Pearl Jam
VS
A circa un anno dall’uscita di “Ten” (debutto straordinario nonchè pietra miliare del rock) Eddie Vedder e soci pubblicano “VS.”…album che, da subito, stabilisce un primato (battuto nel ’98): un milione di copie vendute solo nella prima settimana.
Niente male, soprattutto se consideriamo che si tratta di uno dei rari casi in cui il successo commerciale è direttamente proporzionale alla qualità artistica dell’opera.”VS.”, infatti, rappresenta, insieme all’album d’esordio e al successivo “Vitalogy” (del quale concettualmente e musicalmente, è l’ideale continuazione), l’apice creativo dei Pearl Jam, sicuramente una delle perle più preziose del rock anni ’90.
Il gruppo, a parer di chi scrive, riesce qui a sublimare al meglio quella che è la sua peculiarità: eseguire partiture hard-rock, avvalendosi degli stilemi “grunge” (la band nasce e si afferma, nei primi anni ’90, a Seattle insieme a Nirvana, Soundgarden, Alice in Chains), al servizio di un cantautore dotato di una voce tra le più suggestive ed evocative della storia del rock: il sopracitato Eddie Vedder.
Le liriche di Vedder, sempre piuttosto incisive, evidenziano (qui come nelle altre opere dei Pearl Jam) una sensibilità non comune al punto da paragonarlo, spesso, ad autori del calibro di Bruce Springsteen, e soprattutto Neil Young (suo vero punto di riferimento) col quale, tra l’altro, collaborerà più volte.
Questo disco, rispetto all'esordio , suona più crudo, violento e, probabilmente, resta l’opera musicalmente più dura dell’intera discografia del gruppo. Asprezza accentuata, oltremodo, dalla magistrale produzione di Brendan O’Brien (collaboratore anche di Stone Temple Pilots, Aerosmith, R.A.T.M., Red Hot Chili Peppers etc.) che conferisce alle canzoni sonorità tipicamente “live”.
Le prime due tracce, “Go” e “Animal”, sono musica spontanea, senza compromessi… animalesca.
L’atteggiamento di Vedder è sincero, ribelle, sembra essere proprio “versus” tutto e tutti, e tale indole si avverte maggiormente in “Leash” e, soprattutto, “Blood” (“…il mio sangue dipinge Eddie grande, il mio sangue trasforma Eddie in uno dei suoi nemici…”) dove la filosofia grunge viene sposata appieno, sfiorando il nichilismo più truce caratteristico di formazioni storiche come gli Stooges di Iggy Pop e gli Mc5 di Rob Tyner.
Tutto ciò è quantomeno sorprendente se accostato a gioielli acustici quali la bellissima,incisiva “Daughter” (cavia per viaggi psichedelici nelle esibizioni live), la dolce e malinconica “Elderly woman…” e la conclusiva, nonché tristissima, “Indifference” dove (soprattutto in quest’ultima) Eddie Vedder si trasforma in cantautore introspettivo, regalando momenti di pathos non indifferente (“…Mi aprirò una strada attraverso un altro giorno all’inferno…stringerò la candela finchè non mi brucerà il braccio…”)
Accanto a momenti più marcatamente hard-rock, come la sofferta e particolarmente sentita “Dissident” e la notevole “Rearviewmirror”, non mancano episodi alternativi di natura “satirica” (“Glorified Gun”) o sperimentale come la tribale “W.M.A.” costruita sulla ritmica sincopata dell’allora batterista Dave Abruzzese, sull’incedere pulsante del bassista Jeff Ament e sulle sferragliate elettriche dei chitarristi Mike McReady e Stone Gossard.
Curiosa e non meno affascinante “Rats”:canzone funky-grunge interpretata da Vedder in un registro piuttosto insolito, quasi facesse il verso al grande Tom Waits.
Dopo svariati ascolti, risulta quasi “palpabile” l’alone di rabbia che circonda le tracce dell’album; frutto dello stato d’animo del cantante oppresso da problematiche tanto sociali quanto individuali.
Lungo i sentieri musicali dell’opera vengono affrontati temi quali il razzismo (“W.M.A.”), la violenza dei genitori sui figli (“Daughter”), l’uso improprio delle armi (“Glorified Gun”) e altri ancora, di carattere prettamente esistenziale (“Blood”, “Leash”, “Animal”, “Indifference”), evitando, però, di scadere nell’ovvietà del già detto o del luogo comune.
Tutto questo è parte integrante di “VS.”: tassello imprescindibile della carriera dei Pearl Jam e disco assolutamente consigliato (previo ascolto di “Ten”, sia chiaro) a chiunque voglia approfondire la conoscenza di una band che, tramite il sound di Seattle e non solo, lascerà un suo marchio indelebile sugli ultimi 15 anni di rock.
Infatti il gruppo, pur mantenendo l’approccio stilistico-sonoro degli esordi, darà sempre prova di notevole capacità creativa e spirito di evoluzione raggiungendo, talora, picchi artistici rilevanti (la “Present Tense” dell’album “No Code” è, a parere di chi scrive, il loro capolavoro),nonostante, inutile negarlo, nei tempi più recenti tenderà a perdere parte della spontaneità punk e dell’affascinante alchimia musicale caratteristiche dei primi tre album.
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