Screaming Trees
Last Words: The Final Recordings
“Non credo tu lo conosca, era il cantante degli Screaming Trees”.
Chi non ricorda quel verso degli Offlaga Disco Pax, geniale istantanea del tipico snobismo di tanti aficionados? In fondo è lì condensata la parabola della band di Ellensburg: nome familiare ai più devoti cultori dell’indie-rock USA, palestra per le prime esperienze del divino Mark Lanegan per gli altri. Ma, come risaputo, i meno fortunati dal punto di vista commerciale tra i gruppi storici della torrida scena del North-West assieme ai Mudhoney. Un vero peccato; sia perché di quel (macro) stile al crocevia tra hard-rock, psichedelia e punk genericamente denominato grunge i fratelli Conner erano stati tra i primi e più ispirati interpreti; sia perché a un certo punto sembrava che anni di gavetta targata SST potessero dare i frutti sperati. “Uncle Anesthesia”, debutto major dei nostri nel fatidico 1991, aveva tutto per sfondare, con potenziali inni che incanalavano furore elettrico e scorrevolezza melodica come “Something about today”, “Bed of Roses” o “Caught between”. Ma si sa che il destino teneva in serbo per il Nevermind uscito qualche mese dopo, di cui si è appena festeggiato il ventennale, il compito di portare allo zenith il mito rock di Seattle, e i nostri trovarono al massimo una fugace vetrina nella fiera delle vanità in flanella di Cameron Crowe, con la suadente “Nearly lost You”.
A quindici anni di distanza da quel brillante e dai sapori roots “Dust”, con cui calò il sipario sulle vicende della band di “Black sun Morning”, escono adesso le registrazioni di alcune session “colpo di coda” a fine anni 90, prodotte dal vecchio guru della scena Jack Endino. Non l’ennesima reunion di vecchie glorie dunque ( del resto prezzemolo Lanegan non ne avrebbe probabilmente il tempo), ma solo uno svuotamento di magazzini, sperando magari che vengano pure recuperati i due famosi lost albums nascosti nella loro ricca discografia.
“Last Words” potrebbe dunque apparire un lavoro pleonastico, ma non è così. Vi si trovano in bella mostra gli spunti della fase major, con la proverbiale foga dei fratelli Conner dipanata su maturi binari folk-pop, il tutto condito da soffici tinture lisergiche e una scrittura ispirata. Niente che non sia già stato sviscerato, e con maggior freschezza, in passato ovviamente, ma canzoni in grado di lasciare il segno e di lenire i tormenti delle vedove grunge non mancano. Si ascoltino anzitutto i pezzi in cui si riesumano i toni più vibranti del canovaccio : l’acida “Last words”; i tessuti rabbiosi ed hendrixiani di “Revelator”, le pennellate zeppeliniane di “Black Rose Way” e i tocchi Paisley Underground di “Ash Grey Sunday”, mentre l’imbolsito Josh Homme di questi tempi avrebbe chiesto volentieri al suo vecchio sodale nei QOTSA di sottoporgli le tentazioni psych-rock di “Crawlspace”.
Anche chi preferisce il Lanegan in solitaria trova pane per i suoi denti, visto che Mark doma col suo inconfondibile timbro sciamanico le efficaci intelaiature elettroacustiche di “Lowlife”, per poi abbandonarsi nell’omaggio ai grandi irregolari del folk americano di “Reflections”. E che dire poi di quel gioiellino chiamato “Tomorrow Changes”, piccolo trattato di rumore applicato su arpeggi byrdsiani, come da lezione Husker Du. Resterà immutato il loro dolcissimo, parziale oblio, ma tra tutti i dinosauri in rampa di lancio per l'ennesimo pugno di dollari gli Screaming Trees hanno una marcia in più: la coerenza.
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