Screaming Trees
Uncle Anesthesia
Una vecchia Oldsmobile 98. E una di quelle tipiche tre volumi da telefilm poliziesco anni Ottanta, squadrate e dallaspetto dimesso. Però dannatamente affidabili, alloccorrenza. Il canto epico di Mark Lanegan e lumoralità psichedelica dellelettrica di Gary Lee Conner ricalcavano quella stessa, pratica utilità, per chi era quindicenne nel 1992 di Dirt e dei Nirvana a Reading. La scena di Seattle aveva già individuato i suoi eroi-portabandiera, e la band di Lanegan & co. sembrava relegata nelle retrovie, sgraziati (soprattutto i due fratelli pesi-massimi Conner) e dal profilo troppo basso per ambire alla cover su Rolling Stone, poco commestibili per le fauci del tritacarne-Mtv.
Gli Alberi Urlanti avevano, appunto, laurea naif e austera di una solida Oldsmobile macina-km, erano quei tizi che inviti alla festa e stanno in disparte a farsi i cazzi loro. Un culto per pochi, allepoca, rispetto al boom mediatico di altri noti gruppi grunge. Gli Screaming Trees si formano nel 1985 a Ellensburg, sperduta cittadina a un centinaio di chilometri da Seattle e nel cuore del nulla. Gary Lee e Van Conner, chitarre e basso, Mark Pickerel alla batteria e lugola arrugginita dellintroverso front-man Lanegan, un omone disadattato che non era mai stato giovane (parole sue), dopo lesordio dell86 Clairvoyance sulla piccola label Velvetone riescono ad attirare lattenzione della SST di Greg Ginn, con cui realizzano alcuni ep e lavori pregevoli (Invisible Lantern e Buzz Factory). Nel 90 fu la EpicSony a bussare alla porta dei quattro, in quella sfrenata corsa alloro delle major discografiche verso chiunque suonasse con un distorsore fuzz nel nord-ovest statunitense.
Firmato il nuovo contratto gli Screaming sono pronti a pubblicare il 29 gennaio 1991 latteso Uncle Anesthesia, prodotto dallo specialista Terry Date e dallamico Chris Cornell (lo shouter dei Soundgarden condivideva con gli ST il management della scaltra moglie Susan Silver), album cruciale del suono hardbluespsichedelico dei Conner Bros. in una versione appena smussata, e con più cura dei dettagli che in passato. Lanegan è oltremodo sempre maestoso, un messianico Morrison in flanella tra i fragori desertici delle note di Lee Conner (Beyond This Horizon), classicamente a suo agio nellariosa melodia byrdsiana del singolo Bed Of Roses, unico e timido riscontro in classifica, nelle asperità stoner della title-track e negli ipnotici umori dark della corale Before We Arise (con Cornell ai cori e memore dellesperienza solista di The Winding Sheet).
Altrove sembra di ascoltare i Creedence che lottano contro i demoni allinferno, la distorta Time For Light, cè spazio per incursioni di psichedelia-garage tra Cream e R.E.M. (Lay Your Head Down) e un immaginario da western peckinpahiano al confine con il Messico (la scenografica tromba di Jeff McGraph in Disappearing). Chiude linquieto impeto elettrico di Closer, e nellaria rimane quella voce impastata doblio, nicotina e bourbon, mitologica come un omerico oceano di confusione.
Alice può finalmente tornare a casa, e raccontare i suoi lisergici incontri (notevole lartwork lewiscarrolliano della copertina di Mark Ryden). Seguirà lonesto e relativo successo commerciale del compatto Sweet Oblivion (con Barrett Martin dietro le pelli) e la parabola finale di Dust, polvere. La polvere e sabbia dellanima lanegana, potente trait-dunion musicale da cui è impossibile sfuggire e che misura il nostro dolore e le nostre sconfitte. Poi leccellente carriera del cantautore di Ellensburg farà il resto, lungo i sentieri di una tradizione folkblues rivisitata, ma questa è unaltra storia. Ocean of confusion took me back to the end of the night. Transparent dreams fade in my head. In my eyes, i'm looking back for one last time
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