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R Recensione

9/10

Alice in Chains

Dirt

Lo ammetto: ho conosciuto la musica degli Alice in Chains solo dopo la morte del loro leader Layne Staley nel 2002. Pochi giorni dopo lessi un articolo scritto da Andrea Scanzi sul loro Unplugged e sulla figura decadente e poetica di Staley che mi fece venire la pelle d'oca, e così, dal basso dei miei vent’anni, decisi di comprarmi Dirt, a detta della critica il loro capolavoro. In quel periodo la mia testa era in pieno fermento adolescenziale e si muoveva lenta tra chitarrine e rugiada, erano i tempi dei Belle & Sebastian e dei Kings of Convenience, il massimo azzardo me lo concedevo coi Black Heart Procession, e, credetemi, non ero per niente pronto a ricevere l'eucarestia di un album come Dirt.

Mai amato il grunge, tuttora riconosco la portata importante del fenomeno ma fatico non poco ad accostarmici, digerisco a stento il classicismo stucchevole dei Pearl Jam e mi limito all’apprezzamento tiepido di album - lo riconosco, giganteschi - come Bleach dei Nirvana e Superunknown dei Soundgarden.

Però.

Distratto, ascolto Dirt più o meno fino alle urla scomposte di Tom Araya degli Slayer ospitato nell’Untitled (Iron Gland) e decido che non è roba per me. La seconda volta arrivo fino in fondo, e qualcosa succede: quel grido finale, disperato, negli ultimi secondi dell’ultimo brano (“If i would, could you?”) mi fanno pensare che si, questo mi piace. Prendo il disco tra le mani. Una donna in copertina è sdraiata, nuda, agonizzante, guarda il cielo con occhi acidi, sta per essere ingoiata da una terra arida, bollente. Diluisco gli ascolti nelle settimane, nei mesi e poi negli anni, mi perdo nella malata decadenza delle liriche, nella voce lacerante di Staley, e soprattutto nell’ipnotismo circolare della chitarra di Cantrell. La sensazione perenne è di risucchio, di vertigine, di caduta.

In Them Bones mi aggredisce da subito l’isterismo di un urlo che è quasi un singulto, e a un certo punto una chitarra lancinante mi prende per la giacca e mi trascina a terra: non mi lascerà più andare. Dam That River incendia la scena saturando voci e chitarre in un mantra iperteso, Rain When I Die sin dall’apertura è pura psichedelia e quelli otto accordi di chitarra ripetuti allo stremo mi violentano e mi nauseano: una catarsi. Sickman è acida, tribale, dove Rooster si mostra invece epica e commovente (Rooster è il padre di Cantrell combattente in Vietnam), una litania che deflagra all’improvviso come bomba nel silenzio e che si chiude com’era cominciata, in preghiera. Junkhead è un’altalena allucinante e allucinata, pervasa dal benessere paradossale degli stupefacenti (“You can’t understand a user’s mind/But try, with your books and degrees/If you let yourself go and opened your mind/I’ll bet you’d be doing like me/And it ain’t so bad” – parole che sono un manifesto).

Nella successiva Dirt, la schiavitù è completata, il concetto è straziante quanto il grido di Staley, un delirio d’amore e odio nei confronti della droga da cui è corteggiato mortalmente: “You use your talent to dig me under and cover me with dirt”. Una pronuncia scandita, che si fa parola, che si fa immagine, che si fa copertina. In God Smack e Hate To Feel è come se il “viaggio” in qualche modo ricominciasse, le sonorità si fanno crossover, i ritmi scanditi e impercettibilmente sghembi, nel mezzo la breve Untitled di cui abbiamo già detto è un fantasma che entra senza chiedere permesso e subito esce sbattendo la porta. La scena è vivida, siamo spettatori consapevoli della discesa agli inferi… Ecco ora l’apatia dell’uomo delirante di pochi minuti prima, seduto su una Angry Chair, tra quattro “mura arrabbiate che rubano l’aria, con lo stomaco dolorante di cui non m’importa”, ecco la splendida ballata Down In A Hole e la desolante voglia di rivalsa subito negata (“I’d like to fly but my wings have been so denied” è la conclusione intrisa di lacrime)…

La conclusiva Would? chiude il disco con un’invettiva nervosa, quasi liberatoria, contro i censori e i giudici delle vite altrui, e una dedica a un amico scomparso. Forse proprio Would? è il capolavoro assoluto dell’album, così adatta e appropriata a chiudere le danze… il già citato urlo finale, dopo il quale resta solo silenzio, è probabilmente la più bella fine di un album che abbia mai sentito.

Layne Staley morirà invece, con tempistiche del tutto inopportune, dieci anni dopo la pubblicazione di Dirt, a causa dell’eroina. Nessuno lo incenserà né farà di lui un mito, si spegne nel 2002 solo e quasi dimenticato. Ma questa è un’altra storia, che lascio volentieri raccontare a qualcun altro.

If I Would, Could You?

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Voto degli utenti: 8,8/10 in media su 44 voti.

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fabfabfab (ha votato 10 questo disco) alle 23:20 del 26 gennaio 2009 ha scritto:

Bravo

fabfabfab (ha votato 10 questo disco) alle 23:23 del 26 gennaio 2009 ha scritto:

Dall'alto dei tuoi vent'anni, complimenti. Il disco è la colonna sonora di un pezzo della mia vita, di lunghe giornate passate ad ascoltare musica, di legami ancora solidi con persone speciali, di speranze e sogni dei miei vent'anni. Quando Layne Stanley era vivo, e forse lo ero un pochino di più anch'io.

Mr. Wave (ha votato 8 questo disco) alle 0:37 del 27 gennaio 2009 ha scritto:

Down in a Hole

Uno dei migliori (capo)lavori della prima ondata ''grunge''. Un'opera cruda, lirica, acuta, lacerante e dolorosissima, sorretta magistralmente dalle strutture chitarristiche di Jerry Cantrell, ma soprattutto dell'intramontabile voce di Layne Stalye; struggente e commovente, ma nel contempo disperata e depressa, non sarà MAI dimenticata. [voto: 8.5]. Complimenti per la stesura della recensione Daniele... ottima scelta

Ivor the engine driver (ha votato 9 questo disco) alle 11:37 del 27 gennaio 2009 ha scritto:

guarda proprio ieri ho avuto uno dei rari momenti nostalgico grungettoni, e ho scaricato i Temple of the Dog e i Mad Season (che ancora non so perchè, non in cd) e sentivo proprio Dirt (comprato dopo tipo 12 anni che non lo sentivo +!!) e devo dire che una lacrimuccia mi è scesa. Non perchè stessi meglio, io, o perchè il disco sia un capolavoro assoluto (questo come Badmotorfinger ha dei suoni un po' troppo metallosi per me ora), ma semplicemente perchè l'adolescenza viene una volta sola, e cantare ubriaco Angry Chair e Rain When I Die sotto la pioggia lo si fa na volta sola!

IcnarF (ha votato 7 questo disco) alle 14:49 del 27 gennaio 2009 ha scritto:

...

Bella voce.. ma le cose belle si fermano qua.

Mr. Wave (ha votato 8 questo disco) alle 15:19 del 27 gennaio 2009 ha scritto:

RE: ...

''Bella voce.. ma le cose belle si fermano qua'' completamente in disaccordo, col tuo commento semilapidario. Oltre, al capolavoro in questione (Dirt), io non dimenticherei per nulla, l'intimo blues funereo, lento e asfissiante del bellissimo e intenso; ''Jar Of Files''. Non è da meno, (anzi...) lo sconvolgente album omonimo del '95; visionario, malato, abulicamente schizzato e morboso, per non parlare del profondo ed emozionante ''Unplugged''.

IcnarF (ha votato 7 questo disco) alle 16:15 del 27 gennaio 2009 ha scritto:

...

Me lo dicono in tanti. 4 massimo, per non far scandalizzare altra gente.

george (ha votato 9 questo disco) alle 18:23 del 27 gennaio 2009 ha scritto:

grazie

...da quando frequento storia della musica ho ripreso in mano vecchi cd che non ascoltavo da anni(13-14 sigh)! Oggi riprendo in mano questo...Grazie Daniele!!

Marco_Biasio (ha votato 10 questo disco) alle 20:55 del 27 gennaio 2009 ha scritto:

Il mio disco grunge. Oltre "Nevermind", oltre "Vs", oltre tutto.

Roberto_Perissinotto (ha votato 10 questo disco) alle 21:57 del 27 gennaio 2009 ha scritto:

Grande disco, grande recensione...10 meritatissimo. Questo disco non puoi solo ascoltarlo, non ci sei tu da una parte e la musica nelle orecchie; ti trascina, scava una fossa e ti ci fa entrare a forza, a volte ti concede anche uno splendido spiraglio di cielo, ma per il resto è tutto un susseguirsi di tinte fosche, fantasmi che riemergono all'improvviso e cori oscuri che da piacevoli si fanno lancinanti. E lì capisci che la persona in copertina, quasi sprofondata nella terra, è l'ascoltatore stesso...

DonJunio (ha votato 9 questo disco) alle 9:49 del 28 gennaio 2009 ha scritto:

purity over rot

Preferisco l’omonimo del 95: variegato canto del cigno di Alice e punto di non ritorno della morbosa poetica targata Cantrell-Staley. Questo è però un classico imprescindibile, e non solo del grunge ( di cui “Rooster” è uno dei manifesti definitivi). Il connubio tra la pastosa e granitica scorza del metallaro Cantrell e la struggente visionarietà del grande Layne regala momenti di altissimo valore .“Sickman” su tutte, con quel break centrale onirico e la possente coda percussiva, “Would?”, “Angry chair”, la litania tossica “Dirt” ( con l’intro scippato ai Metallica di “Wherever I may roam”, ma che poi si sublima nel consueto vortice allucinato). Vorrei non averlo ascoltato quelle 850.000 volte....

swansong (ha votato 9 questo disco) alle 11:57 del 28 gennaio 2009 ha scritto:

Quoto Don alla lettera! Preferisco anch'io di un'inezia l'ultimo straordinario omonimo del 95. Più maturo ed oscuro allo stesso tempo e splendido "custode" di una delle mie canzoni preferite degli AiC: la profetica "Over now". In ogni caso, complimenti per l'ottima recensione.

ozzy(d) (ha votato 10 questo disco) alle 13:56 del 29 gennaio 2009 ha scritto:

capolavoro inestimabile.

Echo (ha votato 9 questo disco) alle 16:03 del 4 febbraio 2009 ha scritto:

meraviglioso...

thin man (ha votato 10 questo disco) alle 4:45 del 9 febbraio 2009 ha scritto:

Ascoltato tantissime volte, sempre tremendamente efficace. Concordo con chi dice che il successivo è più definitivo, più "malato", probabilmente il vero epitaffio di quello che viene definito grunge

davide.pagliari1980 (ha votato 8 questo disco) alle 15:56 del 16 febbraio 2009 ha scritto:

...Alice in catene...

Dirt...uno dei capisaldi del sound di Seattle; ne incarna l'anima oscura e decadente...Probabilmente il vertice dell'arte degli Alice in Chains....i "Joy Division" del Grunge...

Mr. Wave (ha votato 8 questo disco) alle 18:10 del 16 febbraio 2009 ha scritto:

RE: ...Alice in catene...

''i "Joy Division" del Grunge...'' bella similitudine

davide.pagliari1980 (ha votato 8 questo disco) alle 1:40 del 18 febbraio 2009 ha scritto:

..grazie dell'apprezzamento..

TheRock (ha votato 9 questo disco) alle 8:37 del 23 febbraio 2012 ha scritto:

sono stati uno dei migliori gruppi anni novanta, anche sottovalutati a volte. Hanno aperto porte, anzi portoni, molto importanti. con Pearl Jam e Soundagarden completano il triangolo del seattle sound.

ThirdEye (ha votato 8 questo disco) alle 17:17 del 14 gennaio 2014 ha scritto:

Gran disco. Lo comprai proprio a tempo dovuto e mi cercai poco dopo anche il precedente "Facelift" che però non mi fece per nulla impazzire e tutt'oggi lo considero (personalmente) l'anello più debole della loro smilza discografia (parlo dal '90 al '95, quelli post-reunion nemmeno li considero...)..comunque, per i miei gusti gli AIC il meglio lo daranno con "Jar Of Flies", che resta uno degli EP più belli di sempre, e l'ultimo lugubre, allucinato capolavoro omonimo del 1995, per me lo zenith della band, dove vengono smussate certe influenze troppo "metalliche" del loro sound per virare verso una sorta di allucinata, spettrale psichedelia..

Mattia Linea (ha votato 7 questo disco) alle 17:00 del 14 agosto 2014 ha scritto:

Considerato un capolavoro da pubblico e critica. Pur essendo un grande estimatore del genere grunge, non l'ho trovato al livello che mi immaginavo. Staley, Cantrell, Starr e Kinney ottimi ai rispettivi strumenti (in particolare i primi due: il primo con una voce tristemente meravigliosa, il secondo con una mente compositiva grandiosa). Personalmente, escluse le canzoni note ("Them Bones", "Rooster", "Angry Chair", "Down In A Hole" e "Would?"), ho trovato le altre tracce alquanto anonime, senza infamia e senza lode: in più si assomigliano parecchio le une alle altre. Tuttavia, un buon disco, potente e ruvido.

baronedeki (ha votato 8,5 questo disco) alle 20:49 del 26 ottobre 2016 ha scritto:

Anche io ho conosciuto l'album in questione a 20 anni ma per mio dispiacere nel 1992. Dirt è il mio album grunge preferito , riesce ad accontentare coloro come me che già da oltre 5 anni ascoltavano il genere (grazie alla rivista Rockerilla ed al catalogo Sweet Music) e quelli conosciuto post Nevermind , in pratica prina ondata grunge e seconda. Accontentare Critica e Pubblico (il desiderio di tutti gli artisti). Con musicisti al di sopra della media ed un cantante che più passionale e sincero non si può non era difficile prevederlo aiutati anche dal momento favorevole. Ricordo ancora con tristezza l'entrata in sala di Staley per cantare nell'umplugged il grande applauso ricevuto le sue pessime condizioni fisiche e il non sfigurare , anzi l'ottima esibizione. Il suo troppo trasgredire ci ha tolto un grande cantante cone nel calcio per Maradona. Il dilemma è , Senza tutta sta trasgressione sarebbe stato meglio o peggio per la loro arte? Io penso meglio.

baronedeki (ha votato 8,5 questo disco) alle 5:47 del 27 ottobre 2016 ha scritto:

C'è un modo per rileggere il commento prima di inviarlo.Ogni volta li scrivo di getto per poi accorgermi di molti sbagli. Molti pensano che le droghe aiutino e che grazie a loro gli artisti trovino la giusta illuminazione. L'unico risultato che ottengono è di morire giovani oppure rimbecillire prima del tempo . Basta gurdare keith Richards ed è tutto dire.

zagor (ha votato 10 questo disco) alle 22:08 del 27 ottobre 2016 ha scritto:

devo ammettere che la prima volta che ascoltai "dirt" pensai che un po' ci marciassero su questo stereotipo, alcuni testi mi sembravano troppo estremi, anche se poi la storia di staley ha ampiamente dimostrato che non era cosi...keith richards vabbè non fa testo, come jimmy page ha fatto un patto con satana lol

baronedeki (ha votato 8,5 questo disco) alle 0:15 del 28 ottobre 2016 ha scritto:

Ho parlato di cantante sincero perché a differenza di lui , tanti ci hanno marciato sui propri problemi interiori . Wood , kurt , Staley , Lanegan (più fortunato) Tutti bravissimi cantanti di quella scena che hanno dato il meglio di sé nel loro momento di maggiore turbolenza psicofisica. Questo è quello che mi da' da pensare e mi infastidisce molto . Keith Richards forse è un esempio sbagliato , sono troppi i suoi anni di eccessi. Anche se è stato uno degli artisti più influenti di sempre mi sembra di sparare sulla Croce Rossa.

shadowplay72 alle 2:53 del 25 novembre 2017 ha scritto:

Che band,e che capolavoro!

PehTer (ha votato 10 questo disco) alle 10:28 del 6 aprile 2019 ha scritto:

L'unico album che ad ogni ascolto mi emoziona come se fosse la prima volta. Probabilmente il mio disco preferito in assoluto.

zagor (ha votato 10 questo disco) alle 14:16 del 30 settembre 2022 ha scritto:

trentennale ieri, disco mostruoso. Into the flood again...