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R Recensione

6,5/10

The Dead Weather

Dodge And Burn

Tutti – o quasi – chiedono a Jack White di riesumare l’esperienza dei Raconteurs, una felice parentesi durata un paio di dischi e, grossomodo, lo stesso numero di anni. Ma cosa se ne fa uno, obiettivamente parlando, di due supergruppi in un colpo solo? È il secondo a scendere nuovamente in campo, oggi, a sorpresa, come una malattia incubata a lungo e diffusasi poi repentinamente, senza preavviso. Alison Mosshart potrà pure essersi tinta i capelli di biondo, ma la musica dei Dead Weather rimane più cupa, arcigna e torbida che mai: “Dodge And Burn” (il vocabolario è preso in prestito, forse non casualmente, dal mondo della fotografia, emblema dell’odi et amo dello showbiz) assorbe la texture gotica dell’esordio “Horehound” (2009) e la malsana cattiveria del successivo “Sea Of Cowards” (2010), isolandone però al contempo l’eccessiva frammentarietà che, di fatto, ne costituiva importante impedimento al decollo.

Per essere “musica con le chitarre” (quella che uno come John Frusciante, trasfiguratosi oramai nell’alter ego electro-sperimentale Trickfinger, sembra aver accantonato), quella dei Dead Weather – che, per sua natura, dovrebbe puntare al grande pubblico – corteggia invero inusitate sponde di ruvidità, rifugge ripetutamente gli schemi del “vecchio” blues e si scompone in una miriade di schegge lontane dall’agognata soluzione di continuità. È una caparbia testardaggine, insita nel progetto sin dagli albori, che prende corpo con sempre rinnovato vigore. “Three Dollar Hat” ciondola alterata, fra i tamburi innaturalmente tesi di White, un basso-mantra che sbuffa stilemi dub (la sagoma di Jack Lawrence, per un attimo, si sovrappone a quella mastodontica di Al Cisneros) e la chitarra tutta effetti e storture di Dean Fertita: il palcoscenico scintilla di sangue e sudore all’irrompere di un travolgente turbine elettrico, un variopinto inciso che scuote – senza scalfirla – la rappresentazione. La successiva “Lose The Right” ridicolizza le nuovissime leve dell’hard rock, con un robusto soul declinato in chiave cinematica, come Joni Mitchell vocalist per gli Jacula: d’altro canto, la Mosshart è tutto tranne che un’acqua cheta (l’heavy-funk al vetriolo di “Too Bad” sta lì a dimostrarlo) e la sua bipolarità interpretativa (come in “Open Up”, liturgia misterica dissestata da poderosi riff, ascessi isterici e bordate garage-noise, o nelle ossessioni oblique di “Let Me Through”) permette al gruppo di costruire brani davvero vincenti (“Buzzkill(er)” è perfetta dalla prima all’ultima nota).

Le pecche del third act, difetti che giustificano la votazione forse inferiore alle attese, sono, questa volta, di forma e non di sostanza. Comprendiamo il desiderio di spiazzare l’ascoltatore, estraendo dal cilindro “Impossible Winner” come dulcis in fundo, ma il brano – una semiballata pianistica vagamente r’n’b con inserti d’archi – si armonizza davvero a fatica col resto della scaletta, corrusca e selvaggia. Ce ne dogliamo, anche perché l’idea, di per sé vincente, verrebbe gestita a dovere dal quartetto. “Rough Detective”, gioco di incroci vocali su elementari territori hard-blues, rimane poco più che un bozzetto, un ricordo di “Sea Of Cowards”: “Cop And Go” – che aumenta la cubatura punk in ballo – rischia di passare per la versione “adulta” delle scorribande giovanilistiche dei be your own PET, mentre la presa rapidissima dello sbilenco riff portante di “I Feel Love (Every Million Miles)” e la rispettiva sezione ritmica, una tra le più convincenti dell’intero disco, non riescono a camuffare del tutto l’impressione di superfluità del risultato finale.

Open Up” e “Rough Detective” vennero rilasciate, in una prima take e con altri titoli, in un 7” limited edition per Third Man, nell’ottobre 2013: la stessa sorte toccò, un anno dopo, a “Buzzkill(er)” e “Too Bad”. Ciò significa che, in “Dodge And Burn”, troverete “solo” otto brani inediti. Bizze da rockstar. A ciascuno il suo: se un disco del genere fosse venuto dai Blues Pills, a quest’ora le riserve di incenso sarebbero bell’e finite. Invece – ma guarda un po’! – il factotum è, ancora una volta, quel sommo incapace di Jack White, attorniato da una manica di gregari. Troppo comodo continuare a crederlo, cosa ne dite?

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Voto degli utenti: 7/10 in media su 2 voti.
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