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R Recensione

6,5/10

Alice In Chains

The Devil Put Dinosaurs Here

Un disco piacevolmente prevedibile. Ecco la sensazione provata all’ascolto del secondo lavoro degli Alice in Chains post-Layne Staley. Con “Black Gives way to blue” del 2009, Jerry Cantrell sembrava voler ricordare al mondo il suo status di motore compositivo della band di “Dirt”,  dando alle stampe un lavoro gagliardo e fedele alle caratteristiche del suono che rese grande Alice, ma non sorretto da un’adeguata ispirazione. Quattro anni dopo, il vecchio Jerry rilancia le sue fiches, chiamando a raccolta i vecchi fan del grunge, che da anni vagano raminghi con poche certezze ( Mark Lanegan), tra ovvie reunion di qua ( Soundgarden) e carriere che proseguono col pilota automatico di là ( Pearl Jam, Mudhoney, Foo Fighters).

“The Devil put Dinosaurs here” offre il solito copione: Alice si dibatte furiosamente in catene. Un hard rock possente e suonato come gli dei del rock comandano, con stentorei riff sabbathiani alternati a sinistri arpeggi e veloci fraseggi dal sapore metal anni 80, intervallato da momenti acusticheggianti. Il pezzo forte sul piatto è “Hollow”, in cui le morbose e opprimenti traiettorie della sei corde cantrelliana e una martellante sezione ritmica trovano sfogo in un bel refrain, caratterizzato dal consueto connubio di voci tra Cantrell e William Duval.  Altri momenti topici si trovano nella lunga title-track e in “Hung on a Hook”, in cui la consueta ricetta viene tirata fino allo spasimo con indubbio savoir-faire e nel singolone “Stone”, guidato da una tellurica linea di basso di Mike Inez. E soprattutto nell’odissea visionaria di “Phantom Limb”, in cui Jerry ci guida tra i suoi fantasmi, infilando oltretutto un assolo all’altezza di quello di una “Them Bones”. Mentre in occasione di “Voices”, "Choke" e “Scolpel”  Alice indossa abiti più leggeri e morbidi, entrando in zona “Jar of Flies”: basta immaginare candele, sgabelli, camicie di flanella, uno studio di MTV e l’effetto amarcord è servito, anche se il biondo stralunato e la sua voce inimitabile ormai non ci sono più. 

Un plauso al figlio del veterano del Vietnam per la costanza e l’impegno con cui tiene alta la bandiera di Seattle; i dinosauri, complice anche la pregevole auto-ironia del titolo, stavolta una zampata riescono ad assestarla.

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Voto degli utenti: 5,3/10 in media su 3 voti.
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