Causa Sui
Summer Sessions vol.1
Un sibilo, un attimo, un istante sospeso tra spazi vertiginosi, una dissolvenza che ci si para davanti riempiendosi pian piano di corposità via via acquisita. Spazi aperti ed infiniti, nulla di umano. Fino a quando una pulsazione appare dal nulla, segue il ritmo, primordiale nemico dell'indistinto fluire, strumento troppo umano per dare ordine al caos cosmico in cui, volenti o nolenti, ci troviamo pienamente immersi. Ma anche l'espressione di una vitalità impulsiva, lasciva, vogliosa di riscoprire quel caos che fino a poco fa si tentava di incasellare in rigide strutture temporali: e allora i battiti si fanno più vorticosi, frenetici, rutilanti, si slegano da ogni categorizzazione mentale, accompagnati da rintocchi di organetto vellutati ed immensi.
Tutto si infiamma in un procedere di cui abbiamo già perso l'inizio, chitarre elettriche gonfiano man mano che la batteria picchia e si perde negli spazi infiniti annunciati inizialmente. L'assolo, quell'assolo lacerante inaugura una seconda fase di espansione facendo subentrare una melodia scottante, dove basso e chitarra solista si rinfacciano ogni loro limite, dipingendo con la loro dialettica creatrice un mondo dopo l'altro. Il gancio del riff della seconda chitarra ci catapulta ora in un sublimato anfratto stellare dove ogni cosa è richiamata a nebulizzarsi in fragili essenze.
I richiami ai Pink Floyd, tra i primi a navigare con le loro circolarità sinuose gli spazi siderali, sono unite a quelli dei primi grandi pionieri cosmici, quelli del krautrock, quelli che rispondevano ai nomi di Ash Ra Tempel e i primi Tangerine Dream, i quali diedero un suono al cosmo. Ancora un gancio melodico a dislocarci in una terza dimensione parallela, dove ogni microelemento torna ad aggregarsi in masse monolitiche e compatte, ondeggianti all'agitarsi delle percussioni tribali e al serrare le fila della batteria.
Un sali scendi incessante quello che stiamo intraprendendo, un percorso dove a salite sfiancanti e caldissime si contrappongono le nobili cesellature delle chitarre, punte gelide a solleticarci i sensi e stordire la percezione, e algide note di organetto chieste in prestito ai Cavalieri della Tempesta doorsiani per celebrare la bellezza dell'ambiente etereo che le sta accogliendo. Si interseca con se stessa, la chitarra, seguendo un filo immaginario capace di donarle un'espressività quasi magica, in grado di dipingere vere e proprie figure in movimento. Progressioni che paiono ora immobilizzate, ora in pieno impeto.
Poco manca alla fine, annunciata dall'ennesima nebulizzazione degli elementi, incoraggiate da leggeri arpeggi immersi in nebbie di synth, in fruscii leggeri e ciondolanti ritmiche soporifere. Distorsioni pacate massaggiano i neuroni oramai inebetiti ed incapaci di interrompere questo viaggio rivelatore: solo l'ultimo desiderio di un'esplosione finale multicolore ed epocale dona loro ancora un minimo senso del volere. L'esplosione arriva, per loro grazia, ogni luce si accende, ogni particella converge, spinta da una misteriosa forza gravitazionale, ad un centro vorticoso, sospinta da organetto e chitarra, spinta con forza dallo scrosciare dei piatti, dal fragore nervoso del rullante. La chitarra approfitta del tripudio per dominarlo con le sue incandescenti emissioni spiritate.
E quando il tempo ha smesso di avere un significato da un pezzo, ecco sopraggiungere la fine.
Il viaggio appena affrontato, della durata di 24 minuti abbondanti, è merito dei danesi Causa Sui (Jonas Munk, Jess Kahr e Jakob Skøtt) e del loro ultimo album Summer Session vol.1. Come al solito, quando si affrontano i lidi della psichedelia rock e kraut, non c'è molto spazio per innovazioni e assolute novità. Bisogna però dire che è un innegabile merito quello di essere in grado di affrontarlo in maniera così personale e così abilmente in grado di non far precipitare il tutto nel bieco campo revivalista. Certo, la nostalgia gioca qui un ruolo fondamentale, ma c'è anche la passione, la voglia di sballo e di esplorazione di dimensioni altre rispetto al comune srotolarsi materialistico dei giorni.
Il trip in ogni caso continua, e possiamo ora godercelo appieno avendo sbrigato le formalità. La seconda traccia, con i suoi toni suadenti e sommessi, mette in piedi una nuvola rigonfia e dallincredibile leggerezza: i battiti sul rullante sono come carezze, quelli sui piatti fruscii, la chitarra è liquida e fresca, il basso si limita a sorreggere morbidamente il tutto. Il terzo movimento sfrutta un poderoso riff chitarristico colorato dai campanacci e dalla frenetica ritmica della batteria, mentre sbuffi vaporosi di sintetizzatore accompagnano con le loro ventate turbinose lo srotolarsi del pezzo. La chitarra è qui libera di esprimersi in maniera più aggressiva, carnale e ruvida, supportata da un clima caldo, molto meno ideale rispetto al mood dominante dellalbum. Il cosmo qui cessa di essere impersonale ed etereo, ma si tratta solo di sette minuti, con la successiva quarta traccia si torna a quellincanto espanso che ci eravamo abituati ad amare. Fluidità, lentezza, acidità celestiale, spazi siderali gassosi ritornano a imperversare con forza. A questo però si aggiunge lo sfarzo colossale ed imponente di un riffone stoner che dona un ulteriore volto al poliedrico e creativo lavoro dei Causa Sui.
Non ci si fa mancare niente, per dirla tutta, sia quantitativamente che qualitativamente. E se tutto ciò vi pare pacchiano e già sentito sono problemi vostri, io tornerò spesso a viaggiare in compagnia di questa nuova gioventù cosmica.
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