Soundgarden
Superunknown
Il grunge: genere simbolo della famigerata Generazione X, del ritorno alla purezza primigenia del rock, del diniego dell’edonismo che aveva pervaso gli anni ’80 e delle sonorità sintetiche. Il grunge, tutto questo e molto altro: sempre in bilico tra rivoluzione e controrivoluzione, mentalmente ribelle e spesso musicalmente conservatore. Una stagione volata via e bruciata in un attimo, eppure il capolavoro è arrivato dopo: Superunknown oltrepassa i confini di genere. Oltre la rabbia monocorde dei Nirvana, oltre la retorica seventies dei Pearl Jam, oltre la fisicità necessaria dei Mudhoney… Il grunge rimane solo un pretesto per esplorare l’hard, la psichedelia e tutto il rock pre e post-wave.
I Soundgarden sono uno dei primi gruppi di Seattle ad essere etichettati come grunge: duri e puri, lontani dal glam, sono contemporaneamente tra i primi a farsi notare e tra gli ultimi ad arrivare al grande pubblico. Fautori di un rock duro, crocevia di pesantezza da Sabba Nero e furia alla Stooges, sembrano ignorare il furore iconoclasta della prima generazione hardcore per restaurare i fasti innocenti del Martello Degli Dei. I Soundgarden saranno tra gli ultimi ad avvicinarsi al grande pubblico: dai suoni strafamosi di Superunknown prenderanno spunto generazioni stoner e nu metal, indie e punk.
Capolavoro esistenzialista di genere e contemporaneamente ariete che sfonda i confini del genere stesso, Superunknown si presenta come uno dei più monolitici e coerenti dischi di hard rock della storia.
Cornell, voce d’angelo e demone insieme. Tahil, chitarrista sonico tra i meno idolatrati e i più originali. Sheppard e Cameron, sezione ritmica di rara precisione ed unica intelligenza. Una delle formazioni più perfette che il rock abbia conosciuto: personalità introverse ed altre esibizioniste si fondono e si nascondono dietro questo epico wall of sound.
Innanzi tutto Black Hole Sun: singolo che sarà giustamente ricordato da consapevoli generazioni di rockers, innocenti generazioni di tv-addictes e maliziose generazioni inclassificabili. Un capolavoro come pochi, unico nel mischiare pop e psichedelica durezza.
Ma pur eccellendo questo pezzo per importanza storica, bellezza e stupefacente facilità compositiva, nulla in questo monumentale lavoro datato 1994 suona “minore”: tutto ha un suo senso ed il disco risulta all’ascolto magnificamente coeso. Fresco dopo più di un decennio e seminale tanto per l’underground quanto per il mainstream.
Straordinariamente vario negli spunti hard rock, a volte pressanti altre più lirici: declinati con larghezza e sapienza nelle prime sette tracce con registri che vanno dal violento al disperato, dal livido al cosmico. Perlomeno fino a Black Hole Sun, che da qui cotanto monumento post-grunge si tinge indelebilmente di psichedelia senza dimenticarsi comunque di suonare duro e soprattutto di sfornare quello che forse è il vero capolavoro heavy del disco: Spoonman.
Limo Wreck è dolorosa nel trattenersi dall’esplodere, suona doom venato di noise, un trionfo d’inquieta quiete. The Day I Tried To Live è capace di sposare felicemente acido lisergico e power pop. 4th Of July si immagina un universo post hardcore terribilmente scazzato, mentre Half si tinge d’oriente… La cifra stilistica rimane sempre coerente nel suo estremo livore, ma verso la fine il disco si fa più destrutturato, la chitarra prende il sopravvento, lancinante e cosmica sperimenta in un sensuosissimo flirtare con la voce sempre più angelica di Cornell.
Le parole si sono sprecate e poco rimane da dire, di fronte a tanta magnificenza, se non un semplice consiglio: (ri)ascoltatelo.
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