.

Completati i rimandi storici e stilistici possiamo passare ad analizzare il disco che inizia con “Disorder”: una batteria precisa e puntuale detta i tempi di un ritmo claustrofobico, una chitarra acida vaga senza meta alla maniera di Sterling Morrison, un basso che ballonzola qua e là in un tour de force poderoso e Ian Curtis che inizia il suo percorso di sofferenza e dolore con una frase significativa del suo stato d’animo: “I’ve been waiting for a guide to come and take me by the hand”.

Day Of The Lords” è già un capolavoro di alienazione e di tenebra. All’interno di una musica terribilmente ossessionante e solitaria Ian Curtis canta il suo malessere esistenziale che lo ha portato allo sconforto per un mondo fatto di sangue e terrore dove non c’è spazio per i deboli (“When we talked in the heat there’s no room for the weak”). Spuntano fuori ricordi di un’infanzia sconvolta (“Oh I’ve seen the nights, filled with bloodsport in vain”) mentre a completare l’opera di paranoia è un oscuro presagio di fine imminente: questo il significato dello scorato “Where will it end?” ripetuto drammaticamente fino allo sfinimento.

Impressioni confermate anche dalla successiva “Candidate” (“It’s creeping up slowly, that last fatal hour”) in cui traspare la frustrazione di un ragazzo (poco più di vent’anni) già diventato poeta maturo. Il lento andamento del brano crea un contrasto stridente tra parole e musica in quella che potrebbe essere una lenta litania innocua e che invece è inevitabilmente già una marcia funebre.

Insight” è un viaggio in cui la chitarra lisergica e impasticcata di Dicken accompagna nell’orrore di un uomo che canta già come un morto (“I’ve lost the will to want more I’m not afraid, not at all”) ricordando rabbiosamente un passato sprecato (“Yeah, we wasted our time”), ma in fondo visto come epoca di grandezza, di furore e belle speranze (“But I remember, when we were young”). Sembra quasi inevitabile il rimando al periodo giovanile passato nelle file del movimento punk.

New Dawn Fades” è forse l’apice stilistico del disco e in generale uno dei picchi più elevati di tutto il movimento goth e new wave. Il penetrante giro di basso e uno dei riff più graffianti che la storia ricordi introducono e accompagnano il disagio interiore di Ian e poi chiudono il brano fondendosi in un unico suono mentre la batteria continua a risuonare in modo sordo e pensi che non smetterà mai.

Non fai a tempo a riprenderti che subito i ragazzi di Manchester ti piombano addosso con “She’s Lost Control”: chitarra e basso si incrociano continuamente in un vortice di riff tanto elementari quanto impetuosi. In effetti la capacità di creare atmosfere sonore lugubri e suggestivamente oscure con l’utilizzo di pochi accordi calibrati nella maniera giusta si dimostra una delle caratteristiche fondanti del suono ipnotico della band, la batteria sintetica ad aggiungere un tocco glaciale, mentre si narra una storia di pazzia come se fosse ordinaria.

Shadowplay” riporta la speranza di un cambio di rotta rabbioso: introdotta da un basso distorto e da un piatto che ha il sapore di giungla si apre a ritmi accelerati in cui si scatenano gli assoli di Dicken. L’atmosfera torbida diventa però sempre più pesante e le immagini da cimitero sono ormai un dato di fatto: “In the shadowplay, acting out your own death, knowing more as the assassins all grouped in four lines, dancing on the floor”.

Wilderness” è abrasiva come un pezzo dei Chrome mentre il testo è una denuncia degli orrori compiuti dai Cristiani nella storia (“The blood of Christ on their skins…Unknown martyrs died I saw the one-sided trias… They had tears in their eyes!”), rivelando una dote polemica e dissacratoria dell’autore.

Interzone” è uno dei pezzi più punk, per la rapidità d’esecuzione di chitarra e cantato e introduce al capolavoro conclusivo dell’album: “I Remember Nothing. Altro manifesto dark wave, il pezzo è il contrappasso perfetto alla scarica elettrica di “Interzone”. Batteria e basso suonano distaccati con colpi grevi e pesanti ma soprattutto dilatati nel tempo e nello spazio. La chitarra è quasi scomparsa. Rimane solo il canto funereo di Curtis che parla di violenza (“Violent, more violent his hand cracks the chair”) e estraneità (“We were strangers, we were strangers”) verso un mondo privo di comunicazione e affetto. A rimarcare lo stato di distruzione vengono inseriti nel pezzo rumori di oggetti sfasciati. Rumori tanto inquietanti da diventare lame affilate che penetrano dolorosamente in un cuore già fortemente provato da un ascolto pazzesco.

Unknown Pleasures” è un’opera che travalica i campi new wave e dark-goth e si decreta imprescindibile della musica tutta lasciando il segno senza possibilità di scampo. Non ascoltate questo gioiello se siete depressi. Potreste morirne. Ma forse sarebbe bene non ascoltarlo neanche se state bene con voi stessi. Potrebbe ricordarvi gli orrori nascosti nel vostro inconscio. In effetti sarebbe bene restare lontani da questo disco che rischia di farvi entrare in uno stato infernale chiamato “presa di coscienza” che impedirebbe a chiunque di sorridere per periodi molto lunghi. Il fatto che io sia diventato cinico e rida molto raramente forse dipende dal fatto che in queste canzoni mi ci sono ormai perso e non ho intenzione di tornare a galla. Sì perché in fondo, in questo mare di desolazione, si trovano delle gemme di bellezza comunque introvabili altrove. Forse è quello che si chiama “il lato oscuro del rock”. Qualunque cosa sia, qualunque nome abbia, sono contento di esservi entrato e spero di non uscirne mai. Grazie Ian.

C Commenti

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greg ranieri (ha votato 9 questo disco) alle 15:17 del 27 aprile 2007 ha scritto:

opera essenziale, immane. Grazie davvero Ian

Cas (ha votato 9 questo disco) alle 15:01 del 8 agosto 2007 ha scritto:

Stupendo! Uno dei miei preferiti di sempre! (il nove sta per 9,5)

Hexenductionhour (ha votato 9 questo disco) alle 17:13 del 9 novembre 2007 ha scritto:

Un altro capolavoro rimasto scolpito nel tempo che non ne ha minimamente scalfito le qualità e il significato,un album fondamentale in cui Ian Curtis ha riversato tutte le sue emozioni per trasmettercele con la musica.

matteomac (ha votato 9 questo disco) alle 15:51 del 25 aprile 2008 ha scritto:

Un album d'esordio come Unknown Pleasures è più unico che raro: è un'opera sontuosa, tetra e poetica allo stesso tempo, teatrale nella sua drammaticità.

Mr. Wave (ha votato 9 questo disco) alle 21:48 del primo ottobre 2008 ha scritto:

Un viaggio senza ritorno negli abissi dell'incomunicabilità, della solitudine interiore, e del malessere in un precipitare freddo e insensato... Immenso

Marco_Biasio (ha votato 10 questo disco) alle 18:58 del 26 ottobre 2008 ha scritto:

Grazie Ian, sul serio

Disco veramente inarrivabile: un tuffo negli abissi dell'anima di un uomo tormentato, un annerimento completo di ogni sentimento, una secca esasperazione del patetismo. Tuttavia vedo che nessuno qui, a parte Alessandro, ha deciso di optare per il punteggio massimo, che invece secondo me ne rappresenta l'unica soluzione. Come al solito grande recensione Alex, mi permetto solo di puntualizzare una quisquilia posta all'inizio: Joy Division era la suddivisione femminile di Auschwitz adibita a vero e proprio "bordello" per i comandanti e i sottoufficiali nazisti. Oltre che prigioniere, insomma, umiliate anche su un piano sessuale: una tortura inenarrabile...

REBBY (ha votato 10 questo disco) alle 20:13 del 26 ottobre 2008 ha scritto:

Questo disco l'ho ascoltato così tanto che dopo

3 o 4 anni ho dovuto ricomprarlo perchè l'avevo

consumato. Uno dei miei più grandi amori giovanili

e quindi uno dei più intensi. Ancora adesso, quando metto in funzione il mio piatto una facciata è facile che ci scappi. Anche per me da

massimo dei voti, ma con lode.

target alle 21:21 del 26 ottobre 2008 ha scritto:

Per me: 9,5 questo, 10 closer. Ma restano numeri: impallidiscono di fronte a 'ste canzoni.

Roberto_Perissinotto (ha votato 9 questo disco) alle 16:00 del 22 febbraio 2010 ha scritto:

Per di più, volete mettere i Joy Division con le decine di gruppi-fotocopia delle atmosfere new wave? Un solo pezzo di questo disco fa impallidire tutte quelle schifezze che girano oggi, che veicolano il concetto che basta un giro di basso e un'atmosfera funerea per fare un gran canzone. Sbagliato.

paolo63 (ha votato 10 questo disco) alle 14:31 del 29 novembre 2008 ha scritto:

Ora più che mai leggetevi la biografia di Ian......................................!

marcot alle 13:10 del 22 dicembre 2008 ha scritto:

perfetto nell'imperfezione 9,5

dario1983 (ha votato 10 questo disco) alle 8:58 del 12 gennaio 2009 ha scritto:

fantastico. forse migliore di closer

bargeld (ha votato 10 questo disco) alle 15:08 del 28 gennaio 2009 ha scritto:

grazie ian

dieci. punto

Velvet 77 (ha votato 10 questo disco) alle 23:56 del 25 febbraio 2009 ha scritto:

assolutamente 10

e pensare che non appena l'avevo ascoltato l'avevo ritenuto soltanto discreto....assolutamnete un capolavoro: 10

ottima recensione

Velvet 77 (ha votato 10 questo disco) alle 0:01 del 26 febbraio 2009 ha scritto:

altre joy division ...Dead Souls che si incastrebbe a pennello in questo album e Atmosphere, immortale che starebbe meglio in closer

Dr.Paul alle 22:04 del 8 gennaio 2010 ha scritto:

mamma santissima che disco, questo ogni mese bisognerebbe riportarlo a galla, cosi solo per il gusto di veder comparire la copertina tra la striscia di ultimi commenti!

loson (ha votato 10 questo disco) alle 22:20 del 8 gennaio 2010 ha scritto:

Seguo il tuo consiglio, Paul...

tramblogy (ha votato 10 questo disco) alle 22:44 del 8 gennaio 2010 ha scritto:

almeno non ho toppato le stelle.....fiuuuuuuu

Roberto_Perissinotto (ha votato 9 questo disco) alle 15:57 del 22 febbraio 2010 ha scritto:

Forse per una questione di compattezza, gli preferisco Closer...ma il disco è un GRAN disco. Cupo, oscuro, ma maledettamente vero: e le canzoni sono essenziali e prive di ogni inutile orpello, tanto da risultare glaciali riflessi di perfezione. Curtis è semplicemente immenso, e il senso del ritmo che c'è in questo disco a mio parere non ha eguali nella musica rock (il basso di Hook è da fibrillazione quando dialoga con chitarra e batteria). Il 10 me lo riservo per Closer, ma quoto target: queste canzoni fanno perdere di significato ogni cifra.

Bellerofonte (ha votato 10 questo disco) alle 22:42 del 26 marzo 2010 ha scritto:

Il male di vivere...

E' stato argomento della poesia e dell'arte del 900. Ian Curtis forse è colui che nella musica contemporanea è riuscito al meglio a trasmettere le sensazioni di questo meccanismo interiore, stuprand la sua anima fino all'inverosimile. Un album che come Closer ha molto più che parole e musica

synth_charmer (ha votato 9 questo disco) alle 17:13 del 26 aprile 2010 ha scritto:

pochi dischi riescono a imporre la propria atmosfera in modo tanto netto da cancellare ogni ricordo dell'istante precedente all'inizio dell'ascolto. Un letale anatema lanciato contro l'ottimismo.

bart (ha votato 8 questo disco) alle 18:32 del 31 luglio 2010 ha scritto:

Disco che riesce a trasmettere emozioni nonostante la freddezza dei brani e il canto distaccato di Curtis. Se qualcuno non ha idea di cosa sia la new wave, può iniziare da qui.

NathanAdler77 (ha votato 10 questo disco) alle 18:11 del 27 ottobre 2010 ha scritto:

To the centre of the city in the night...

"Confusion in her eyes that says it all...She's lost control. And she's clinging to the nearest passer by, she's lost control. And she gave away the secrets of her past, and said I've lost control again...": l'essenza del suono post-punk, immortale.

Emiliano (ha votato 10 questo disco) alle 19:09 del 27 ottobre 2010 ha scritto:

uno dei miei 5 dischi preferiti di sempre.

Liuk Pottis alle 10:32 del 15 novembre 2010 ha scritto:

L'energia di una stella che nasce

Non c'è commento che tenga. Un disco d'esordio così è forse il migliore che sia mai stato realizzato.

alessiab5 alle 15:24 del 10 gennaio 2011 ha scritto:

innanzitutto grazie per condividere il mio stesso amore verso ian e tutto quello che rappresenta. E' una commozione profonda quella che mi lega a lui.Son solo 2 anni che lo conosco ma da quando ho ascoltato per la prima volte le sue note da lì ne sono diventata dipendente.Quando son depressa per sapere che qualcuno prova quello che sento, quando sto discretamente per tornare nella fredda consapevolezza. Ogni sua parola è un angolo di anima.

Ad ogni modo complimenti l'articolo è bellissimo.

Vorrei un vostro consiglio: siete esperti di vinili?

Ho comprato il vinile di unknown pleasures solo che non è indicata alcuna data. come faccio a sapere che è davvero l originale??

grazie dei vostri eventuali consigni.

REBBY (ha votato 10 questo disco) alle 17:51 del 10 gennaio 2011 ha scritto:

Vai nel forum, musica, argomento informazioni sui vinili (é nella prima pagina che ti è apparsa) e leggi le dritte di Fab e Stoke(d).

alessiab5 alle 17:58 del 10 gennaio 2011 ha scritto:

RE:

grazie mille

Norvegese (ha votato 8 questo disco) alle 9:30 del primo febbraio 2011 ha scritto:

Lo preferisco a Closer, Ian non aveva ancora smesso di lottare e questo si traduce in un mood più rabbioso in alcuni momenti

Hexenductionhour (ha votato 9 questo disco) alle 14:06 del primo febbraio 2011 ha scritto:

RE:

anche io preferisco Unknown Pleasure a Closer...anche se è un album meno studiato rispetto al successivo,trasmette comunque emozioni più vive e dirette e le idee non mancano,Closer invece è più "sentito" e introspettivo ma meno diretto.

alessiab5 alle 18:14 del primo febbraio 2011 ha scritto:

10 ad ian ed a ogni sua canzone, un pezzo di eternità.

Alfredo Cota (ha votato 8 questo disco) alle 13:24 del 19 novembre 2011 ha scritto:

io, invece, preferisco "Closer", ma è l'eterna diatriba fisica - metafisica...

ThirdEye (ha votato 9 questo disco) alle 23:36 del 11 aprile 2012 ha scritto:

Beh, che album! Indubbiamente si tratta di un capolavoro, anche se gli preferisco di gran lunga Closer, a mio avviso L'ALBUM dei Joy Division.

alekk (ha votato 10 questo disco) alle 12:33 del 28 gennaio 2013 ha scritto:

un album spacca-storia. che cambia la musica. uno dei gruppi più geniali di tutti i tempi e quel curtis,che trasuda mal di vivere e sofferenza è più che perfetto

Mattia Linea (ha votato 9 questo disco) alle 16:48 del 14 agosto 2014 ha scritto:

Album che fa letteralmente venire i brividi. Magnifico e tremendo allo stesso tempo. Esordio assolutamente spettacolare per questo gruppo di Salford, Manchester. Non semplice da ascoltare, forse perchè non si può fare a meno di pensare alla triste fine del cantante/paroliere Ian Curtis. Consigliatissimo, inoltre, il film sulla storia del gruppo (anche se con una particolare attenzione per Curtis): "Control", di Anton Corbijin.

raf (ha votato 10 questo disco) alle 22:12 del 15 dicembre 2014 ha scritto:

Capolavoro assoluto. Siamo al nobel per la musica!

RadioheadFan (ha votato 8,5 questo disco) alle 23:46 del primo febbraio 2016 ha scritto:

Meraviglioso. Punto.

fgodzilla (ha votato 10 questo disco) alle 17:24 del 18 maggio 2017 ha scritto:

io darei 11 from here to eternity direbbe qualcun' altro