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R Recensione

7/10

Ryan Adams

Prisoner

Altro giro di giostra per Ryan Adams, ormai titolare di una carriera ventennale (contando pure l’esperienza alt-country con i Whiskeytown) e una delle figure piu’ affidabili dell’heart-land rock statunitense. Tre anni dopo l’ottimo riscontro avuto dall’album omonimo, ecco appunto la nuova fatica del rocker originario di Jacksonville.

Tra questi solchi, non ci si discosta molto da quella prova. Anche “Prisoner”  infatti si snoda lungo i sentieri di un folk-rock sanguigno e ottimamente rifinito, tra impennate elettriche e ballate crepuscolari, saldamente ancorato agli anni 80 di numeri tutelari quali Springsteen ( già il titolo di “Outbound Train” omaggia l’autore di “Born in the U.S.A) e Tom Petty.  C’è giusto un mood piu’ malinconico e depresso tra le dodici canzoni che lo compongono, ascrivibile a quanto pare al suo divorzio con Mandy Moore: l’album da “fine rapporto” è un classico del rock e del cantautorato in special modo, ed evidentemente anche per il bel Ryan è arrivato il momento di timbrare il cartellino in tal senso, titoli come “To be without you”  e “Broken Anyway” dicono tutto d’altronde. Certe liriche, inoltre, a tratti rimandano all’autoanalisi pubblica del Beck piantato in asso da Winona Ryder sciorinata in “Sea Change”.

Non mancano dunque brani che i fan piu’ devoti di Adams potranno inserire in un ideale best of a fine carriera; l’opener “Do you still love me?”, ariosa e potente, degna dei migliori Waterboys;  l’epica “Shiver and Shake”, puntellata da un delizioso organo in odore di U2 del periodo americano; o ancora l'accorata  “Breakdown” e la lenta e tortuosa “Haunted by you”.  L’apice pero’ è probabilmente “We disappear”, forte di chitarre squillanti e melodie insidiose, che sfocia in una coda astratta e cosmica che ricorda i War On Drugs di “Lost in the dream”. Calligrafico e piacione quanto si vuole, anche passata la boa dei 40 anni Ryan Adams sa pero’ ancora scrivere grandi canzoni.

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Voto degli utenti: 6,8/10 in media su 2 voti.
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C Commenti

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nebraska82 (ha votato 6,5 questo disco) alle 18:27 del 19 aprile 2017 ha scritto:

Il solito buon disco di Adams, che sembra essere diventato piu' parsimonioso e attento nel dosare le uscite. Forse un po' troppo sulla falsariga dell'omonimo ( "Doomsday " in particolare ricorda la "Kim" che li' era forse il miglior pezzo), comunque fila liscio che è un piacere.