Ryan Adams
Prisoner
Altro giro di giostra per Ryan Adams, ormai titolare di una carriera ventennale (contando pure lesperienza alt-country con i Whiskeytown) e una delle figure piu affidabili dellheart-land rock statunitense. Tre anni dopo lottimo riscontro avuto dallalbum omonimo, ecco appunto la nuova fatica del rocker originario di Jacksonville.
Tra questi solchi, non ci si discosta molto da quella prova. Anche Prisoner infatti si snoda lungo i sentieri di un folk-rock sanguigno e ottimamente rifinito, tra impennate elettriche e ballate crepuscolari, saldamente ancorato agli anni 80 di numeri tutelari quali Springsteen ( già il titolo di Outbound Train omaggia lautore di Born in the U.S.A) e Tom Petty. Cè giusto un mood piu malinconico e depresso tra le dodici canzoni che lo compongono, ascrivibile a quanto pare al suo divorzio con Mandy Moore: lalbum da fine rapporto è un classico del rock e del cantautorato in special modo, ed evidentemente anche per il bel Ryan è arrivato il momento di timbrare il cartellino in tal senso, titoli come To be without you e Broken Anyway dicono tutto daltronde. Certe liriche, inoltre, a tratti rimandano allautoanalisi pubblica del Beck piantato in asso da Winona Ryder sciorinata in Sea Change.
Non mancano dunque brani che i fan piu devoti di Adams potranno inserire in un ideale best of a fine carriera; lopener Do you still love me?, ariosa e potente, degna dei migliori Waterboys; lepica Shiver and Shake, puntellata da un delizioso organo in odore di U2 del periodo americano; o ancora l'accorata Breakdown e la lenta e tortuosa Haunted by you. Lapice pero è probabilmente We disappear, forte di chitarre squillanti e melodie insidiose, che sfocia in una coda astratta e cosmica che ricorda i War On Drugs di Lost in the dream. Calligrafico e piacione quanto si vuole, anche passata la boa dei 40 anni Ryan Adams sa pero ancora scrivere grandi canzoni.
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