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9/10

Temple Of The Dog

Temple of the Dog

Il 1991 è l’anno della consacrazione della scena di Seattle, con la pubblicazione autunnale di “Badmotorfinger”, “Ten” e ovviamente “Nevermind”. Opere che mandano in orbita il fenomeno grunge, scrivendo alcune tra le pagine rock più fulgide della passata decade (con buona pace dei revisionisti in servizio permanente). Ma è probabilmente il progetto “Temple of the dog”, pubblicato in primavera,l’acme emotivo di quell’annata nel North West: un sentito e vibrante omaggio a un pioniere e catalizzatore quale Andrew Wood, frontman dei Mother Love Bone portato via qualche mese prima dalla consueta overdose di eroina.

Affiancato dagli ex sodali di Wood nella band di “AppleStone Gossard e Jeff Ament e dal fido Matt Cameron ( oltre al Mike McCready appena entrato nei Pearl Jam), Chris Cornell è l’autentico deus ex machina di “Temple of the dog” ( nome preso da un verso della “Man of golden words” dell’amico Andrew). Album lontano anni luce dalla cupa e lacerante anti-materia targata Soundgarden, dominato com’ è da iridescenti tinte soul scaturite dal maestoso cantato di Cornell: intimo, passionale ma fermo, a tratti stentoreo ma sempre ipnotico. Il supergruppo si adegua, dipingendo un affresco di rock classico nell’accezione più ampia del termine, evitando le trappole del manierismo anche grazie all’irripetibile congiuntura temporale. Talenti come Cornell o Gossard sono all’apice creativo, e il ricordo dell’amico scomparso si tramuta in un lirismo ispiratissimo.

Chi tra questi solchi cerca il torrenziale impeto di decibel banalmente denominato grunge rimarrà deluso: giusto “Reach down” , avvolta da un rifferama tagliente, per poi sfociare in una energica dissertazione funk-rock dilatata da un’incessante sessione percussiva di Cameron e da un estenuante assolo alla Eddie Hazel di McCready. O il ruspante clangore metallico di “Your Savior”,che si dilata in una avvolgente ragnatela propagata da lampi e luminescenze da antologia, là dove le ruvide geometrie di “Four Walled world” riportano alla mente le alchimie hard-blues dei Traffic, piuttosto che i tradizionali santini in voga a Seattle.

Ma il fulcro dell’album risiede altrove: l’opener “Say hello to Heaven” combina mirabilmente soul ed elettricità, tra vaporose reminiscenze dei Free e un crescendo imponente. O gioielli vellutati quali i soffusi fraseggi di “Call me a dog” e la sensuale “All night thing”, magistrale volo a planareinnescatoda un divino organo.

Wooden Jesus” è poi un autentico saggio sulla duttilità del vocalist dei Soungarden: prima svetta nell’oscurità col desolato piglio dello Spingsteen di “Nebraska” e poi domina col suo falsetto una folk ballad che sfocia in una tempestosa corrente hard rock. E viene davvero da piangere a pensare che questo stesso artista oggi salga sui palchi di mezzo mondo con jeans a vita bassa e canotte alla Fabrizio Corona, intonando melodie svenevoli per yuppie annoiati o seguaci di O.C.

Fino alle due ballate supreme dell’album. “Hunger strike” è tra le reliquie più celebrate della flanella age. Un sublime duetto folk-rock tra il Cornell più toccante e poetico di sempre e un Eddie Vedder appena strappato alle tavole da surf a San Diego, in un vortice di delicate espressioni visionarie. “Times of trouble” regala il centro della scena al talento compositivo di Gossard, qui intento a forgiare l’embrione della “Black” che animerà l' imminente "Ten". La produzione e il piano di Rick Parashar stendono un velo dolcissimo sul cantato di Chris. Il tutto suggellato da un assolo di armonica struggente, che fende la gelida e tersa luce nordica attorno a Seattle.

Questo è il tempio del cane, l’addio all’innocenza di una città che di lì a pochi mesi riscriverà la cartina del rock a stelle e strisce. Ma proprio come Andrew Wood, alcuni dei suoi più celebrati alfieri si perderanno nella tormentata ricerca di una personale redenzione, trovando soltanto la dannazione e l’autodistruzione.

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Voto degli utenti: 8,4/10 in media su 27 voti.

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loson (ha votato 7 questo disco) alle 23:57 del 11 dicembre 2008 ha scritto:

hai capito il fascino della flanella...

Recensione ottima come al solito, Junio. Il disco però è retrò, mooolto retrò... pure troppo! Per di più la produzione di Rick Parashar è detestabile (altro motivo per cui non sopporto "Ten", gh gh...). Si salvano comunque tre brani: il quasi alt-country di "Wooden Jesus", la passionale "Say Hello 2 Heaven" e, ovviamente, quella "Hunger Strike" che resta vera e propria quintessenza di grunge "romantico".

simone coacci (ha votato 7 questo disco) alle 0:08 del 12 dicembre 2008 ha scritto:

Mi tocca darti ragione, Loson, e su tutta la linea stavolta (a parte l'accomunarlo a "Ten"). Junio è ovviamente al suo meglio e il disco un po' sopravvalutato (anche da me, qualche anno fa). Abbastanza stucchevole in certe parti, Cornell mattatore ai limiti dell'accettabile, grande artigianato melodico e qualche pezzo davvero superlativo come quelli che hai citato, cui aggiungerei "Call me a dog". Dici retrò ma volevi dire "invecchiato male", confessa, marrano!

loson (ha votato 7 questo disco) alle 0:21 del 12 dicembre 2008 ha scritto:

RE:

Ahah, no guarda, intendevo proprio "retrò", nel senso che mi pare un disco piuttosto revivalista, attaccato come un bebè alla sottana dell'hard-rock anni '70, senza quasi mai optare per una rielaborazione di quelle sonorità (i brani che ho citato mi pare siano le eccezioni). Che sia invecchiato male o no è ininfluente, credimi..

simone coacci (ha votato 7 questo disco) alle 0:27 del 12 dicembre 2008 ha scritto:

è vero anche questo, purtroppo.

DonJunio, autore, alle 1:07 del 12 dicembre 2008 ha scritto:

In effetti in tanti si attaccavano alla sottana del rock anni 70: tipo Brett Anderson a quella ingioiellata di Bowie. Battute a parte, ho scritto anche io che è un album di rock classico, senza sostanzialmente alcuna innovazione stilistica, anche soltanto paragonato a una qualsiasi "Jesus Christ Pose": dunque l'analisi di Matteo, nonostante un avatar improponibile, non fa una piega. Rimane nonostante tutto una stupenda raccolta di canzoni, nate spontaneamente tra amici in una circostanza luttuosa, suonate e interpretate divinamente ( ovviamente ciascuno è libero di trovarle mero manierismo, ci mancherebbe). Nonché un documento che fotografa la scena di Seattle nel momento emotivamente clou della propria parabola, e una mezza stelletta in più il mio vecchio cuore grunge la concede volentieri. E sono d'accordo con Cilia: nonostante sia un album dichiaratamente retro' è invecchiato molto meglio di tanti altri. Proprio perché non aveva certo nessuna pretesa di rivoluzionare chissà cosa, e alla fine confezionare un disco di canzoni così ispirate non è da tutti.

Mr. Wave (ha votato 8 questo disco) alle 1:13 del 12 dicembre 2008 ha scritto:

Struggente ''album-tributo'' ad Andrew Wood. Emozionante ''Reach Down'' e ''Say Hello 2 Heaven''. Picco più alto dell'album è rappresentato dalla bellissima ''Hunger Strike''

fabfabfab (ha votato 7 questo disco) alle 9:31 del 12 dicembre 2008 ha scritto:

Effettivamente di tutta la "ballotta" grunge è tra i capitoli più sopravvalutati, probabilmente perchè la formazione è una sorta di dream-team di Seattle. Bella "Hunger Strike" dove, secondo me, Eddie Vedder surclassa senza sforzo Chris Cornell, che invece si danna l'anima, e l'ugola.

PierPaolo (ha votato 8 questo disco) alle 9:50 del 12 dicembre 2008 ha scritto:

Ben fatto Junio

Ivor the engine driver (ha votato 8 questo disco) alle 12:20 del 12 dicembre 2008 ha scritto:

incredibilmente d'accordo con Loson! Soprattutto sul detestabile Parashar (sempre preferito VS a TEn dei PJ). Proprio questi gg volevo prenderlo visto che la mia cassetta è scomparsa. Natale si sposa bene con revivalismo e nostalgia grungista.

Mr. Wave (ha votato 8 questo disco) alle 12:25 del 12 dicembre 2008 ha scritto:

ma la copertina dell'album, come mai è rimpicciolita!? mmm...

simone coacci (ha votato 7 questo disco) alle 12:33 del 12 dicembre 2008 ha scritto:

RE:

è una di quelle porcherie che fa Amazon, mi sa, con la cornice bianca intorno. Che più la rimpicciolisci e più non si vede un beneamato.

Mr. Wave (ha votato 8 questo disco) alle 12:37 del 12 dicembre 2008 ha scritto:

RE: RE: non si puo' far nulla!?

esattamente Simone... è alquanto brutta da vedersi, vabbè

Mr. Wave (ha votato 8 questo disco) alle 12:43 del 12 dicembre 2008 ha scritto:

a parte la critica estetica, è realmente vero che della copertina non si nota nulla :\

Mr. Wave (ha votato 8 questo disco) alle 13:01 del 12 dicembre 2008 ha scritto:

Perfect!

DonJunio, autore, alle 13:17 del 12 dicembre 2008 ha scritto:

A me la produzione di Parashar piace, anche se gli preferisco certamente Dave Jerden, Terry Date o Steve Albini in quell'ambito. Anche in "Ten" a parte quei 3-4 episodi oggettivamente banalotti, fa un ottimo lavoro. Dilatando la materia sonora verso quegli orizzonti infiniti ed estatici che rendono peculiari pezzi come "Oceans", "Garden", "Release" o "Black". Se devo citare un produttore che ha omologato e standardizzato il rosario grunge farei il nome di Brendan O' Brien. Un eccellente mestierante, ineguagliabile nel comprimere la forza d'urto del genere in un formato tutto sommato pulito e omologato. Non a caso dopo le produzioni di best-seller quali "VS" o "Core", verrà ingaggiato da tutti quegli artisti che cercheranno il suo tocco per sfondare in classifica ( si pensi ai Limp Bizkit di "Significant other", ma anche le fatiche dei RATM successive al loro debutto sono esemplari). Pwer non parlare di "MirrorBall" di Neil Young e Pearl Jam.....

loson (ha votato 7 questo disco) alle 13:58 del 12 dicembre 2008 ha scritto:

RE:

Don, O'Brien non fa altro che ricreare un suono il più possibile live, catturando il suono nella sua essenza, esattamente come faceva Jack Endino (che però non disponeva degli stessi mezzi e quindi lavorava in modo ancor più artigianale): ecco perchè è diventato il produttore di fiducia dei Pearl Jam. Parashar impasta malamente gli strumenti, cerca un appeal da stadio infarcendo tutto di echi, opera in modo alquanto sommario. Il risultato è un suono paradossalmente piatto, almeno a mio modo di vedere. Steve Albini ha un'estetica produttiva talmente personale e influente che mi pare dieci spanne sopra a tutti i signori che citi.

fabfabfab (ha votato 7 questo disco) alle 14:08 del 12 dicembre 2008 ha scritto:

... e su Albini straquoto Loson. Endino secondo me è quasi neutro, Parashar è odioso, sia su questo album, sia su "Ten", sia sull'esordio dei Blind Melon. Infatti successivamente è finito a produrre gente come Nickelback, Litfiba (!) e Bon Jovi (??)

DonJunio, autore, alle 14:37 del 12 dicembre 2008 ha scritto:

eheheheeh vabbè Matteo, è destino che noi ci becchiamo su questo tipo di cose, si pensi a quando io difendevo "forever changes" dai tuoi colpi di mannaia. Io la penso ovviamente in maniera opposta. Parashar ha un modus operandi luminoso, espanso, dilatato ( altro che "malamente impastato") e nei pezzi di "Ten" che ho citato o qui su "Times of trouble" ciò funziona, e a me basta e avanza. Che poi il mio disco preferito dei PJ è "vitalogy", che pure è prodotto da O' Brien, dunque alla fine il discorso sui produttori conta fino a un certo punto rispetto alla qualità della materia prima. Tipo gli Afghan Whigs non hanno mai avuto produttori di grido, eppure i loro album sappiamo bene che sono tra i migliori degli anni 90. E tornando a O' brien, Brendan era più nelle corde di Gossard e soci, che grazie al suo stile si sono stesi sul sentiero dei loro idoli Who e Neil Young fino a perdere progressivamente vitalità.

Concordo ovviamente sul fatto che Albini fosse la maglia gialla dei produttori all'epoca, anche se a parte "surfer rosa" e "in utero" le sue cose migliori sono in altri contesti, dunque tra i produttori che hanno ruotato intorno al grunge non emerge così nettamente rispetto a un Jerden o a un Date, che con produzioni tpo "Nothing's schocking" o "Badmotorfinger" hanno fatto scuola.

loson (ha votato 7 questo disco) alle 14:48 del 12 dicembre 2008 ha scritto:

RE:

A parte il discorso Parashar, sono d'accordo praticamente con tutto quello che hai scritto in quest'ultimo post, e ciò dimostra che in reltà le nostre posizioni sono tutt'altro che inconciliabili. ;D

Una sola cosa: Jerden è pericolosamente vicino a Parashar nel suo modus operandi, anche se si salva per la maggior cura con cui affronta il materiale (il materiale buono, perchè ricordiamoci che si è pure sporcato le mani con Armored Saint, Anthrax o Offspring ).

simone coacci (ha votato 7 questo disco) alle 14:54 del 12 dicembre 2008 ha scritto:

Io sulla produzione la penso sostanzialmente come Junio. O meglio: non l'avverto così determinante. La differenza fra questo disco e "Ten", per me la fa lo stile, l'urgenza e soprattutto le canzoni. Poi che di Parashar in giro ci fosse probabilmente di meglio (perlomeno in relazione ad un certo tipo di sonorità) se ne sono accorti tutti, anche i Pearl Jam.

DonJunio, autore, alle 15:03 del 12 dicembre 2008 ha scritto:

Vabbè, i produttori sono quasi tutti delle gran puttane, si offrono al miglior offerente senza dignità. Basti pensare ad Albini, che in barba alla sua conclamata "etica alternativa" a un certo punto finì per produrre il temibile "razorblade suitcase" dei Bush per poi fare persino un salto all'ospizio a reggere il catetere di Page & Plant. Per fortuna restano i suoi lavori coi Jesus Lizard, semplicemente perfetti, a farci dimenticare questi incubi. Sicuramente Parashar si ispirato molto alle produzioni di Jerden coi Jane's Addiction su "Ten", ma non è stato bravo e influente come Jerden. Al quale andrebbe quantomeno reso il merito di aver trasformato gli Alice in Chains, che prima di registrare con lui "Facelift" erano un posticcio quartetto hard-glam....

target alle 15:31 del 12 dicembre 2008 ha scritto:

E sai, don, quale album sta producendo ora Albini? Il nuovo dei Manic Street Preachers!

swansong (ha votato 9 questo disco) alle 17:24 del 12 dicembre 2008 ha scritto:

Mi piace un sacco!

Ottima rece! Ottime "critiche" ed osservazioni da parte di Loson e Simone e tutti gli altri intervenuti (in parte anche condivisibili: ad esempio sulla produzione, che, però ho sempre ritenuto fosse una scelta e non una carenza), ma in questo caso, mi sento di quotare su tutta la linea il "Junio pensiero". Per me una delle vette assolute del "grunge" e non solo. In ogni caso, va rimarcato che quest'album uscì prima di "Ten" e tutte le imperfezioni stilistiche, di forma e di sostanza che (forse) ha, sono da considerarsi, a mio avviso, a suo "merito" e non detrimento...anche in virtù del fatto che, come giustamente osserva Junio, trattasi di lavoro nato impulsivamente sulla scia emotiva di un evento doloroso.

Mr. Wave (ha votato 8 questo disco) alle 17:29 del 12 dicembre 2008 ha scritto:

RE: Mi piace un sacco!

''...trattasi di lavoro nato impulsivamente sulla scia emotiva di un evento doloroso...'' essattamente come dici... ti quoto appieno

bungeejack (ha votato 8 questo disco) alle 17:16 del 13 dicembre 2008 ha scritto:

Non avrà cambiato la storia del rock, ma chi se ne fotte, avercene di dischi così! Si sente che c'è un qualcosa di speciale dentro queste canzoni,un qualcosa nato dalla voglia di ricordare in maniera speciale un caro amico. Poche volte Cornell mi ha emozionato come in "Say Hello To Heaven" o "Times Of Trouble", e che dire del meraviglioso delirio psichedelico di "Reach Down"? Su tutte comunque svetta "Hunger Strike".

Semplicemente un disco splendido

cianfa (ha votato 10 questo disco) alle 14:53 del 22 agosto 2009 ha scritto:

la post- rivoluzione zeppeliana

Mamma Mia!!!!

gigino (ha votato 10 questo disco) alle 12:40 del 5 maggio 2010 ha scritto:

perchè fate sempre gli ultracritici ?

Leggendo i commenti spesso mi rendo conto che spesso ad intervenire è gente che, in modo molto competente, si sforza di bocciare qualcosa di noto per esaltare qualcosa di sconosciuto, in modo da mettere in evidenza la propria preparazione. Non che "Temple of the DoG" sia un disco noto alle grandi masse, ma è assurto ultimamente a disco simbolo degli anni '90, esempio limpido del meglio prodotto da una generazione di musicisti. Certo, non ha inventato nnulla, o poteva essere migliore in qualcosa, ma perchè dire che è un disco mediocre ? E' di sicuro una raccolta di canzoni che prese singolarmente sarebbero celebrate come capolavori. La voce di Eddie in Hunger Strike, fa accaponare la pelle. Quindi io direi di celebrare questo disco che è stupendo e poi sofffermarci sui propri gusti a proposito dei produttori e non il contrario...

Per me " Temple of the dog" è un gioiello.

The musical box (ha votato 10 questo disco) alle 13:35 del 6 giugno 2011 ha scritto:

PATRIMONIO DELL'UMANITà INTERA

Mattia Linea (ha votato 9 questo disco) alle 17:52 del 14 agosto 2014 ha scritto:

Meraviglioso. Davvero splendido. Più che la grinta, la rabbia e l'audacia tecnica, in questo album c'è moltissimo cuore prima di tutto. Una canzone più bella dell'altra, ma una nota particolare va data a quel vulcano di emozioni che è "Times Of Trouble". Piccolo e irripetibile (purtroppo) capolavoro.

shadowplay72 alle 2:55 del 25 novembre 2017 ha scritto:

Side project storico.capolavoro!